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“Soggetti deboli”? Approfittiamone!

Rispetto della privacy e sensibilità nella stampa locale.

La stampa e gli emarginati; i media e l’immigrazione; l’informazione e il sud del mondo; i giornali e i soggetti deboli... Soprattutto da una decina d’anni in qua non so più quanti convegni, incontri e seminari su questi temi siano stati organizzati.

Credo di averli seguiti quasi tutti e di volta in volta, sempre più forte, si affermava un’impressione di déjà vu: stesse accuse rivolte al sistema dell’informazione (poca attenzione, sensazionalismo, scarso rispetto) e stesse risposte da parte dei rappresentanti della stampa locale, che replicavano secondo il seguente copione: avete ragione, dovremmo fare meglio e di più, ma l’organizzazione del giornale ce lo impedisce (o in alternativa: i lettori vogliono il sangue, non le inchieste). In futuro, però, ci comporteremo meglio, grazie anche alla sensibilizzazione prodotta da incontri come questo, e al clima di collaborazione, ecc. ecc. Un precario idillio che spesso andava in frantumi non appena qualche intervento dalla sala passava dalle accuse generiche ai casi specifici, a questa o quella notizia di questo o quel giornale. Al che, lo spirito aziendale prevaleva su qualunque altra considerazione e sensibilità, e il problema, per il rappresentante della stampa, si riduceva a questo: smentire tutto o, mal che andasse, dimostrare che il proprio giornale non era più carogna dei concorrenti.

Nel frattempo, comunque, si producevano delle novità in termini di normativa, che avrebbero dovuto portare ad una maggior tutela del cittadino - dalla Carta di Treviso alla legge sulla privacy - e l’Ordine dei giornalisti, finalmente, cominciava a discutere e a censurare pubblicamente articoli di giornale o servizi televisivi che violavano queste regole. Più volte, anche sulle nostre pagine, abbiamo ospitato qualcuno di questi comunicati. Ma nonostante convegni, normative e bacchettate dell’Ordine, continuiamo tuttavia a leggere notizie come quella che, martedì 28 settembre, compare sulla prima pagina di entrambi i quotidiani locali.

Ifatti: un bambino di sette anni, figlio di due tossicodipendenti e dato in affidamento ad una coppia di coniugi di Riva, è morto in un incidente stradale avvenuto presso Treviso mentre era in macchina con questi ultimi. Ebbene, sia L’Adige che Alto Adige forniscono, fin dai titoli, nome e cognome del bambino, dei genitori affidatari e di quelli naturali, ripetutamente qualificati, appunto, come tossicodipendenti. A proposito dei quali l’Alto Adige ha un ulteriore tocco di finezza allorché, parlando del bambino, afferma che questi, pur amato dai genitori, era però "inevitabilmente condizionato dalla loro schiavitù e in balia della loro esistenza balorda. Finché, dopo l’ultimo guaio commesso dai genitori (attualmente entrambi sono agli arresti domiciliari in due distinte comunità terapeutiche)", il piccolo è stato dato in affidamento.

L’Adige ci risparmia almeno le prediche, ma in compenso ha uno spunto umoristico impagabile quando, parlando dell’automobile contro la quale è andata a sbattere la macchina che aveva a bordo il bambino, ci informa che alla sua guida c’era un certo "M. R.". Che evidentemente, non essendo né un tossicodipendente né uno straniero, né un barbone né un ex carcerato, meritava di veder così difesa la sua privacy.

Post Scriptum

Quando in questa rubrica esprimiamo dei giudizi critici su qualche articolo tratto dalla stampa locale, abitualmente non facciamo il nome degli autori, visto che c’interessa più il peccato che il peccatore. Ma date le circostanze, e in questa orgia di "completezza dell’informazione" a tutti i costi, ci sembra inevitabile contravvenire a tale regola e dunque ricordare che i due cronisti così sensibili in tema di "soggetti deboli" sono rispettivamente Paolo Liserre per L’Adige e D. R. per l’Alto Adige.