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QT n. 19, 7 novembre 1998 Servizi

Noi e loro, a scuola e non solo

Cosa si fa perché gli stranieri, a partire dalla scuola, possano inserirsi nella società italiana? I segnali sono contraddittori...

Il tema è importante: i bambini stranieri nella scuola italiana, e dunque la cosiddetta interculturalità; e l'occasione per parlarne è la presentazione, avvenuta presso le scuole elementari "Pigarelli" di Gardolo, di un sussidio didattico approntato dallo Studio Res di Trento per conto dell'Istituto Pedagogico in lingua italiana di Bolzano. Uno strumento per gli insegnanti che, trovandosi fra i banchi dei ragazzi stranieri, si propongano di favorire la loro integrazione e la socializzazione con i compagni.

L'occasione era piuttosto insolita, e forse questa circostanza, a cui si è aggiunto un buio pomeriggio di pioggia, ha fatto sì che il pubblico di insegnanti non fosse propriamente numeroso, nonostante che la questione sia sempre più importante: gli alunni stranieri. nella scuola trentina sono infatti quasi 900: 252 nella materna. 381 nelle elementari. 143 nella media e 94 nelle superiori.

Cosa è emerso dall'incontro? La constatazione che l'apprendimento dell'italiano da parte di questi alunni non è il problema più importante, anche se al principio appare come una barriera insormontabile. La difficoltà vera, quella che permane anche quando l'ostacolo della lingua è superato, è l'inserimento reale di questi bambini, la loro possibilità di entrare in comunicazione con i compagni, e dunque il superamento da parte degli italiani di tutti gli stereotipi che sappiamo; e da parte degli stranieri di un sentimento di inadeguatezza e di inferiorità che spesso li isola. Ma anche nelle scuole dove di stranieri non ce ne sono, il lavoro interculturale non è meno importante, se l'obiettivo di una scuola è quello di una società dove ci siano meno conflitti e maggiore conoscenza e comprensione reciproca.

Marco Ferretti, dell'Istituto Pedagogico di Bolzano. constata che quella provincia, grazie alla storica presenza dei tre gruppi etnici, avrebbe potuto essere il laboratorio ideale per un lavoro interculturale; ma così non è stato (chi segue le cronache regionali sa che le iniziative che dentro la scuola tendano a mescolare le carte fra italiani, tedeschi e ladini, sono regolarmente bloccate), sicché la situazione altoatesina è molto simile alla nostra, per quanto riguarda l'azione della scuola. Si trovano in sostanza, là come qui, comportamenti molto diversificati. Ci sono scuole che vivono la presenza di questi nuovi alunni come una turbativa del proprio equilibrio, in un'ottica che è soprattutto di alfabetizzazione, nell'illusione che, risolto quell'aspetto, il più sia fatto; dunque, al ragazzino straniero, qualche ora di sostegno, magari separato dai compagni, e null'altro, magari confidando che, al pomeriggio, l'ascolto della televisione completi quello che è stato fatto al mattino. E poi molte situazioni intermedie, fino alle non molte scuole che, maggiormente consapevoli, hanno compreso l'importanza della figura del mediatore interculturale, e cominciano a servirsene.

Il lavoro di mediazione interculturale, cioè il fornire ai ragazzi italiani e a quelli stranieri un tramite per capire la cultura dell'altro, ha più di uno scopo: si tratta anzitutto di rimuovere stereotipi e pregiudizi che ostacolano la reciproca comprensione, il che porta ad un clima più proficuo all'interno della classe; ed è una necessità per la socializzazione del ragazzo straniero, che spesso tiene in scarsa considerazione la propria cultura: l'esperienza dell'immigrazione, la constatazione delle difficoltà della famiglia, gli fanno vivere il mondo da cui proviene come marginale, inutile, meritevole di essere abbandonato (a volte succede che dica di non ricordare più la propria lingua di origine). Col rischio di ritrovarsi così privo di radici, frustrato, senza un punto di appoggio e dunque anche con ben poche possibilità di conquistarsi una nuova identità italiana: avere scarsa stima di sé stesso non è un buon punto di partenza. L'insegnante che riesce a far conoscere e a valorizzare le culture di provenienza dei suoi alunni stranieri ottiene un duplice risultato: ridà allo straniero una fiducia in se stesso spesso vacillante e rende gli italiani più disponibili nei suoi confronti.

La figura del mediatore interculturale uno straniero già integrato nella società italiana in grado di fungere da collegamento (fra i ragazzi, fra la scuola e le famiglie immigrate, ad esempio per le udienze), è già da qualche tempo presente e dopo gli inizi volontaristici, attuati da scuole all'avanguardia, si va lentamente ufficializzando. Attualmente esiste già, in Trentino, un elenco di cittadini stranieri disponibili a questo lavoro: alcuni già all'opera, altri in attesa di essere formati, e la loro attività servirà agli stessi insegnanti per capire meglio certi comportamenti. Un solo esempio: chi lamenta lo scarso interessamento di numerosi genitori immigrati all'andamento scolastico dei figli, deve sapere che nei paesi del Maghreb le famiglie sono abituate a delegare il compito educativo alla scuola molto più che da noi, e dunque un certo assenteismo dei genitori non è, come potremmo pensare, sintomo di disinteresse, ma di quasi doverosa non interferenza. Un atteggiamento certo da correggere, ma anzitutto da comprendere.

Il problema di una presenza attiva degli immigrati, di un loro inserimento nel contesto italiano, trova risposte contraddittorie. Se nella scuola, soprattutto in certe situazioni, qualcosa si muove, sul piano istituzionale è recente un segnale di significato opposto. La Giunta provinciale, all'interno di un meritorio lavoro di sfoltimento di organismi inutili, ha però buttato via il bambino insieme con l'acqua sporca, abrogando la Consulta per l'immigrazione, che era la sola sede ufficiale nella quale i rappresentanti dei cittadini stranieri potessero far sentire la propria voce, soprattutto dopo il fallimento dell'esperienza di Shangrillà, l'unica associazione che si basava su una partecipazione paritaria di italiani e stranieri e che si proponeva di fare dell'immigrato un soggetto attivo, anziché un semplice utente di servizi, trattato come marginale e che dunque come tale tenderà a comportarsi.

In positivo va invece segnalata è di questi giorni l'istituzione di un Centro interculturale, che, su iniziativa del Comune di Trento, della Provincia, dell'Iprase e del Forum per la Pace, dovrebbe trovare sede presso le scuole "Sanzio" e fungere da centro di documentazione che raccolga i materiali pubblicati e permetta di socializzare le numerose esperienze già fatte nelle scuole trentine; per poi. magari, allargarsi anche oltre l'ambito puramente scolastico. Un'iniziativa meritoria che però nasce con un vizio singolare, dati gli scopi di interculturalità che si propone: è stata ideata senza che i più diretti interessati i cittadini stranieri siano mai stati sentiti. Ugualmente, diverse persone italiane che da anni si occupano di queste tematiche anche in posizioni di responsabilità istituzionali, sono venute a conoscenza dell'iniziativa a cose ormai fatte.

Vogliamo sperare che si sia trattato di una pura dimenticanza senza particolari significati: ma ci sia almeno consentito sorridere nel vedere un centro interculturale che nasce in semiclandestinità, e senza chiedere il contributo proprio di quelle persone gli immigrati che più dovrebbero essere interessati a questo Centro.

Che per di più a quanto ci viene detto si chiamerà "Mille voci"...

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