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Quando la terra trema

L’Italia è un paese sismico, che tende a ricordarsene solo in occasione dei grandi eventi catastrofici. Da “Una Città”, mensile di Forlì.

Romano Camassi, Stefano Ignonee
L'Aquila 2009

Nel nostro paese le normative inseguono i terremoti. Si parte con un primo accenno di normativa già oltre un secolo fa, dopo il terremoto dello Stretto del 1908, e poi a seguito di forti terremoti intorno agli anni ‘20 e ‘30, quando molti territori in Appennino vengono classificati sismici; successivamente però ci sono le marce indietro, e diversi di quegli stessi comuni vengono declassificati perché la normativa è considerata un ostacolo allo sviluppo.

L’ultimo grande provvedimento risale al 1974-75, quando viene definita una simil-classificazione e una normativa tecnica. Dopo il 1980, col terremoto dell’Irpinia, c’è una prima classificazione nazionale che però riguarda meno della metà dei comuni, mentre fino al 2002, con il terremoto di San Giuliano di Puglia, l’altra metà è del tutto priva di normativa. Nel 2003 un provvedimento classifica tutti gli 8.101 comuni sulla base di valutazioni che in realtà erano disponibili da una decina d’anni; infine nel 2006 viene pubblicata definitivamente la mappa di pericolosità, che a quel punto diventa l’unico punto di riferimento, ma l’obbligatorietà dell’applicazione della normativa tecnica è solo del 2009.

A questo punto dovremmo essere a posto: sulla carta le norme ci sono dappertutto, ma non per questo si recupera il pregresso.

Qui ci sono veri e propri paradossi, che posso spiegare con un esempio riferito all’ultimo terremoto dell’Italia centrale. Il 24 agosto i tre comuni più coinvolti sono stati Amatrice, Arquata del Tronto e Accumuli. Amatrice è stata classificata sismica dopo il terremoto di Avezzano del 1915, Accumuli nel 1927, Arquata del Tronto nel 1984. Ci si aspetterebbe che il comune soggetto a normativa da più tempo degli altri avesse una patrimonio edilizio migliore. Invece la situazione è esattamente rovesciata. Ma perché Amatrice, che è classificata dal 1915, non ha un patrimonio edilizio migliore di Arquata che lo è solo dal 1984?

Ciò che determina questo stato di cose non è solo la normativa ma condizioni economiche, vicende storiche, culturali e demografiche. Amatrice aveva una condizione storica particolare: fino all’Unità era l’appendice più remota del regno di Napoli, con una forte povertà economica e sociale e dove le ricostruzioni post-terremoto del 1639-1703 furono molto fragili. Poi, un periodo molto lungo senza terremoti importanti ha fatto sì che per tre secoli crescesse un patrimonio edilizio vulnerabile, basato su materiali e tecniche costruttive molto poveri.

Comunque, alla fine tutti e tre questi comuni hanno avuto la stessa sorte; sommandosi, gli eventi sismici degli ultimi mesi li hanno devastati più o meno allo stesso modo. Ciò non toglie che ci si sarebbe aspettata una migliore risposta della zona di Amatrice.

Insomma, la variabilità del patrimonio edilizio, dei suoi caratteri costruttivi, dipende da tanti fattori in gran parte economici o legati alle caratteristiche dei diversi siti in cui viene costruito, dal materiale costruttivo disponibile, dalla storia sismica del luogo.

Assicurarsi?

Di coperture assicurative obbligatorie si parla sempre, però è un tabù. Già dopo il ‘97, col terremoto di Umbria e Marche, si era provato a introdurre nelle finanziarie meccanismi di attivazione di copertura obbligatoria, ma questi sono sempre stati affossati col pretesto che si favorissero le compagnie assicurative. Ma è un problema ineludibile. È chiaro che è uno strumento che va studiato con attenzione, dev’esserci un’introduzione progressiva, con detrazioni e incentivazioni fiscali, però prima o poi andrà affrontato, perché potrebbe incrementare la protezione sismica degli edifici. I costruttori sarebbero vincolati al rispetto delle norme, perché diversamente avrebbero premi assicurativi troppo elevati.

Si tenga conto che i terremoti recenti sono stati relativamente piccoli e sinora abbiamo avuto costi distribuiti nel tempo, però un terremoto di magnitudo maggiore di 6.5, molto più forte dei terremoti dell’Aquila e dell’Emilia, avrebbe un impatto economico molto maggiore. E in Italia, negli ultimi 400 anni, di terremoti delle dimensioni di quello dell’Irpinia ce ne sono stati con una frequenza di uno ogni 15 anni.

Prevedere i terremoti?

La sismologia non è ancora in grado di fare previsioni. Ci sono in gioco due fattori: da una parte il potenziale sismogenetico di una faglia o di un sistema di faglie, dall’altro la frequenza temporale della ricorrenza del più forte terremoto possibile.

Non siamo ancora in grado di definire né l’una né l’altra cosa in termini precisi. Conosciamo l’esistenza di un sistema di faglie e possiamo fare stime delle dimensioni, quindi della massima magnitudo che quella struttura può generare. A questo affianchiamo l’osservazione di tipo storico, che è molto importante ma è pur sempre limitata a un migliaio di anni di osservazione, che in questo campo è poco. Dovremmo conoscere 20-30.000 anni di record storico. Con ciò che sappiamo ora, definire il tempo di ricorrenza caratteristico su una determinata struttura del suo massimo terremoto è praticamente impossibile.

Per monitorare le varie situazioni, attualmente abbiamo circa 400 stazioni, oltre a decine di stazioni temporanee attivate quando, per ragioni di ricerca o perché c’è una sequenza in corso, si decide di migliorare il monitoraggio, come per esempio adesso in Italia centrale. È un’eccellente rete sismica, ma ci sono paesi, come il Giappone, che di stazioni ne hanno molte di più.

C’è un’altra complicazione: spesso si parla di sistemi di faglie, ma una singola faglia può rompersi su segmenti, determinando terremoti di dimensioni minori ma più frequenti. È il caso dell’Emilia del 2012: il terremoto del 20 maggio è leggermente spostato a est, verso Ferrara, mentre quello del 29 maggio più verso Mirandola. Appartengono allo stesso sistema di faglia, e in teoria avrebbero potuto rompersi in un colpo solo, generando un terremoto con una magnitudo superiore, perché non si sarebbero rotti due segmenti di 10-20 chilometri ciascuno, ma un unico segmento di 30-40.

Nemmeno il terremoto dell’Irpinia (lo si è capito solo successivamente) si è verificato per una rottura istantanea: sono stati due-tre segmenti che si sono rotti a distanza di pochi secondi. Questo avviene in alcune situazioni anche in maniera molto asimmetrica, penso per esempio a Umbria e Marche del ‘97. Stesso sistema di faglie che si sono rotte in tre momenti diversi. L’interrogativo che ci poniamo è: sarebbe stata possibile una rottura dell’intero sistema in un colpo solo? E che magnitudo avrebbe generato? Non lo sappiamo.

La storia sismica è l’insieme di dati che ci consente di fare elaborazioni che portano alla mappa di pericolosità. Ci aiutano l’indagine geologica su faglie riconoscibili, per stimarne le dimensioni, e la paleosismologia, che scava trincee per riconoscere dislocazioni, ma l’ingrediente principale delle stime di pericolosità viene dalla sismologia storica.

Fra informazione e bufale

La divulgazione al pubblico è questione delicatissima, per la quale servirebbe un lavoro di interazione ininterrotto e interlocutori che ci diano feedback. Il problema è anche la mancanza di una base scientifica comune, di un sapere scientifico diffuso. In Italia c’è un ritardo molto forte. Negli Stati Uniti, ad esempio, si è cominciato a lavorare sulla comunicazione già 30-40 anni fa. Da noi l’assenza di un lavoro comunicativo costante e avanzato ha fatto sì che si facesse strada qualcosa d’altro. Ormai c’è un vero e proprio mercato della comunicazione web, attraverso presunti siti giornalistici, o a carattere meteorologico, che fanno un’operazione scorretta: accedono al nostro sito e scaricano in tempo reale i dati, li rielaborano, li impacchettano e li rivendono, confezionando rubriche pseudo-informative che puntano molto sull’enfasi di temi sensibili per attirare contatti e guadagnare con i banner pubblicitari. Chi fa queste operazioni non è contrastabile, la normativa non le impedisce.

Poi ci sono quelli che diffondono vere e proprie bufale, soprattutto durante situazioni di emergenza. Si è visto dopo l’Aquila, rispetto alla presunta capacità di previsione dei terremoti, dopo l’Emilia con le dicerie sulla supposta origine antropica dei terremoti (il cosiddetto fracking), e riguardo a terremoti più recenti con le bufale sulle “vere” stime dell’energia del terremoto... C’è uno youtuber americano, uno pseudoscienziato truffaldino che si fa chiamare Dutchsinse, che realizza video grossolani in cui correla terremoti in giro per il mondo con la sismicità in vari paesi, preannunciando eventi sismici distruttivi. Se c’è un forte sisma in Nuova Guinea, lui ne prevede uno collegato in Italia! Cose grossolane, che però in situazioni di tensione e di fragilità culturale e in cui la comunicazione scientifica è carente, si diffondono in maniera virale.

Sulla questione dei “rumors” abbiamo attivato dopo il terremoto dell’Emilia una campagna di monitoraggio raccogliendo circa 250 segnalazioni. La più incredibile mi è stata raccontata nel settembre 2012 in un’assemblea con insegnanti a Crevalcore: qualcuno diceva che il parroco di Massa Finalese aveva predetto per il 22 settembre un terremoto catastrofico in paese. La stessa storia era emersa in altre testimonianze. Quando ho riferito questa storia ai colleghi, uno di San Pietro in Casale mi ha raccontato: “Ah, l’ho sentita anch’io in paese, dal macellaio!”. Un altro collega, invece, l’aveva sentita attribuita al parroco di Finale Emilia...

A quel punto, incuriosito, sono arrivato a ricostruirne l’origine, che era effettivamente Massa Finalese; ho contattato il parroco, che mi ha raccontato com’è andata: in una predica di metà agosto aveva detto qualcosa del tipo: “Il momento più difficile sarà fra un mese, quando i vostri figli torneranno a scuola e noi al lavoro. Tutto tornerà alla normalità e nessuno si ricorderà più di noi. Quello sarà il vero terremoto!”.

Per migliorare la comunicazione, ridosso del terremoto dell’Emilia abbiamo lanciato con ottimi risultati un blog, che ora si affianca al sito ed è un canale di comunicazione abbastanza utilizzato. Anche la app “Ingv terremoti” ha avuto successo e il profilo Twitter è molto seguito; questo è bene, perché sono strumenti che tendono a creare un rapporto di fiducia con chi mette in circolazione le cose. Però bisognerebbe lavorarci ancora.

* * *

Romano Camassi è sismologo dell’Ingv e storico dei terremoti..

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