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QT n. 10, 13 maggio 2000 Cover story

Referendum: carriere separate e imparzialità

L’unicità della giurisdizione è un bene prezioso: mantiene una comune cultura giuridica fra PM e giudici e impedisce che i PM si trasformino in super-poliziotti.

Gli interventi a votare nel referendum che prevede la separazione della carriera tra Pubblici Ministeri e Magistrati giudicanti non hanno in genere basi razionali, ma consistono piuttosto in suggestioni e sofismi. Mi ha sorpreso l’argomentazione più spesso usata, quella della imparzialità che sarebbe meglio tutelata dalla separazione delle carriere. La legge pone già a garanzia della imparzialità il principio della indipendenza (senza questa non vi può essere quella), stabilito dall’art. 101 della Costituzione: "I giudici sono soggetti soltanto alla legge", ribadito dall’art. 104: "La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere".

La legge ordinaria inoltre, per una tutela più specifica della imparzialità ora costituzionalizzata dal nuovo art. 111, stabilisce una precisa casistica circa l’incompatibiltà, l’astensione e la ricusazione, erigendo un complesso sbarramento garantistico contro ogni ipotesi di parzialità. Per la procedura penale, per esempio, il giudice che ha pronunciato o ha concorso a pronunciare sentenza in primo grado non può fare il giudice (neppure a latere) nel medesimo processo né in Appello nè in Cassazione; il giudice che ha svolto le indagini preliminari non può presiedere l’udienza preliminare, né le sucessive in caso di rinvio a giudizio; ecc.

Chi ha esercitato le funzioni di Pubblico Ministero non può, nel medesimo processo, svolgere l’ufficio di giudice in nessun grado di giudizio, e così via.

L’astensione, che è cosa diversa dalla incompatibilità, è regolata dall’art. 36 cpp: la norma obbliga ad astenersi il giudice che abbia "interesse" (anche non personale) nel processo. Parimenti deve astenersi il giudice se l’avvocato difensore "è debitore o creditore di lui, del coniuge o dei figli"; se ha dato consigli o ha manifestato il suo parere in relazione al processo, se vi è inimicizia tra lui o un suo prossimo congiunto e l’imputato o la parte civile. L’art. 37 infine stabilisce che "il giudice può essere ricusato (cioè rifiutato) dalle parti" in tutti i casi sopra indicati, e inoltre quando, prima della sentenza, abbia manifestato il proprio convincimento sui fatti di causa. In effettti il giudice che si trovasse in una delle condizioni previste potrebbe essere sospettato di parzialità. E’ a tutti evidente che un giudice che parteggi non è un arbitro, ma un giocatore mascherato nel modo più subdolo. Si pensi a una partita di calcio dove l’arbitro concede un rigore inesistente, che viene realizzato con una rete.

Ma cosa c’entra l’imparzialità del giudice con la unicità o, viceversa, la separatezza delle carriere? Il ragionamento, se ho capito bene, è paradossale. L’unicità della carriera provocherebbe un effetto unidirezionale e irreversibile, come la freccia del tempo: i Pubblici Ministeri eserciterebbero una influenza accusatoria sui giudici che ne resterebbero succubi. Nessuna influenza invece avverrebbe in senso contrario: senso della giustizia, equilibrio, ragionevolezza, equità non solo non si riverberebbero sui PM, ma verrebbero annullate negli stessi magistrati giudicanti che cesserebbero così di essere imparziali.

Un arcano inspiegabile, che verrebbe magicamente fugato solo dalla separazione delle carriere. In altre parole i PM avrebbero una sorta di potere ipnotico sui giudici, che invece ne sarebbero privi: i primi pieni soltanto di livore accusatorio, trasmissibile come un virus; gli altri invece assolutamente impotenti, incapaci di reagire.

Secondo alcuni, una volta separate le carriere, accusatori e giudicanti potrebbero continuare a essere amici, a frequentarsi, a giocare a tennis insieme, a passare le vacanze sulla stessa barca e ad avere uffici contigui, ma il virus dell’influenzabilità (a senso unico) non avrebbe più efficacia.

Il potere ipnotico, di cui dicevo prima a titolo di esempio, si manterrebbe misteriosamente vivo solo in virtù della unicità della carriera: una volta che questa fosse spezzata, svanirebbe anche il maleficio ipnotico, e i giudici tornerebbero a essere imparziali.

La ragione mi sfugge, né alcuno la spiega. Io credo si tratti di un caso di "idola Fori" a cui si crede per avere ripetuto mille volte il concetto senza avere seriamente riflettuto.

E'chiaro che sono del parere contrario e voterò No al referendum. Sono convinto che l’unicità della giurisdizione sia un bene prezioso, perché mantiene una comune cultura giuridica fra PM e magistrati giudicanti e impedisce che i PM si trasformino loro malgrado in una specie di super-poliziotti. Inoltre contribuisce a garantire l’indipendenza di tutta la magistratura. E’ abbastanza facile prevedere che, una volta separati dagli altri magistrati (che sono la grande maggioranza), i PM inevitabilmente graviterebbero o verso il ministero della Giustizia o verso il ministero degli Interni in una lenta, graduale subalternità.

L’indipendenza di coloro che esercitano l’azione penale è essenziale alla democrazia quanto l’imparzialità dei giudici. Sarebbe grave sancire per legge che la legalità deve valere solo per i poveracci e non anche per i potenti, come vorrebbe Berlusconi (che, guarda caso, è per la separazione delle carriere come Previti e come Dell’Utri).

Infine, non vedo come possa essere superata la norma costituzionale che prevede implicitamente l’unicità della carriera quando afferma all’art. 107 che "i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni".