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“Giudizi universali”

Giudizi... in sospeso

C’erano più motivi di interesse per il debutto di Giudizi Universali. Anzitutto vedere il prodotto dell’incontro di due compagnie trentine innovative e fresche come Trento Spettacoli ed Evoè!Teatro – unite dalla puntuale organizzazione di Daniele Filosi – con il progetto Teatrogiornale di Roberto Cavosi, pensato ai primi del Duemila per una destinazione radiofonica. C’era la curiosità di assistere all’esperimento di una creazione con quattro registi (due interni e due esterni), e di diventarne spettatori immersi al suo interno, data la scelta della dimensione itinerante. Lo spettacolo è andato in scena all’Auditorium Melotti di Rovereto per tre volte, tra il 20 e il 22 aprile: noi faremo riferimento alla prima assoluta.

Dal vasto corpus di cronache sceneggiate di Teatrogiornale, sono stati selezionati quattro testi, trasposti in altrettanti quadri, ciascuno affidato a un regista diverso, nell’ordine Clara Setti, Stefano Cordella, Maura Pettorruso e Giacomo Ferraù, la prima e la terza anche interpreti insieme a Stefano Pietro Detassis, Marta Marchi ed Emanuele Cerra. Quattro storie a sé stanti, considerando la natura delle pièces di Cavosi e l’articolazione in “stazioni” del lavoro, a cui gli artisti hanno cercato di dare una cornice che le legasse. È il rumore inquietante e pregnante dell’acqua, dell’acqua che sgretola tempo, personalità, famiglia e mondo sommerso, a fare da filo conduttore.

Il primo quadro, Velocemente lento, è orchestrato da Clara Setti e ha per protagonista il tempo accelerato e liquido che attanaglia l’epoca in cui viviamo. La scena si svolge sul palco, con il pubblico frontale. Quattro individui – un suicida, una tassista, una donna che aspetta, un uomo allo specchio – si fanno domande, si guardano intorno, ma non entrano in contatto, soli come sono con le loro ossessioni. L’idea è buona ed arriva, ma la resa appare perfettibile.

Stefano Cordella firma la regia di Uno per quattro. Qui il tema centrale è l’io e la sua complessità, fenomeno portato all’estremo attraverso una rappresentazione alla Inside Out delle varie personalità che abitano il timido barista Carlo. Indovinata la location dell’angolo caffè, che, oltre a creare l’ambiente, favorisce un maggiore rapporto con il pubblico. È il quadro più divertente e frizzante, ma anche quello che più si scosta dall’umore dello spettacolo.

Con Acqua a Nord-Ovest, diretto da Maura Pettorruso, l’elemento acqua comincia finalmente ad assumere un ruolo portante. Un padre, una figlia e il marito si sono miracolosamente salvati da un’alluvione, ma sono beckettianamente costretti a vivere in uno spazio claustrofobico, soli con le loro delusioni e vecchi giornali. I personaggi recitano su una pedana al centro della sala video, col pubblico ai quattro lati. Una “stazione” ben ideata e coerente con la cornice, ma che sembra perdere ritmo e forza nel finale.

L’ultimo quadro, Il Bacio dello Stura, regia di Giacomo Ferraù, è la visione, vagamente buzzatiana, di un destino dinanzi al quale possiamo solo sederci e aspettare; uno scenario apocalittico riscattato però dall’incontro di due giovani che scoprono la vita e l’amore. La scena – la più esteticamente curata – utilizza tutto lo spazio della platea; il pubblico vi assiste dal palco. Un affresco bello a vedersi, ma a cui manca forse un finale convincente.

C’è poi la questione delle transizioni. Al primo passaggio non ha un avvertimento “teatrale”, il pubblico vive secondi di smarrimento e l’energia si disperde: gli artisti l’hanno recepito e hanno subito corretto il tiro. Semplice e ben riuscito il secondo cambio: il pubblico si gira di 180° ed è subito avvolto dalla fosca atmosfera della scena successiva. Nel terzo collegamento è efficace il richiamo di Maura Pettorruso, ma ancora una volta nel tragitto da un locale all’altro si perde un po’ di magia.

In definitiva, dalla prima di Giudizi Universali siamo usciti con un giudizio... in sospeso. L’esperimento è certamente originale e non mancano gli spunti apprezzabili. Abbiamo avvertito però un certo scollegamento tra i vari affreschi, una gestione della dimensione itinerante rivedibile e una relazione col pubblico da affinare. La contiguità tematica è forte solo nel terzo e quarto quadro, un po’ forzata nei primi due. Quanto al viaggio sonoro-emotivo che si vuole proporre, si deve puntare a coinvolgere l’uditorio senza momenti di cedimento. Giudizi Universali, per come è costruito, è uno spettacolo che per fare il salto di qualità necessita del giusto scambio di energia tra attori e pubblico. Un meccanismo che – conoscendo l’intelligenza degli artisti – crediamo verrà oliato di replica in replica.

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