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QT n. 13, 24 giugno 2000 Fondo

Il sacrificio di Margherita Cogo

Breve storia di una sconfitta politica. Mentre l’Autonomia lentamente affonda.

Comprendiamo la difficoltà di tanti cittadini a capire i bizantinismi della politica della Regione, di cui troppo si parla, con risultati tendenti a zero. E secondo noi proprio questa divaricazione, tra il tanto parlare e le reali volontà, è all’origine dell’attuale crisi della Giunta regionale.

Giunta la cui guida era stata fortemente rivendicata dai Ds con un obiettivo alto e conclamato: riformare l’assetto istituzionale dell’Autonomia, rivedendo proprio la Regione, ormai ingombrante scatola vuota, la legge elettorale della Provincia di Trento, causa prima dell’ingovernabilità della Pat, le leggi sui Comuni. Obiettivi ambiziosi, ma ormai indispensabili. Tutti i partner della giunta guidata da Margherita Cogo si dichiaravano pronti a questa stagione di impegnative riforme: e la robusta maggioranza (46 consiglieri su 70) sembrava una solida garanzia.

La realtà è stata un’altra: mentre i bei discorsi continuavano, assorbendo colonne e colonne di "dibattito sulla Regione", i consiglieri marinavano. Gli assessori delle due province avevano i loro impegni istituzionali, i consiglieri peones avevano le loro presentazioni e inaugurazioni cui con spirito di servizio dovevano assolutamente presenziare; così la Cogo nelle sedi istituzionali - commissioni e aula - si trovava senza truppe, in balia della mancanza di numero legale e dei vari ostruzionismi che le opposizioni felici prontamente organizzavano.

Tutto questo non è frutto - solo - di cialtroneria. Al fondo ci sono motivazioni politiche, diverse per le varie forze, ma convergenti nell’atteggiamento molto tiepido verso la politica riformista.

La Svp infatti non ama la Regione, è noto, un suo disfacimento per manifesta incapacità non le darebbe fastidio: non ha sabotato, ma ben si è guardata dal richiamare alla puntualità i suoi consiglieri, che all’occorrenza invece sono tanti soldatini. I partiti italiani di Bolzano, all’opposto, la Regione la amano troppo, la vedono come ultimo baluardo di fronte allo strapotere Svp: e quindi non la vogliono riformata, soprattutto quando le riforme tendono a prendere atto di una sgradita realtà di fatto (la supremazia delle Province). Infine la Margherita, ossia Dellai: il quale, oltre i tanti discorsi in cui è maestro, non gradisce una nuova legge elettorale che gli taglierebbe la sempre possibile via d’uscita verso il centro (vedi le manovre per sabotare a Roma la norma transitoria); inoltre vuole essere l’unico gallo del pollaio, un assurgere della Cogo a madre di una nuova Autonomia, mentre lui in Provincia non combina granchè, non gli è mai punto garbato; di qui una sottile opera di delegittimazione della stessa, e un aperto tollerare le vistosissime assenze dei consiglieri margheritini, in vacanza perpetua.

Di fronte a questa situazione si sarebbe dovuto imporre un chiarimento di fondo. Cogo - e il suo partito - avrebbero dovuto chiamare i partner italiani di Bolzano, la Svp, la Margherita, a un discorso chiaro: le riforme le si vuole o no? Se si, si lavora; se no, si sgombra il campo.

Invece i tanti vertici di maggioranza si concludevano con solenni promesse, per poi continuare come prima. Fino al prossimo vertice.

In questo atteggiamento, sostanzialmente imbelle, c’erano due equivoci. Da una parte la Cogo, che fino all’ultimo ha subito una vistosa Dellai-dipendenza; tra quelli che avevano condotto la campagna elettorale del ‘98 all’insegna del "riconosco in Dellai il mio leader", la presidente non ha voluto aprire gli occhi, nè scontrarsi con il "leader" che intanto stava giocando, e pesante, la partita per conto proprio. Dall’altra parte anche i Ds, dopo il cambio di segreteria da Albergoni a Bondi impegnati con l’acqua alla gola a cambiare rotta e a rendersi indipendenti dall’ormai ingombrantissimo presidente in Provincia, non avevano voglia di aprire un altro fronte di scontro in Regione.

E così la situazione marciva.

La Cogo tentava - maldestramente - alcune manovre, cercando di trovare il consenso delle opposizioni su alcuni provvedimenti. Ne usciva con le ossa rotte: sbeffeggiata dalle opposizioni che le confezionavano un paio di trabocchetti; e cazziata dai partner, che a questo punto, impudenti, si ritenevano in grado di fare gli offesi.

A questo punto per Margherita Cogo era finita. Lei lo capiva, e si rifiutava di proseguire una recita ormai penosa. In queste condizioni si è trovata di fronte l’ennesimo inghippo procedurale: portare avanti la legge sui Comuni come esigeva la Svp, o portare avanti la legge sul personale come pretende la Corte Costituzionale? Se diceva no alla Svp, ne veniva sfiduciata; se ancora una volta si prendeva in giro la Corte Costituzionale, questa, nella prossima seduta del 4 luglio, avrebbe esautorato il consiglio Regionale, una delegittimazione devastante per l’istituzione (a questo siamo arrivati).

Margherita Cogo sceglieva di salvare la Regione (o meglio, quel poco che ne resta). E quindi di farsi dare il benservito dalla Svp. E così chiudeva con dignità e senso di responsabilità la propria esperienza.

Resta il problema, irrisolto, di un’Autonomia che sta sempre più affondando