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QT n. 2, febbraio 2018 Seconda cover

Elezioni: le cose che contano

Quattro temi veri, discriminanti. E le parole che li rivelano.

Questa volta parliamo di politica. Facciamo cioè finta che i partiti e i candidati proposti siano credibili, che diano un ragionevole seguito agli intenti preelettorali, e che nel gran rimescolamento delle alleanze post elezioni, i programmi (e gli uomini) contino. Sappiamo che sarà così solo in parte: quanto basta comunque per cercare di dare un voto il più possibile ragionato. Individuiamo quindi pochi – quattro - temi discriminanti: ci riserviamo nel prossimo numero, a ridosso del voto, di intervistare su questi i candidati che riteniamo più significativi.

Fisco

È l’argomento più gettonato: “tagliere le tasse” è lo slogan di tutti. Immediatamente comprensibile, strappa subito un facile applauso: ci si distingue per quale tipo di tassa si vuole togliere, se sull’abitazione, sulla Rai, sull’università, ma il coro è generale, tagliare le tasse è il mantra.

Non siamo per niente d’accordo: perché, prima ancora del pur decisivo discorso della sostenibilità dei tagli (per il debito pubblico, gli impegni internazionali, le reazioni dei mercati, ecc.) il discorso sulla tassazione rimanda subito a quello sul tipo di società che intendiamo costruire. Le tasse servono per finanziare le infrastrutture, il welfare, la struttura statale dai poliziotti agli ambasciatori e per riequilibrare le disuguaglianze sociali e territoriali. In ognuno di questi settori si può spendere meno e meglio: però i programmi e le promesse elettorali non parlano di razionalizzazioni della spesa, bensì di tagli.

Ricordiamo il governo Berlusconi, quando furbescamente presentò i tagli all’istruzione come un provvedimento a favore della stessa, “con meno si farà meglio”: non andò a finire così. E abbiamo anche visto la fine che hanno fatto le varie spending review e i relativi commissari (l’ultimo, garbatamente messo alla porta dal sempre splendido Renzi).

Dobbiamo quindi rassegnarci a una spesa approssimativa? No di certo (e QT nel suo piccolo cerca di portare alla luce sprechi e scandali, peraltro tra il fastidio dei potenti).

Ma fino a quando non si penserà come prioritario il riordino della spesa, ogni suo taglio significa una sola cosa: riduzione dei servizi e incremento delle disuguaglianze.

Parole chiave: le promesse di tagli delle tasse.

Disuguaglianze

È un tema strettamente connesso alle tasse, e decisamente attuale: negli ultimi decenni, dopo la vittoria politica e culturale del liberismo, le disuguaglianze nel mondo occidentale sono aumentate, e di molto.

Per essere chiari, non parliamo di tassazione sulle imprese, ma sulle persone: anche nei capitalistici Stati Uniti, i miliardari pagavano tasse sul reddito superiori all’80%: al tempo dei Beatles (che se ne lamentavano) in Inghilterra si era al 95%. Poi le politiche di Reagan e Thatcher e oggi di Trump hanno finanche cancellato questi ricordi. Oggi la Lega propone la cosiddetta flat tax – vale a dire uguale per tutti - del 15%, che non è realizzabile, ma che se lo fosse sarebbe il massimo dell’iniquità.

Nefasta è anche l’evasione fiscale. Qui distinguiamo i partiti che propongono – se non altro a parole – di contrastarla; quelli che ai tanti evasori ammiccano; e quelli che per ridurla propongono di ridurre l’imposizione fiscale (come se per ridurre i furti, si proponesse di dare anticipatamente i soldi ai ladri).

Ora, se il trasferimento dei capitali all’estero presuppone, oltre a più robuste capacità investigative, accordi internazionali e magari concordi politiche fiscali almeno in Europa, è comunque vero che tutta una serie di misure sono realizzabili. A cominciare da quelle repressive (come è noto, negli Stati Uniti per l’evasione si va in galera), ma anche quelle di doveroso riordino istituzionale: a iniziare dal Catasto per avere – non solo in Trentino - una chiara conoscenza delle proprietà immobiliari; ma anche provvedimenti relativamente semplici, come lo split payment, grazie al quale l’ente pubblico, quando effettua un acquisto, l’Iva la versa direttamente al fisco, non al fornitore privato che poi deve stornarla al fisco: col che contemporaneamente si semplifica e si impedisce alla radice l’evasione. Una misura che con un certo sconcerto abbiamo visto entrare fra le cose da abolire da parte del Movimento 5 stelle. O come le tasse all’Università di Trento e altrove, pagate non in base al reddito Irpef (con le ben note distorsioni dovute all’evasione), ma secondo il parametro Isee, basato sul patrimonio, e quindi fumo negli occhi delle destre.

Questo poi si riflette sulle politiche sociali e sulla convivenza. Oggi, di fronte alla carenza di alloggi popolari, i capopopolo di Casa Pound e loro amici, attizzano rivolte: non certo per incrementare l’edilizia pubblica, ma solo per cacciare gli assegnatari dalla pelle scura.

Parole chiave: le ostilità ai provvedimenti anti-evasione.

Europa

In queste elezioni, forse per la prima volta dopo cinquanta anni, è in primo piano la politica internazionale. O meglio, dovrebbe esserlo, perché se ne parla in termini confusi, riducendola a vacui pronunciamenti pro o contro l’euro. Di fatto l’Italia, da sola, sulla scena internazionale conta zero: nelle dinamiche commerciali, in quelle finanziarie, nella tratta di esseri umani, nella sicurezza delle aree a noi contigue. Di questo occorre prendere atto con un minimo di realismo. Ma anche l’Europa, di fronte a Cina o America, o alla finanza globale, è pateticamente impotente se non è unita. Quando negli anni Novanta, di fronte all’alternativa fra più o meno Europa, i vari stati (a cominciare dall’Inghilterra, euroscettica e sabotatrice, e dalla Francia, sempre ostaggio delle proprie manie di grandeur, e a seguire tutti gli altri) decisero di coltivare “l’interesse nazionale”, tra gli applausi dei politologi. Adesso un po’ tutti si sono resi conto del destino di irrilevanza, e di incapacità di affrontare i temi veri, che consegue a tale frammentazione. Abbiamo detto tutti? È una semplificazione ottimista: in ogni paese c’è una frangia di politici opportunisti e irresponsabili che soffia sul fuoco del piccolo nazionalismo oggi ribattezzato “sovranismo”, ed altri che comunque, invece che costruire una grande Unione, preferiscono rimarcare differenze e delimitare orticelli.

Servirebbe invece una politica estera comune, una difesa comune, una politica fiscale omogenea. Senza le quali siamo in balia della finanza internazionale, siamo subalterni agli altri stati grandi e aggressivi (ricordiamo che l’Unione Europea ha un PIL complessivo di 20.000 miliardi di dollari, la Russia di soli 1,3, ma ci detta l’agenda), ci facciamo ricattare da micro entità come i paradisi fiscali o i gestori delle rotte degli immigrati.

Parole chiave: euroscetticismo e sovranismo. Ma anche “battere i pugni sul tavolo in Europa”, che non significa fare gli statisti, ma i bottegai.

Ambiente

È un tema negletto, scomparso dall’agenda politica e ignorato in campagna elettorale. Probabilmente ha stufato. Eppure, a parte pur importanti tematiche come quelle relative alla bellezza del paesaggio o alla biodiversità, ci sono argomenti vitali come la qualità dell’aria, la quantità e qualità dell’acqua, il clima, tutte cose che incidono sulla nostra stessa sopravvivenza, che dovrebbero essere prioritari. Se la Pianura Padana è una delle aree peggiori in Europa in quanto a qualità dell’aria, forse ce ne dovremmo preoccupare. Probabilmente si sconta un certo fatalismo, di fronte a temi che sembrano andare al di là delle nostre possibilità di intervento.

Non è così: e non parliamo solo di azioni globali – pur decisive – come quelle che, Trump volente o nolente, si dovrebbero mettere in campo a livello sovranazionale, ma anche di quelle che una saggia amministrazione può efficacemente adottare, a livello nazionale e locale. Ad esempio il risparmio energetico nel riscaldamento domestico, di molto migliorato attraverso tutta una serie di innovazioni tecniche e di provvedimenti legislativi, con significative ricadute sulla salubrità degli abitati e pure sull’economia. E così nella cosiddetta green economy, nell’agricoltura biologica, ecc.

Purtroppo invece, a parte i 5 Stelle che hanno riservato alla green economy ampio spazio programmatico, la parte più cospicua delle forze ed esponenti politici, perseverano nel contrapporre economia e ambiente, lavoro e salute. In Trentino, ad esempio, pensano che lo “sviluppo” consista nell’incrementare il trasporto merci su gomma attraverso realizzazioni (oltretutto in perdita) come la PiRuBi, che asfissierebbero la Valle dell’Adige per far felice una lobby autostradale.

Parole chiave: la contrapposizione sviluppo/ambiente, perfetto indice di una cultura retrograda, orientata verso un affarismo dalle vedute cortissime.

Trentino

La parola “Autonomia”, inflazionata oltre il ridicolo, ha finito con il perdere significato e appeal. Così succede che Enrico Mentana viene a Trento a sproloquiare sui privilegi autonomistici, e i trentini lo applaudono anche. Abbiamo riportato nel numero di novembre (“I soldi delle Autonomie”) lo studio del prof. Cerea sui costi delle Regioni ordinarie e di quelle a statuto speciale, da cui si evince che il Trentino, dopo gli anni in cui come area svantaggiata aveva assorbito significative risorse, oggi non è più tale, e concorre alla creazione della ricchezza nazionale.

Contemporaneamente è sempre più chiaro che i territori montani, se aggregati ad entità amministrative più ampie, popolate e ricche (vedi il Bellunese nel Veneto, il Cadore nel Friuli, ecc.) sono destinati a una totale marginalizzazione rispetto alla pianura, che ha altre esigenze, altre possibilità e altro peso politico. In soldoni l’Autonomia va preservata perché – globalmente – ha funzionato bene, e perché un’aggregazione del Trentino ad altre realtà non alpine sarebbe nefasta.

Questo però non vuol dire opporsi, anzi, a un decentramento dei poteri nelle altre Regioni, purché non sia egoistica (con le regioni ricche che mandano a quel paese quelle povere), né scriteriato – le regioni spendaccione che continuano a finanziare i propri clientelismi con i soldi degli altri (in proposito vedi l’editoriale a pag. 3). Insomma, la conclamata “difesa dell’Autonomia” rischia di essere controproducente, in quanto configura una perdente chiusura a riccio, che subito ricorda privilegi che in realtà non sono più tali; e dovrebbe essere sostituita da un rapporto positivo con il tema del decentramento del potere, anche lavorando a più ampie aggregazioni di territori, come l’Euregio, su cui infatti molto si è chiacchierato e niente fatto.

Parole chiave: difesa dell’Autonomia.