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QT n. 9, settembre 2017 Monitor: Musica

“La Grande guerra dei Trentini”

Un happy end di troppo

Emanuele Curzel

Il musical ha le sue regole: pochi dialoghi e molte canzoni; solisti, duetti e cori; azioni sceniche e balletti; soprattutto sappiamo che alla fine ci sarà, in qualche modo, l’happy end. Quando nel 1968 Mel Brooks, al suo esordio alla regia, volle mettere in scena una storia comico-grottesca, raccontò la vicenda dello scalcinato produttore di un musical dedicato ad Adolf Hitler (in Italia il film uscì con il titolo “Per favore non toccate le vecchiette”). Come a dire che, per quanto le commistioni di generi e di temi siano sempre possibili, vi sono alcuni intrecci che non funzionano proprio.

Questa premessa serve per motivare, in termini generali, il mio giudizio negativo sul musical messo in scena a Tenna, presso il forte, il 22 luglio scorso, in una versione definita “di prova”: “La Grande guerra dei Trentini”, regia e libretto di Pino Costalunga, musiche di Nikos Betti. I cantanti/attori sono apparsi bravi (sia i quattro principali – Matteo Ferrari, Alessia Gardini, Riccardo Sarti, Federica Ugolini – sia il coro di appoggio, l’Highlight di Pergine); le melodie piacevoli e orecchiabili; la musica è stata eseguita dal vivo. Il libretto, scritto da Costalunga, ha invece lasciato a desiderare.

Molto si può evidentemente perdonare: in uno spettacolo così non ci si stupisce di trovare drastiche semplificazioni dello sfondo storico (per quanto in sede introduttiva si sia rivendicato un certo lavoro di ricerca preliminare) e personaggi dal profilo un po’ statico (in questo caso: il giovane musicista trentino che studia a Vienna, fedele all’imperatore; il commilitone austriaco con aspirazioni pacifiste; la giovane benestante viennese che si innamora a prima vista; la contadina russa amante tanto focosa quanto infedele… e perfino l’eroico contadino trentino capace di curare il compagno ferito dalla pallottola in quanto – dice – è abituato a trattare con le vacche).

Chi considera inevitabili queste approssimazioni può così godersi lo spettacolo… almeno fino quando esso non precipita verso la parte conclusiva. Per permettere la riunione dei personaggi nella scena finale si attribuisce infatti alla Rivoluzione russa il merito di aver permesso il rimpatrio dei tirolesi dichiaratisi italiani (cosa che invece era avvenuta negli anni precedenti, quando la Russia zarista era alleata dell’Intesa). Al termine di un avventuroso percorso – sommariamente narrato – il protagonista si risveglia così a guerra finita nella casa natale di Borgo Valsugana: aprendo gli occhi trova l’amico austriaco che lo ha portato in Italia spacciandosi per suo fratello, la madre e la sua bella viennese.

Lo spettatore consapevole che la città di Borgo era stata prima evacuata e poi in ampia misura distrutta è portato a pensare che una scena di questo genere appartenga al delirio dell’agonizzante: se si trattasse davvero di ciò la storia perderebbe in romanticismo ma guadagnerebbe in credibilità. A quel punto parte invece il duetto finale – i due giovani celebrano il loro amore e l’amore per la musica come linguaggio universale – che sparge altro miele su un cibo già troppo dolce.

È opportuno mettere in scena uno spettacolo che racconta la Prima guerra mondiale con l’happy end? Come se potesse essere lo sfondo per una storia d’amore coronata dai fiori d’arancio? Personalmente ne dubito. Per di più lo spettacolo è stato intitolato “La Grande guerra dei Trentini” (articolo determinativo, complemento di specificazione al plurale!), e come tale è stato finanziato dal piano giovani della Valsugana orientale. Forse qualcuno avrà pensato che si potesse fare divulgazione storica attraverso un mezzo espressivo inedito e accattivante. Da questo punto di vista l’esperimento, secondo me, non è riuscito.

* * *

Emanuele Curzel è direttore di “Studi Trentini. Storia”

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