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Italandia

Bruno Zaffoni*

Questa è una fiaba, la fiaba di un paese chiamato Italandia. Strano paese, l’Italandia: una nazione dal passato glorioso, capace nei secoli di edificare città, progettare monumenti, immaginare opere d’arte ancora oggi ammirate, tanto che la voce turismo è ancora tra le poche attive del suo bilancio. Una penisola bagnata dai lunghi fiumi del nord e dal mare blu del sud: acque benedette che facevano germogliare i migliori frutti della natura nelle sue rigogliose pianure pedemontane e offrivano come un dono degli dèi le risorse del mare. Prodotti di terra e di mare sapientemente elaborati in piatti reputati tra i migliori al mondo. C’era stato perfino un periodo d’oro, nel quale anche l’industria era rinomata per qualità e quantità: l’Italandia era considerata uno dei maggiori produttori di automobili economiche, nonché esportatrice di prodotti lavorati con la creatività tipica della sua gente.

Per questo fu davvero una sorpresa per i suoi circa sessanta milioni di abitanti, tutta gente operosa (sia pure, come mormorano gli snob d’oltreconfine, incline all’arte di arrangiarsi e un tantinello festaiola), trovare di botto l’Italandia relegata tra il trentesimo e il quarantesimo posto nella classifica della produttività mondiale. E oltre il cinquantesimo nella classifica della libertà d’informazione... ma questa è un’altra storia. O no? Cos’era successo, per dissipare improvvisamente questo patrimonio di cultura e di laboriosità?

Era successo che si era instaurato un governo imbelle, più teso alla conservazione degli interessi di pochi che allo sviluppo degli interessi di molti. Un governo democratico, certo, ma eletto da una popolazione a cui il detto panem et circenses non ricordava nulla.

Comandava il governo un premier dai trascorsi poco chiari, un uomo venuto dal nulla e diventato il più ricco del paese, sceso in campo per proteggere i suoi personali interessi dagli attacchi veri o presunti di quello Stato che andava a occupare. La sua apparizione sulla scena politica spaccò il paese in due. Da una parte coloro che in buona fede pensavano che “se uno ce l’ha fatta nella sua vita può farcela anche nella mia” e coloro che, in altrettanta buona fede, credevano che “se rubano loro lo posso fare anch’io”.

 Dall’altra parte una moltitudine di perenni sconfitti in via d’estinzione, nostalgici di tempi in cui le sconfitte almeno avevano un senso; qualche bastian contrario; qualche sospettoso galantuomo allergico alle TV. Già, le TV: perchè il premier italandese possedeva metà delle reti, dalle quali trasmetteva gossip, soap opera, quiz a premi e candid camera, il tutto condito da belle ragazze fatte in serie e sprizzanti gioia di vivere, inframmezzati da pubblicità e informazione basate sugli identici criteri di comunicazione. Tanto da costringere la concorrenza, peraltro sotto stretto controllo degli accoliti del premier, a uniformare il proprio palinsesto per non soccombere, e a sfornare schiere di giornalisti più zelanti del re.

Non bastasse, la generosità del premier mise a disposizione della plebe anche la sua squadra di calcio, cosicché la gente potesse gioire con lui durante le partite di Champions League. Finalmente il paese poteva diventare una nazione felice, anche se sempre più povera e litigarella. Ma chi l’ha detto che la felicità ha bisogno di benessere e pace sociale? Non bastano football, pettegolezzi e belle gnocche?

Ma in tutte le fiabe c’è un colpo di scena. Il premier fu colto con le mani nel sacco. Tanto per cambiare, conflitto d’interessi aggravato dalla corruzione di parecchi giudici. Per la prima volta Polizia, Esercito e Magistratura furono d’accordo: era un’indecenza, il premier andava allontanato.

Così il Capo della Polizia, il Generale con più stelle e il Presidente della Corte Suprema si recarono dal Capo dello Stato, un ultraottuagenario amatissimo dal popolo. Il quale non poteva, per ragioni di protocollo, dire ciò che pensava, cioè che in democrazia un furfante resta furfante anche se viene eletto. Però non poté esimersi dall’invitare il premier, che si trovava in quei giorni in visita all’amico George W. Bush, a non farsi più vedere nei paraggi. Il premier visse comunque molti altri anni, in esilio sì, ma felice e contento. E sempre ricco.

P. S. Mi accorgo che fra un copincolla e l’altro, mi sono trascinato un refuso qua e là. Italandia va letto Tailandia. E questa non è una fiaba, ma una storia vera e recente: il premier si chiama Thaksin Shinawatra; il Capo dello Stato è il buon re Bhumipol, ovvero Rama IX. Ah, e la squadra di calcio è il Manchester City.

* Grafico di lungo corso per mestiere; fumettaro, autore di giochi e narratore per piacere. Suoi racconti e giochi sono presenti in Internet, sulla carta stampata e in cd-rom. Ha collaborato con molti periodici come grafico, illustratore e redattore. Attualmente conduce, sul binario www.zaffoni.it, la rivista di narrativa online Orient Express, che pubblica racconti di autori famosi e non.

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