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QT n. 12, 12 giugno 1999 Servizi

Incendio del Trentino? Ma che sia fuoco vero

Il nuovo vescovo ha parlato di "incendio del Trentino": metafora retorica, o momento di svolta nella conduzione della diocesi?

Ho trovato singolare e curiosa la situazione in cui mi sono venuto a trovare domenica 30 maggio alle 3 del pomeriggio per seguire alla TV l’arrivo del nuovo vescovo di Trento monsignor Luigi Bressan e la cerimonia in duomo del suo insediamento quale 121° successore sulla cattedra di S. Vigilio.

Non ero solo davanti al televisore, ma in buona e abbondante compagnia. La disputa per il controllo del telecomando, come spesso succede, si è fatta subito vivace. E la gerarchia delle preferenze vedeva, tra gli eventi in contemporanea, Schumacher e la Ferrari in pole position, Pantani e il giro d’Italia in seconda fila, un film di Totò, peraltro splendido, in terza posizione e finalmente il vescovo con relativa cerimonia come quarta opzione, senza contare chi aveva preferito una bella passeggiata domenicale fino ai Bindesi. La contrattazione otteneva il risultato che sul vescovo si sarebbe cliccato durante le pause degli inserti pubblicitari, e (dal momento che io mi ero impegnato a scrivere questo benedetto articolo) mi si sarebbe concesso tutto il tempo che il vescovo avrebbe dedicato al suo discorso di presentazione. Da sottolineare che la concorrenza davanti al video non era composta da persone estranee alla pratica religiosa, ma da giovani che con essa hanno frequentazione e dimestichezza e che si mostrano più che ben disposti verso il nuovo vescovo nel quale ripongono la speranza che riesca a portare nella chiesa trentina una ventata di aria fresca di cui anche loro sentono il bisogno. E questo ha fatto sì che anche il resto della compagnia finisse col seguire con attenzione le parole del vescovo, grati tra l’altro anche per la relativa brevità del suo dire che permetteva così di tornare sulle altre opzioni senza perdere le fasi salienti delle stesse.

La situazione che ho descritto mi è sembrata rendere quasi palpabile il contesto in cui il nuovo vescovo viene a trovarsi e nel quale dovrà calarsi per riuscire a farsi ascoltare. Un contesto che in pochi anni è passato da una situazione, chiamiamola così, pre-moderna di chiesa-di-popolo, in cui chiesa e società civile erano profondamente integrate, a una situazione radicalmente secolarizzata, in cui la fede religiosa non è più centrale nemmeno per coloro che pure ad essa fanno riferimento e che in essa cercano, non sempre con piena soddisfazione, dei contenuti in grado di dare senso alla vita e risposte non preconfezionate alle domande che loro pongono. Senza contare altri aspetti che, un po’ provocatoriamente nei miei riguardi, la "concorrenza" del telecomando sottolineava, quali il rilievo dell’età media dei presenti in duomo che la televisione inquadrava (età media che qualora io, anziché rompere davanti al video, mi fossi collocato tra i partecipanti alla cerimonia non avrei certo contribuito ad abbassare), o la presenza ad una cerimonia pur sempre religiosa, eucaristica, di noti ed autorevoli personaggi che con la fede religiosa, è risaputo, hanno onestamente chiuso ancor da prima di essere noti, presenza evidentemente dovuta a un dovere occasionale di rappresentanza, dove solo il rapporto di potere "giustificava" la loro estraneità al contenuto religioso della cerimonia.

Ma un vescovo che proviene da esperienze diplomatiche così complesse come quelle percorse da monsignor Bressan, sa certamente distinguere i rapporti di potere dalla fede religiosa vissuta e condivisa e può anche comprendere una certa aspirazione giovanile (e forse non solo giovanile) a non veder mescolate con troppa ovvietà le due dimensioni, pur accettandone i compromessi delle circostanze. Così come il nuovo vescovo dimostra di conoscere la distinzione, che felicemente ha subito saputo fare, tra politica e fede, tra sacro e profano, riconoscendo l’autonomia delle rispettive sfere senza che questo voglia dire necessariamente separazione o contrapposizione. E questo ci sembra una premessa felice e rassicurante, che si traduce in tempestivi rallentamenti su proposte troppo frettolose di facoltà teologiche, fatte forse più per trovare spazi alle ambizioni accademiche di qualche suggeritore del principe, che per un progetto meditato e adeguato alle necessità dei tempi.

Così come è da augurarsi un raffreddamento sulla iperpoliticizzata e scarsamente trasparente (almeno nelle fonti di finanziamento) causa di beatificazione di Degasperi, di cui molti, e non solo tra i vicini fratelli sudtirolesi, non sentono particolare urgenza e che uno dei promotori si precipitava a sponsorizzare salutando il nuovo vescovo in piazza Duomo tra la folla che lo festeggiava prenotandosi per un appuntamento. Un vescovo dunque che sembra essere la dimostrazione vivente di una constatazione che molti anni fa ho sentito fare da un personaggio romano esperto in materia (e che l’esperienza mi fa condividere) secondo il quale "i trentini sono come l’insalata: buona solo se trapiantata". E l’essere stato trapiantato per anni in un orto grande come il mondo non può che essere garanzia di appetibilità.

Viene facile perciò, da que-ste prime impressioni, con-dividere l’aria di soddisfazione che autorità e popolo manifestano, pur trovando singolare che le voci che si esprimono con maggior cautela, pur unendosi al coro, siano quelle dei preti, più di altre orientate, pur speranzose, verso la futura prova dei fatti. E alla prova dei fatti monsignor Bressan è atteso da una difficile opera di declericalizzazione della stessa struttura ecclesiastica, difficile non solo per una oggettiva carenza di personale di ricambio (il richiamo alla responsabilità dei laici nella chiesa non mi è sembrato un semplice espediente di supplenza), ma soprattutto perchè troppi laici che si stringono attorno alle parrocchie sanno essere spesso più clericali dei preti e banali semplificatori di una realtà complessa. A meno che non ci si voglia accontentare di quella routine che da tempo ormai ha ridotto il riferimento di fede per molti al percorso della socializzazione primaria e secondaria. Percorso che va dal battesimo alla cresima passando per la prima comunione, e si riduce così allo stadio infantile della vita, per un imprinting in grado tutt’al più di richiamare in seguito, nella vita adulta, a qualche altra festività o ricorrenza più per ragioni di tipo estetico/emozionale che per motivazioni etiche e di fede vissuta con qualche sforzo di coerenza.

Se l’orizzonte fosse questo, ma non ci è sembrato, l’incendio del Trentino si ridurrebbe a metafora retorica di scarsa consolazione. Per un incendio vero sarà indispensabile accumulare il materiale adatto, infiammabile quanto meno.

Alle nuove generazioni infatti può far anche piacere l’uso e il ricorso competente agli ultimi ritrovati dei mezzi di comunicazione di massa, di fronte ai quali peraltro i giovani ormai sono tutti più che disincantati. Ma la minestra riscaldata rimane tale anche quando venisse veicolata da Internet, oltrechè dalle varie Radiomarie e da altri media protetti. Ma speriamo di non esserci sbagliati nel cogliere nelle parole e nei primi atti del nuovo vescovo la consapevolezza di non essere un semplice funzionario del romano pontefice (pur nella ribadita fedeltà ed ossequio a colui che lo ha scelto e nominato a reggere questa porzione di chiesa), ma pur sempre, per chi crede, anche un successore degli apostoli.

E per lui, in quanto tale, l’elemento programmatico che si trova negli Atti degli apostoli (quando questi delegano ad altri le incombenze di ordine caritativo/materiali della comunità), ritaglia "la preghiera e il ministero della parola".

Non siamo così ingenui da credere che la preoccupazione per l’ISA (Istituto di Sviluppo Atesino) e i relativi miliardi da gestire e sistemare debba essere estranea alle attenzioni del vescovo, ma che questa non sia ai vertici delle sue preoccupazioni possiamo anche augurarcelo, così come ci auguriamo che coltivi la consapevolezza che l’ISA non sia sempre nemmeno il veicolo che contribuisce in maniera determinante ad elevare il tasso di credibilità del ministero della parola.

Ma che di un ministero credibile della parola non preconfezionato, problematico, di ricerca in cui coinvolgere tutti, oggi molti sentano il bisogno, questo lo possiamo dire, offrendo il rilievo di questa esigenza diffusa a monsignor Bressan quale voto beneaugurante per lui e per questo Trentino non in quanto testata, ma in quanto porzione di mondo in cui ci troviamo a vivere e a operare.