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QT n. 3, 7 febbraio 1998 Servizi

Come ti subaffitto il camoscio

Usi, costumi - e privilegi - dei cacciatori trentini.

Borzaga Francesco

Ho recentemente letto sulla stampa quotidiana del bel regalo fatto ai soci, una quarantina, da parte della Sezione di Stenico della Federcaccia: un telefonino portatile, destinato a completare, con i fuoristrada, i fucili e i binocoli, l'armamentario usato per l'abbattimento dei camosci e degli altri animali selvatici. Un presente indubbiamente utile.

Non sono cacciatore, e anzi ho poca simpatia per la caccia. Mi interesso però della nostra fauna, e sono convinto che la stessa, come del resto è dichiarato dalla vigente normativa, costituisce patrimonio di tutta la collettività. Mi chiedo quindi per quale ragione i cacciatori possano godere così in esclusiva i notevoli proventi derivati dallo svago venatorio.

Come ho avuto altre volte occasione di far presente, l'illuminata imperatrice Maria Teresa, allorché abolì su di una parte dei propri territori il principio romano della "res nullis " (in parole povere, la licenza spettante a chiunque di impadronirsi di ogni animale selvatico che capitasse a tiro), aveva fissato l'attenzione proprio sul valore economico degli animali selvatici, considerati quale frutto del fondo e quindi reddito del medesimo. Per questo motivo il territorio dei Comuni fu vincolato d'ufficio a riserva di caccia e assegnato mediante pubblica asta e ai Comuni fu destinato il ricavato della medesima. Se non sbaglio, questo sistema vige tuttora in Germania e in Austria, e non mi risulta che quei Comuni se ne lamentino.

Questo sistema delle riserve comunali di caccia fu mantenuto anche dopo l'annessione della nostra regione all'Italia. Il principio si ritrova nel Testo Unico del 5 giugno 1939 n.1016 e inoltre persino nell'alt. 5 della Legge Regionale 7 settembre 1964 n.30, un testo fatto a tutto prò dei cacciatori da cacciatori (forse Kessler, Pifferi, Morelli), nel quale tuttavia è ancora fatta precisa menzione del canone da corrispondere ai Comuni.

Purtroppo negli anni seguenti questo sacrosanto canone, dovuto ai legittimi titolari del diritto di caccia, fu fatto sparire silenziosamente, il che costituisce prova evidente del potere enorme di cui la consortela venatoria dispone nel nostro sistema politico-amministrativo. Esattamente quando e in che modo, confesso di non essere mai riuscito a comprendere. In conseguenza di ciò, i nostri cacciatori, soprattutto di valle, sono venuti a trovarsi in una situazione invidiabile. E' vero che una buona percentuale dei medesimi risulta assolutamente insensibile ad ogni considerazione un po' elevata, che veda gli animali selvatici quale fonte di gioia spirituale e di estetico godimento. Però chiunque abbia un minimo di conoscenza vorrà convenire sull'elevato valore economico della selvaggina delle nostre montagne.

Cervi, camosci, caprioli e tutto l'altro ben di Dio costituiscono un vero tesoro e tutto questo è stato messo benevolmente dal legislatore trentino a disposizione della Federcaccia e dei suoi iscritti.

A parziale risarcimento delle spese e delle cure connesse all'esercizio amministrativo, alla Federcaccia provinciale, organizzazione ufficiale dei nostri cacciatori, arriva un ingentissimo contributo dal pubblico erario.

Tanto più rosea è la situazione delle Sezioni cacciatori di valle più ricche di territorio e povere di soci, per le quali il piacere venatorio viene in certo qual modo a tingersi d'oro. Così, ad esempio, i più pigri fra i cacciatori possono cedere a terzi, non gratuitamente, i camosci o i caprioli loro assegnati che personalmente non vogliano abbattere. E' potuto anche accadere, a quanto mi fu riferito, che una Sezione della Valle del Chiese abbia "subaffittato" anni fa ad un'industria bresciana, una porzione rilevante della riserva di caccia.

Anche i permessi "d'ospite", secondo quanto sospetto, possono portare con sé notevole reddito. Non mi spiegherei, altrimenti, perché in autunno la piana di Fiavè, nei pressi del biotopo, pulluli di uccellatori bresciani giunti dalla pianura con la benevola qualifica di "ospiti". La redditizia pratica dei "permessi d'ospite" ha ancora portato all'orlo dell'estinzione la pernice bianca, prezioso endemismo delle nostre montagne.

Inviterei dunque i nostri Consiglieri provinciali (naturalmente i non cacciatori) ad approfondire l'argomento. Mi sembra infatti giusto ripristinare il carattere comunale delle riserve, riportando così alla disponibilità pubblica anche i notevoli proventi derivanti dal patrimonio faunistico. Giudico preferibile che questi introiti siano impiegati, magari, per il sostegno degli indigenti o per opere di comune utilità, piuttosto che per cene o per l'acquisto di telefonini a prò di persone già benestanti. Stimo ancora giusto che anche ai non cacciatori sia data voce per la gestione della fauna presente nelle riserve.

In definitiva, non mi sembra accettabile che l'amministrazione e il godimento di un bene comune siano lasciati in esclusiva ad una piccola minoranza. Sarò molto grato se queste mie considerazioni otterranno una risposta...

Francesco Borzaga è presidente del WWF trentino

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