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Il ritorno dei dorotei, l’impasse della sinistra

Da Grandi a Mengoni nella Margherita, il ritiro di Tonini e Micheli nei Ds: quando i destini degli uomini significano arretramenti politici.

C'è secondo noi un filo che lega le notizie politiche di questa quindicina - il ritiro delle candidature di Giorgio Tonini e di Walter Micheli nei Ds; il congresso della Sat; Dellai che blocca la candidatura di Azzolini nella Margherita; il ritorno in auge dell'ex-presidente Flavio Mengoni - un filo che cerchiamo di dipanare.

Iniziamo dai problemi della sinistra e dal rifiuto del posto in lista da parte di due nomi pesanti come Giorgio Tonini (dei cristiano-sociali) e soprattutto Walter Micheli (già vice-presidente socialista della giunta provinciale). Due rifiuti garbati, assolutamente non polemici, anzi accompagnati dalla disponibilità a lavorare per la campagna elettorale (disponibilità effettiva, Tonini è l'estensore del programma dei diessini). Ma che comunque indicano un disagio -acuto- in un'area importante, decisiva della sinistra.

Usando una rozza schematizzazione, possiamo dire che oggi nella sinistra - e soprattutto nella sua componente principale, i Ds - esistono due posizioni. Da una parte chi pone come prioritaria la necessità di allearsi e quindi le ragioni delle alleanze e degli alleati; dall'altra chi privilegia i contenuti, i motivi per cui si chiedono voti e ci si allea. In teoria le due posizioni non dovrebbero essere confliggenti: stabiliti i propri programmi, i propri obiettivi, si cercano i possibili alleati, si fanno le dovute mediazioni, e assieme si affronta il momento elettorale e\o si gestisce il governo.

Nella pratica le cose non sono così lineari. E non lo sono soprattutto in un momento convulso, di confuso passaggio come quello attuale. E meno che mai lo sono per l'Ulivo trentino, in cui confluiscono due componenti come la sinistra -storicamente debole, e abituata nella sua componente comunista solo a una frustrante posizione di opposizione- e quella post-democristiana, inesorabilmente attratta dalla tentazione di ricostituire gli schemi politico-sociali che le permisero un quarantennale governo assoluto.

Ed ecco quindi nella sinistra la parte che privilegia l'alleanza sui contenuti, ridursi in condizioni di subalternità: evidente, conclamata in chi - i candidati Giuseppe Parolari e Margherita Cogo in testa - pubblicamente proclama Dellai come proprio leader; più problematica in chi - il segretario Albergoni - si rifiuta di difendere le ragioni del proprio partito dagli attacchi dei centristi (Dellai e i suoi che attaccano la politica ambientale di Micheli, bollata come "vincolista"; oppure le riforme degli ex-assessori di sinistra, presentate come "frustrazioni personali" di personaggi in declino).

Da questa dinamica la sinistra esce bastonata: sbeffeggiala la sua esperienza di governo riformista durante l'Andreotti 2; ridotti a libri dei sogni i suoi bei programmi elettorali; messa in disparte come troppo dirompente (!) l'idea-guida di avviare il Trentino oltre l'era del doroteismo. A questo punto è logica la sofferenza dell'ala che più si rifà ai contenuti: di qui gli abbandoni di Tonini e Micheli; di qui le difficoltà di Mauro Bendi, già assessore che impostò la riforma istituzionale che avrebbe dovuto ridisegnare il Trentino post democristiano, e che oggi si ritrova alleati (nella lista dell'osannato Dellai) proprio quei presidenti dei comprensori che più boicottarono il processo riformatore; ed anche di Vincenzo Passerini della Rete e di altri ancora.

Si sovrappone poi un altro problema, una differente visione della politica e del Trentino. Da una parte chi ritiene la sinistra indefinitamente relegata a un ruolo marginale, un 20% da gestire al meglio, attraverso raffinate alleanze con chi -il centro- riesce a interloquire davvero con il grosso della società; dall'altra chi invece ritiene che in questo momento di grossi rivolgimenti, i giochi siano più che mai aperti, ampi settori sociali, una volta moderati, siano coinvolgibili in discorsi di rinnovamento, da non delegare\regalare agli ex-DC.

Di questo abbiamo avuto due esempi -eclatanti- nei giorni scorsi. Al convegno della Confindustria, in cui gli industriali, sia pur non linearmente, ponevano però con forza il problema del rinnovamento istituzionale; e a cui la sinistra avrebbe potuto con ogni diritto presentarsi come interlocutrice, proponendo la sua pratica politica, la sua avanzata produzione legislativa in merito; ma non lo si è fatto, forse perché "le riforme non portano voti", o per "non mettere in difficoltà Dellai". E ancora: la Sat, un'associazione vasta, autorevole, radicata, un pezzo di storia vera del Trentino, ha svolto il suo congresso all'insegna dell'ambientalismo più genuino, della ricerca del turismo compatibile, della denuncia delle politiche attuali; la sinistra avrebbe, a buon diritto anche qui, potuto fornire una sponda, un sostegno, un orizzonte politico; ma anche qui non lo si è fatto, nessuno (tranne l'ex-assessore Leveghi) era presente, nessuno è poi intervenuto, forse perché "i vincoli spaventano la gente" come se i 20.000 soci Sat non fossero gente anch'essi.

Questa timidezza, questa scarsa consapevolezza di sé da parte dei riformisti, rende più baldanzosi gli alleati centristi. Che ora, spudoratamente, cercano a sinistra addirittura una copertura alle proprie brutture: è il caso del presidente della giunta regionale Tarcisio Grandi, personaggio impresentabile, affossatore delle riforme, sul l'orlo della sfiducia da parte di un Consiglio regionale che non ne può più delle sue doppiezze; bene, Dellai, in nome dell'alleanza, chiede a sinistra voti a favore di Grandi, e c'è chi vorrebbe esaudire anche questa sua richiesta.

Il fatto è che la mancanza di fermezza sui principi riformatori ha indotto un peggioramento negli stessi centristi e in Dellai. Non incalzato dalla sinistra, che su tutto lo assolve, Dellai si deve essere convinto di poter ricostituire i metodi e il sistema di potere democristiano: di qui l'incredibile esclusione dalle liste della Margherita, anche a costo di perdere un bei po' di voti in quel di Rovereto, dell'ex deputato Azzolini, reo di avere una personalità che in qualche modo potrebbe costituire un'alternativa al supersindaco; di qui -ancora peggio- il tentativo di rimediare al conseguente "buco" di candidati roveretani, con un accordo di desistenza (per ora solo chiacchierato, ma la cosa è ugualmente indicativa) con il Centro di Valduga, ossia il partito degli assessori dell'Andreotti 3, il massimo concentrato del clientelismo e conservatorismo doroteo.

In effetti il doroteismo -non più contrastato- sta dilagando. E' di questi giorni la nomina a presidente dell'Aspe (il nuovo importante ente provinciale gestore dell'energia elettrica) del redivivo Flavio Mengoni, ben noto ai nostri lettori di lungo corso, già presidente della giunta provinciale in uno dei momenti più bui dell'Autonomia, responsabile dello scialacquio di denari pubblici nell'acquisto delle famose 3 Torri, condannato a tre mesi di arresto per aver incautamente accettato da un emissario del presidente dell'Autobrennero Pancheri 15 milioni senza averne previamente verificata l'origine. E ancora potremo parlare dei culi di pietra all'Unione Commercio, il tentativo di ingessare il presidente Detassis alla Camera di Commercio ecc.

Insomma, il Trentino che vuoi rimanere fermo, pensando di poter continuare con le clientele e il solito piccolo cabotaggio, torna allo scoperto. Non avrà futuro, ma -se nessuno, come sembra, lo contrasta- potrà fare danni decisamente consistenti.

E la responsabilità non sarà solo sua.