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QT n. 17, 10 ottobre 1998 Servizi

Ricordo di Mauro Rostagno

Dieci anni fa un omicidio ancora senza giustizia concludeva il singolare percorso di vita dell'ex leader di Sociologia.

Marta Losito

In questa settimana la facoltà di sociologia ha raggiunto il numero 17.548 immatricolazioni dall'anno della sua fondazione, vale a dire dall'anno 1962/63. Fra tutti questi studenti che qui hanno studiato, molti non si sono laureati, ma molti sono stati quelli dotati di qualità particolari, e lo sono ancora nei posti di responsabilità che occupano. Tra questi, uno studente molto particolare è stato Mauro Rostagno, nato a Torino il 6 marzo 1942, che si iscrisse nell'anno accademico 1963-64 con il numero di matricola 262.

Allora la facoltà di sociologia non era stata ancora riconosciuta dallo Stato e si chiamava Istituto Superiore di Scienze Sociali. Non esistevano altre facoltà a Trento e gli studenti si conoscevano e si frequentavano, il bar Duomo li conteneva tutti.

Mauro Rostagno arrivò a Trento nel 1964 e in breve tempo diventò un leader; non perché prendeva tutti trenta e lode, ma perché aveva fascino e capacità di elaborare un suo discorso politico che esprimeva con frasi brevi, insieme perentorie e ironiche, di una genialità indubbia. A Torino, giovanissimo e precoce nelle esperienze esistenziali, si era formato nel sindacato, dove aveva subito l'influenza dell'esperienza intellettuale radicale dei "Quaderni Rossi" di Rieser e Panzieri. Il suo modo di essere scanzonato e musicale, come lo ha descritto Sofri, veniva fuori da un suo ritmo vitale creativo che nascondeva la sua parte di timidezza.

Ricordare la sua testimonianza di vita e chiedersi perché è stato ucciso significa innanzitutto comprendere la storia degli ultimi decenni con i cambiamenti straordinari che si annunciavano, cambiamenti mondiali, che hanno visto, in quella particolare congiuntura che veniva chiamato sessantotto, Trento diventare uno dei luoghi significativi del mondo, dove la realtà era più avanti che altrove. Non solo perché hanno cominciato a diventare istituzionali nuovi saperi, come la sociologia appunto o l'antropologia, dove c'è stato il primo insegnamento accademico in Italia di psicoanalisi con Franco Pomari, e ancora prima del suo arrivo macchine piene di studenti partivano per Gorizia dove lavorava Franco Basaglia, ma dove si pensava la trasformazione in atto con spirito di libertà intellettuale e con sentimenti di solidarietà.

Ricordarlo qui oggi significa poi comprendere la sua straordinaria vita reale e singolare.

Mauro Rostagno si trasferì a Milano dopo aver finito gli esami senza essersi laureato.

Venne a presentare la tesi nel 1970 sul tema dello sciopero generale, utilizzando documenti inediti avuti dalla Germania. Tesi che però si rifiutò di discutere con i membri della commissione perché, con buona demagogia, disse loro che dello sciopero potevano discutere solo gli operai. Ebbe 110 e lode e l'anno successivo partecipò al concorso per una borsa di studio che non gli fu assegnata.

Tornò a Milano, andò a Palermo come dirigente di Lotta continua, e nel '78 scrisse che i due terrorismi, quello dello Stato e quello delle Brigate Rosse, ognuno dentro un proprio copione, avevano ucciso la vita reale e singolare di Aldo Moro.

Mauro ha cercato la propria strada con percorsi prima individuali e poi collettivi; infatti, come ha scritto, "ci si libera solo da sé, per sé. E se c'è anche un movimento è a crescere. Perché se uno nasce in un periodo povero di movimenti, che fa, aspetta?"

Ha cercato di liberarsi prima dal totalitarismo Fiat, poi da quello cattolico, interrogandosi anche sul totalitarismo marxista, non resistendo però nemmeno alla calda seduzione delle scelte collettive.

E' morto quando ha ripreso la sua propria genialità rabbiosa per denunciare solo, da emittente privata di Trapani, una forma di potere arcaica e forte che lega insieme mafia, logge massoniche e politica.