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Noi ladini e gli altri

Come una lingua minoritaria può costituire una grande ricchezza. E un esempio per tutti.

Moroder Leander

Sono cresciuto in una famiglia media ladino-gardenese, insieme ai genitori e ai miei fratelli. Mio padre faceva l'artigiano-scultore in legno, mentre mia madre, oltre ad accudirci, affittava ai turisti - allora per lo più tedeschi - varie stanze a mo' di garnì.

Nei primi anni la lingua usata dai genitori nei confronti di noi ragazzi era il tedesco, più o meno dialettale, mentre fra di loro, anche in nostra presenza, si intrattenevano in ladino-gardenese. Questo uso linguistico durò un paio di anni, poi passarono gradualmente ad usare il ladino anche con noi. Arrivai quindi alla scuola elementare con la conoscenza del ladino recepita in modo passivo in casa, alla scuola materna e soprattutto attraverso gli amici, con i quali parlavo esclusivamente il ladino.

Inoltre avevo imparato l'italiano sempre alla scuola materna, dai figli dei turisti e dalla televisione.

Non ho memoria di particolari problemi linguistici, né durante la nostra villeggiatura al mare, né a scuola, né tantomeno ricordo che la questione dell'identità linguistica e culturale abbia occupato i nostri pensieri in particolar modo, anche in età più avanzata. A casa ci tenevano che a scuola il profitto fosse buono in tutte le materie e non facevano differenza fra le lingue.

Dico questo perché, in verità, l'ora di ladino veniva da noi ragazzi presa poco sul serio, forse perché sentivamo che tutto l'ambiente scolastico vi dava poca importanza. Sono quindi cresciuto con dimestichezzza in più lingue, leggendo sia libri tedeschi che italiani, e al momento della scelta della lingua per il tema scritto all'esame di maturità, ebbi difficoltà a scegliere fra l'italiano e il tedesco.

Fu durante gli anni dell'università, a Bologna, che anche a me, come a tanti altri, è capitato di rendermi conto concretamente di fare parte di una comunità linguistica particolare. Mentre gli studenti sudtirolesi tendevano ad incontrarsi soprattutto fra di loro, io non avevo problemi a fare conoscenza con le persone del posto, sia bolognesi che non, intrattenendomi con loro magari anche sui problemi della lingua. Alcuni studenti, dopo cinque anni di vita a Bologna, non avevano, per esempio, mai parlato coi vecchietti che usavano giocare a carte nei bar che frequentavamo per il pranzo; mentre io parlavo volentieri con loro, se non altro per sentire il loro dialetto bolognese, che tanto mi piaceva.

Mi resi conto che anche gli altri studenti ladini si trovavano nella mia situazione, e che quindi la ragione di una maggiore facilità di inserimento nella realtà bolognese era dovuto al fatto di essere ladini.

Anche oggi posso dire di non avere scelto i miei amici o conoscenti, le mie letture, i film in tv o al cinema, le mete dei miei viaggi, a seconda della lingua che avrei dovuto usare.

Magari qualcuno sarebbe tentato di dire che non ho un'identità, che gente come me non è né carne né pesce; io preferisco pensare che la mia identità di ladino, confrontata giornalmente per lo meno con altre due lingue oltre alla mia, mi contraddistingue, ma non per questo mi contrappone agli altri. Non ho alcun timore di essere assimilato a nessuno, culturalmente parlando; parto dal mio essere ladino per confrontarmi con il mondo, si curo di poter apprendere da tutti.

Mi rendo conto che anche nelle vallate ladine non tutti la pensano così, ma so che il mio modo di ragionare, solo pochi chilometri più a ovest o a sud, nei paesi o a Bolzano, è ancora più raro, e quindi mi rallegro di essere cresciuto dove sono cresciuto. Per questo, per potermi confrontare senza timori con gli altri, cerco di curare ciò che mi ha permesso di vivere in questa provincia con gli altri e non contro gli altri.

Parlo della lingua ladina, che essendo fortemente minoritaria e ancora carente nel lessico moderno, viene spesso usata inserendovi in modo esagerato forestierismi, (anche quando le parole ladine esisterebbero), tanto da suscitare anche l'ilarità di italiani e tedeschi. Lavorando nell'Istituto culturale ladino "Micurà de Rii", ho quotidianamente l'occasione di dare il mio contributo affinchè il ladino e i ladini non solo non perdano la propria identità, ma la rafforzino, rendendosi conto che sono in grado di poter dare un grande contributo alla coesistenza di culture diverse in una terra sola.

Infìne, riallacciandomi a quanto detto all'inizio sulla mia infanzia, devo dire che le mie figlie, di tre e cinque anni, sono state abituate a sentire e imparare in casa sia il ladino che il tedesco, la lingua di mia moglie. Cambiano lingua con grande disinvoltura, e seguono anche i programmi televisivi in italiano, comprendendo ogni giorno di più anche questa lingua che pur a casa non usiamo.

Siamo convinti di dare loro, crescendole in questo modo, dei vantaggi non indifferenti in quella che sarà l'Europa del futuro.

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