Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 12, dicembre 2017 Servizi

Fine vita: Francesco e l'impotenza della politica

A proposito delle ultime dichiarazioni del Papa

Nel mese di novembre hanno fatto scalpore alcune parole di papa Francesco (scritte, non pronunciate) relative alle tematiche del fine vita. I giornali si sono divisi tra chi descriveva una “svolta epocale” del “rivoluzionario” pontefice e chi ne minimizzava il contenuto affermando che “la Chiesa aveva sempre pensato così”.

Certamente Francesco ha citato i suoi predecessori, il Catechismo della Chiesa cattolica e altri pronunciamenti ufficiali per dire che “non c’è obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili e, in casi ben determinati, è lecito astenersene”; che oggi “è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona”. E ancora: “Sappiamo che della malattia non possiamo sempre garantire la guarigione, della persona vivente possiamo e dobbiamo sempre prenderci cura: senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte”.

Sono parole ben ponderate ma pure variamente interpretabili. La Chiesa è stata sempre contro l’accanimento terapeutico: il problema è sapere che cosa vuol dire in concreto questo termine. Francesco parla di “mezzi terapeutici”: quali sono? Anche l’idratazione artificiale fa parte di questi mezzi da cui in determinate circostanze ci si può astenere? Allora ci si divide sulla terminologia, distinguendo terapie, trattamenti, cure.

Si prendano queste parole pronunciate dal cardinal Bagnasco nel marzo 2007 che, improvvisandosi medico e specialista, descrive l’alimentazione e l’idratazione artificiali come “universalmente riconosciute come trattamenti di sostegno vitale, qualitativamente diversi dalle terapie sanitarie” e quindi praticamente obbligatorie. Una posizione che non sta in piedi. Francesco non è mai entrato in questi dettagli, dando la stura a qualsivoglia deduzione (o critica).

Per chi scrive questa apparente ambiguità è voluta, rappresentando una possibile novità: essa non va rintracciata nelle definizioni più o meno sottili, quanto piuttosto nell’impostazione generale di Francesco che parla molto spesso di “discernimento” perché la “situazione concreta” può portare a giudizi variegati. Questo fa imbestialire i conservatori poiché, secondo loro, metterebbe in crisi l’oggettività delle indicazioni morali della Chiesa che ovviamente mantiene il monopolio della verità. Questi estremisti non sopportano Francesco, reo di attribuire alla coscienza un ruolo eccessivo. È vero questo dal punto di vista dottrinale?

Probabilmente no, perché il Papa, da accorto gesuita qual è, ha redatto i suoi documenti sempre in punta di teologia e di magistero (scontentando i riformatori più accesi), lasciando alla pastorale – cioè alla prassi effettiva – il vero terreno su cui puntare, nel tentativo di avvicinare la Chiesa alle questioni più urgenti del momento.

Papa Francesco, una volta archiviati i “valori non negoziabili” (copyright che il cardinal Ruini si divide con il papa emerito Ratzinger), si concentra su altre tematiche rispetto a quelle tradizionali: i poveri, l’ecologia, la pace. La Chiesa deve parlare di misericordia, cambiare atteggiamento. Non pretendere di guidare la cultura e ancora meno la politica. “Accontentarsi” di essere “ospedale da campo”. E così facendo essere più vicina all’annuncio evangelico.

Non è cambiato nulla da quando Bergoglio è stato eletto Papa? Non mi pare. Prendiamo proprio il fine vita: oggi è opinione assodata – anche nella maggior parte degli ambienti cattolici – che si possano sospendere cure invasive anche se questa decisione può procurare la morte. Ieri non era così. Basti ricordare il caso Welby, oppure quello di Eluana Englaro, vissuti dalle gerarchie ecclesiali come trincee da difendere con ogni mezzo: “lasciar morire” (cosa diversa dall’eutanasia attiva) staccando macchine altamente invasive era condannato senza appello.

Una scelta o una costrizione?

Beppino Englaro

Questo processo di cambiamento è voluto o subìto dalla Chiesa? Cosa resta oggi della legge sulla fecondazione assistita?

Cosa resta dell’opposizione frontale a qualsiasi riconoscimento delle coppie di fatto anche omosessuali? Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Rispetto a 10-15 anni fa quando imperversava il cardinal Ruini, oggi sembra di vivere in un altro mondo.

Qualcuno potrebbe dire che non è così, oppure che la Chiesa sta raggiungendo, perché costretta, un “minimo sindacale”, un livello di semplice buon senso. Penso però che anche da parte laica occorra avere un atteggiamento positivo riguardo a questi segnali di mutamento nella posizione ecclesiale su temi alquanto spinosi e che non si possono tagliare con l’accetta. Certo qualcuno, nel mondo laico e cattolico, ha una visione chiara, sicura e indubitabile: ma non è la mia impostazione.

Sarebbe necessario invece, perché la politica italiana si dimostra molto spesso più papista del Papa. Ai tempi dei governi Berlusconi la situazione era certo peggiore di adesso, ma tuttavia esistono resistenze fortissime a legiferare su certi temi. Probabilmente un Quagliariello di turno non griderebbe più in parlamento, come fece il 9 febbraio 2008: “Eluana non è morta, siete voi che l’avete uccisa”; restano però i vari Lupi, Lorenzin, Alfano, Sacconi che si mettono di traverso contro ogni provvedimento che tenti di regolamentare queste materie. Perché lo fanno?

Non certo per convinzioni etiche. Per recuperare qualche voto? Non sembra proprio, perché il loro consenso sta inesorabilmente scendendo. Per collateralismo alla Chiesa? Forse, ma il Vaticano non è così stupido da sostenere partitini ininfluenti e arraffoni. Questi sparuti drappelli riescono però a condizionare tutti gli altri impedendo il varo di ogni legge sul testamento biologico. Le altre forze politiche sono titubanti.

La ragione di questa palude va ricercata allora in una mentalità tipica della politica italiana, cioè quella di fare il meno possibile, di lavarsene le mani e di lasciare le questioni più spinose ai comportamenti individuali o all’azione della magistratura.

Meglio non regolamentare, meglio non vedere: e che ciascuno si arrangi. Poi saranno i fatti a imporre una decisione, ma la politica arriverà come sempre fuori tempo massimo.