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QT n. 3, 7 febbraio 1998 Servizi

Carlo Azeglio Cofferati

Sergio Cofferati alla Festa dell'Unità di Folgaria: la "rivoluzione" nei principi storici della sinistra in tema di economia.

Accetta il superamento delle pensioni di anzianità. Arriccia il naso alla riduzione per legge dell'orario di lavoro. Si accorda più facilmente con Fossa che con Bertinotti. Alla Festa de l'Unità a Folgaria, di fronte ad una platea tutta rossa, il leader della CGIL ha spiegato, con qualche provocazione, perché al sindacato i vecchi luoghi comuni della sinistra non bastano più. E ha convinto.

Economia di mercato anziché capitalismo. Imprenditori, o l'impersonale impresa, anziché padronato. Lavoratori, o addirittura l'asettico popolazione attiva, anziché classe operaia. Basterebbe uno studio sul linguaggio del sindacato e della sinistra negli ultimi vent'anni, per capire quanto siano cambiati i rapporti sociali nel nostro paese. Ma a Folgaria Cofferati ha offerto anche ai più smaliziati un saggio interessante di questa "rivoluzione".

Al suo arrivo alle nove di sera al palasport, il pubblico, fatto per lo più da pensionati col cuore comunista, provenienti dalle sezioni più rosse del PDS, lo accoglie con un calore paragonabile a quello che i teenager riservano ai divi del rock. Cofferati a fatica riesce ad aprirsi un varco tra una folla di attempate signore che lo vogliono toccare e baciare, anziani che gli porgono le mani callose per una stretta. Ma non mancano i giovani che chiedono l'autografo. E lui accontenta tutti, non nega baci, abbracci, strette di mano (e interviste, come quella gentilmente rilasciataci a mezzanotte) a nessuno, senza mai irritarsi nonostante la faticosa giornata. Anzi, lo staff del PDS trentino ha dovuto prelevarlo a forza per portarlo a cena, mentre lui si attardava a chiacchierare con gli addetti alla cucina e ai banconi dei bar della festa. Cose d'altri tempi. Assolutamente di questi tempi, è invece stato ciò che Cofferati ha detto nel corso dell'intervista pubblica.

Tema forte della serata, manco a dirlo, la riduzione per legge della settimana di lavoro a 35 ore, sulla quale il segretario della CGIL è stato protagonista di una vicenda paradossale, che l'ha visto convergere con Confindustria, intendersi con Ciampi, farsi superare a sinistra da D'Alema e scontrarsi con Bertinotti. E nonostante il suo usuale tono tranquillo, così lontano da quello del comiziante e poco incline alla ricerca dell'applauso, Cofferati è riuscito ad essere efficacissimo. Gli è bastato poco per far capire perché continua ad essere contrario alla riduzione per legge dell'orario di lavoro. Su questo tema la legge ha sempre seguito e mai anticipato la contrattazione, fissando insomma solo dei limiti massimi (ad esempio, oggi la legge prevede 48 ore settimanali, contro le 40 della contrattazione). Se passa la logica che è la legge, anziché la contrattazione, a stabilire l'orario, vuoi dire che oggi ci può andar bene perché c'è il centro-sinistra al governo, ma domani? Il massimo che si può accettare, dice Cofferati, è che la legge esprima un indirizzo.

Ma poi, siamo proprio sicuri che la riduzione dell'orario sia in sé un vantaggio per i lavoratori? Non è detto. Cofferati lo spiega con un esempio esilarante. Un lavoratore finisce la sua giornata alle 17 e prende l'autobus delle 17.10 per tornare a casa. Se gli riduciamo l'orario di lavoro di un'ora alla settimana, ogni giorno esce dodici minuti prima, ma per andare a casa deve prendere lo stesso autobus. Nella migliore delle ipotesi non gli abbiamo portato alcun giovamento, nella peggiore, se l'inverno è freddo, gli stiamo danneggiando la salute.

Morale: la riduzione dell'orario può essere inutile, o addirittura dannosa, se non è inserita in un più complessivo progetto di riorganizzazione dei cosiddetti "tempi di vita", ossia gli orari dei negozi e degli uffici, dei mezzi di trasporto pubblico, delle scuole e così via. Secondo Cofferati, ad esempio, trent'anni fa è stato un errore trasformare la riduzione dell'orario da 48 a 40 ore settimanali, totalmente e solamente nella "festività" del sabato. Si perse un'occasione preziosa per migliorare la qualità della vita. E invece, il risultato è stato quello di trovare, il sabato, gli uffici pubblici chiusi, i servizi dimezzati e magari, come a Trento fino a poco fa, le serrande dei negozi abbassate. E a tutto ciò si è sommata una perdita di produttività delle imprese (per via dei maggiori tempi morti dei macchinati) i cui costi sono ricaduti sugli stessi lavoratori.

La direzione da prendere per la riduzione dell'orario, secondo Cofferati, è invece quella della flessibilità. Anzitutto, perché una riduzione dell'orario di lavoro oggi non potrebbe più configurarsi come riduzione dell'orario dell'impresa, pena una perdita di competitività che rischierebbe di essere pagata con maggiore disoccupazione. E poi perché la flessibilità - udite udite - gioverebbe anche ai lavoratori!

Cofferati si spiega con un altro esempio. Immaginiamo che ogni lavoratore possa disporre, sul posto di lavoro, di una propria "banca del tempo". Quando l'impresa ne ha bisogno, si fanno gli straordinari, che vengono conteggiati e accumulati in questa particolare "banca". Quando invece è il lavoratore ad avere bisogno, utilizza le ore accumulate come crede. E' un sistema adottato con successo già da diversi anni nei "socialisti" paesi scandinavi, e là apprezzato soprattutto dai lavoratori.

In questo modo, le esigenze dell'impresa e i bisogni dei lavoratori potrebbero incontrarsi, aiutandosi a vicenda. Quando si parla di riduzione dell'orario, Cofferati non pensa insomma a un'ora in meno al giorno, ma ad un monte ore mensile, o addirittura annuale, su cui poter giostrare con flessibilità, appunto. Cosicché la fabbrica di condizionatori potrebbe richiedere ai lavoratori un impegno maggiore in primavera, riducendo invece l'orario in autunno.

La riduzione dell'orario a parità di stipendio, come sostiene Bertinotti, per Cofferati è una presa in giro. Le 35 ore costano - ha detto a Folgaria ad una platea in religioso silenzio - e vanno pagate con l'aumento della produttività. Che significa? Che per alcuni anni, l'aumento della produttività dovrà essere pagato ai lavoratori, anziché con un aumento del salario, riducendo l'orario.

Cofferati (a differenza di Bertinotti) dimostra di aver imparato una delle leggi fondamentali dell'economia di mercato: i salari sono una variabile dipendente dalla produttività. Non si scappa. Quando si aumentano i salari senza un corrispondente aumento della produttività, l'inflazione schizza all'insù e il potere d'acquisto torna quello di prima. Con l'aggravante di un'economia sgangherata, che produce rialzo dei tassi d'interesse, maggiori guadagni per i possessori di titoli pubblici e posti di lavoro in fumo. In soldoni: per lavorare meno bisogna rinunciare a qualche aumento.

E la mitica Volkswagen, di cui tanto si parlò? Là hanno ridotto l'orario, ma pure il salario: una formula che si può accettare come transitoria per salvare i posti di lavoro in un'azienda in crisi, una sorta di patto di solidarietà tra operai. Ma non è certo la strada da seguire per ridurre l'orario.