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USA e Iran alla resa dei conti?

La rottura americana dell’accordo sul nucleare e la minaccia di nuove sanzioni rimettono in movimento la situazione in Medio Oriente

Trump annuncia la rottura dell’accordo con l’Iran sul nucleare

La recente uscita dell’America di Trump dall’accordo nucleare con l’Iran del 2015, l’improvviso viaggio di Netanyahu a Mosca alla vigilia degli attacchi aerei israeliani in Siria seguiti da contrattacco missilistico dell’Iran sul Golan, le minacce di nuove sanzioni all’Iran da parte degli USA e la manifesta dissociazione degli altri partner europei costituiscono, nell’insieme, una serie di indizi che le cose in Medio Oriente stanno prendendo una nuova piega.

Su questa stessa rubrica avevo previsto che, di fronte all’evidente successo della coalizione russo-iraniana nel puntellare il vacillante potere di Assad, Israele e gli USA non sarebbero rimasti con le mani in mano. Netanyahu in particolare ha detto a chiare lettere che Israele non può tollerare basi iraniane permanenti in un paese che confina con Israele e, giusto per accompagnare la minaccia con “argomenti”, ha fatto bombardare depositi e postazioni militari dell’esercito iraniano stazionati in Siria. A Mosca Netanyahu era andato a preannunciare proprio questa azione, spiegandone in sostanza obiettivi e limiti. Le basi russe di Tartus e di Latakia, presidi nella regione della potenza militare russa, sono state accettate da Israele, ma l’Iran deve sloggiare dalla Siria, anche perché si teme che armi iraniane sofisticate possano da qui arrivare a Hezbollah in Libano. Contemporaneamente il segretario di stato americano Pompeo (nome che come quello del generale Petreus richiama, curiosamente, l’imperialismo di Roma antica), con la consueta rudezza ha dato ad intendere che nessuna opzione, neppure quella militare, è esclusa contro l’Iran, se il paese degli ayatollah non la smetterà di allargarsi verso il Mediterraneo al contempo alimentando il “terrorismo” di Hezbollah, di Hamas e via dicendo.

Il contributo determinante dell’Iran nello sconfiggere l’ISIS in Siria (e prima ancora in Irak) all’improvviso è stato obliato, o meglio obliterato. Così come viene tranquillamente dimenticato che Hezbollah non è un movimento terrorista, ma il primo partito libanese che, alle ultime elezioni, ha vinto ed è ora il perno della locale vita politica.

Lo scenario qui sopra sommariamente delineato pone almeno due questioni, la prima relativa a un possibile scenario da resa dei conti in Medio Oriente tra l’”Asse del bene” ossia Israele-Arabia Saudita-USA e l’”Alleanza delle canaglie” Iran-Siria-Russia (con la Turchia di rinforzo); la seconda è la questione della completezza e verità dell’informazione sulla politica internazionale, la prima vittima in questo delicato frangente storico. Cominciamo dalla prima.

La malafede di Trump

Non vi sono dubbi sulla malafede degli USA che si sono unilateralmente ritirati da un accordo nucleare che la apposita commissione dell’ONU ha dichiarato pienamente osservato sinora dall’Iran. Bene ha fatto quindi l’Europa a prendere le distanze e a ribadire, anche attraverso la portavoce Mogherini, che a questo accordo non ci sono alternative e che pacta sunt servanda. E qui l’unico fedifrago è Trump, cui ha prestato un assist Netanyahu con una esibizione da circo alla TV israeliana in cui sosteneva di avere le prove del riarmo nucleare iraniano, qualcosa che ci ricorda l’assist prestato da Blair a suo tempo agli USA, con l’invenzione delle armi chimiche di Saddam. Il parallelo Blair-Netanyahu dovrebbe farci riflettere: poco dopo l’America scatenò la guerra sull’Irak con tutto quel che ne è seguito.

Una domanda s’impone: Trump e Netanyahu stanno preparando un’aggressione su vasta scala all’Iran, una riedizione della operazione “Desert Storm” questa volta sul paese degli ayatollah? Pompeo pone ora nuove condizioni per scongiurare un nuovo giro di vite sull’Iran, non previste nell’accordo nucleare del 2015, tra cui quella del blocco dello sviluppo missilistico. L’Iran risponde picche e con argomenti logicamente e persino eticamente inattaccabili: chi non sa rispettare i patti e li rompe unilateralmente non può inventarsi nuove condizioni, e tanto meno minacciare nuove sanzioni. Trump ha fatto pressioni neanche tanto nascoste sugli ispettori dell’ONU perché dichiarassero il falso, ossia che l’Iran non rispetta l’accordo nucleare, ma, non essendo la manovra riuscita, ha chiamato prima Netanyahu a “testimoniare” la malafede dell’Iran e poi – di fronte allo scetticismo degli europei e della Russia – si è inventato le nuove condizioni da imporre all’Iran: disarmo missilistico e ritirata dalla Siria. L’Iran ha avuto gioco facile, ancora una volta, a precisare che in Siria le sue truppe ci sono perché invitate da un Assad che due anni fa stava per soccombere e che in Siria e Irak le sue truppe hanno fatto comodo anche agli USA nella durissima lotta contro l’ISIS.

L’Iran sta rischiando grosso in questa fase e sa di non potere permettersi di sbagliare una mossa. Certamente la Russia di Putin è il suo primo alleato e garante, ma oggi la Russia – essa stessa alle prese con le sanzioni durissime decretate ancora al tempo di Obama da USA e Europa – potrebbe voler pagare un prezzo pur di allentare la tensione, ossia potrebbe accettare un compromesso sulla Siria. Quale? L’America e Israele riconoscono che Assad ha vinto e che soprattutto la Siria è ormai un paese entrato stabilmente nell’orbita di Putin che vi mantiene le sue basi militari e la sua finestra sul Mediterraneo; in cambio la Russia convince l’Iran a riportare a casa le sue truppe, magari compensandolo con una fetta sostanziosa negli affari della ricostruzione, che in Siria si preannunciano succulenti (motivo forse non ultimo del riavvicinamento della Turchia alla Russia…).

L’Iran ha nel frattempo alzato la voce con l’Europa, pur ben disposta come abbiamo visto a continuare a restare dentro l’accordo nucleare insieme a Russia e Cina. Rouhani ha posto però precise condizioni, ossia l’Europa 1. non può continuare a far finta di niente di fronte alla malafede di Trump e deve prendere posizione contro il ritiro unilaterale degli USA da tale accordo; 2. si deve astenere dal porre condizioni sulla politica missilistica e dall’intromettersi nella politica interna dell’Iran (in risposta alle neanche troppo velate minacce degli USA di complottare per un cambio di regime); 3. si deve opporre a qualsiasi nuova sanzione messa in atto dall’America; 4. deve garantire la libera commercializzazione del petrolio iraniano, anche aumentando se necessario i propri acquisti; 5. le banche europee devono garantire il commercio estero dell’Iran (contro il boicottaggio di quelle americane).

Sono condizioni pesanti, come si vede, che metterebbero USA e Europa in rotta di collisione, anche se si può pensare che l’Iran stia un po’ bluffando per potere sedere al tavolo con gli europei non con l’atteggiamento di chi va mendicando soccorsi. Del resto iraniani ed europei hanno ottime ragioni per non abbandonare l’accordo che ha reso possibile in questi anni la firma di contratti plurimiliardari soprattutto con l’Italia e con la Francia che, non v’è dubbio, sarebbero tra i paesi più penalizzati dalla rottura dell’accordo, come già avvenne a suo tempo dopo le sanzioni di Obama alla Russia.

Un’ultima occasione per l’Europa

Il presidente iraniano Hassan Rouhani

Veniamo alla seconda questione. Sulla stampa e i mass media europei in generale è visibile il forte imbarazzo causato dal ritiro di Trump dall’accordo nucleare con l’Iran. Ad eccezione dei paesi dell’ Est (Polonia, Ungheria ecc.), che con una sorta di riflesso condizionato si allineano sempre a ogni posizione antirussa e filoamericana, i commentatori e gli analisti hanno sottolineato che questa decisione americana rischia non solo di danneggiare ancora una volta le esportazioni europee ma anche di mettere in pericolo la pace, avendo in teoria l’Iran il diritto di ritirarsi dall’accordo in presenza del pretestuoso ritiro del suo maggiore interlocutore, e di riprendere così la sua ricerca nucleare all’ombra dello zar Putin. Sulla moralità pubblica e privata di Trump (in patria come sappiamo accusato di tutto, dall’evasione fiscale alle avventure con pornoattrici, fino alle manipolazioni elettorali) nessuno saprebbe che altro aggiungere. Ma sappiamo che la politica e l’etica pubblica o privata sono due sfere dissociate e non si possono certamente giudicare le mosse di Trump sull’accordo nucleare con criteri moralistici. Quello che la stampa e i mass media europei tendono troppo spesso a dimenticare, meglio sarebbe a dire a rimuovere, è che il nostro maggiore alleato e di fatto il dominus dell’Occidente sta giocando non da ora su diversi tavoli. E quello europeo per lui è tutto sommato il meno importante. In primis viene naturalmente il tavolo con la Cina, l’avversario e competitore globale dell’America almeno da vent’anni a questa parte; poi c’è il tavolo mediorientale dove gli interessi americani si scontrano con quelli russi e vanno a braccetto con quelli delle “illuminate” (dal luccichio dei petrodollari) monarchie del Golfo e di Israele, il cane da guardia dell’Occidente nella regione, interessati a impedire l’espansione economica e geopolitica dell’Iran.

Qui davvero l’Europa si gioca il suo futuro come entità capace di esprimere una politica estera credibile e di difendere i propri interessi. Se mantiene aperti i canali commerciali con l’Iran, darà un preciso segnale all’America di Trump facendo comprendere che la sudditanza acritica verso Wall Street e gli interessi dei paesi arabi del Golfo sta per finire. Ma se perde anche questa ultima occasione, dopo la Brexit e una ipotetica Italexit, non è probabile che l’Europa ne avrà presto un’altra.