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QT n. 13, 24 giugno 2000 Servizi

E adesso parliamo di immondizia

Dai no categorici ai sì esecutivi. E voilà l’inceneritore.

Si fa un gran parlare di discariche, inceneritori e termodemolitori a Trento. La discarica cittadina è ormai prossima alla saturazione e la Provincia, dopo averne proposte alcune in giro per la provincia (Roverè della Luna, Capriana, Rovereto), pare aver scelto, in pieno accordo col Comune, di dislocare un inceneritore ad Ischia Podetti, zona nord di Trento in destra Adige. Alla semiclandestinità delle decisioni del Comune fanno da contrappeso allarmate assemblee di circoscrizione, lettere ai giornali di cittadini incazzatissimi, volantinaggi, ecc.

La storia è vecchia, anche se essa si impone all’opinione pubblica locale solo a partire dall ’87. Curiosamente le forze oggi alla guida del municipio erano allora su fronti opposti e pur tuttavia ben in sintonia nel rifiutare l’inceneritore. Il PCI, ad esempio, in un documento-proposta, si oppone all’impianto con tre ordini di ragioni: di ordine economico (i costi totali sarebbero aumentati del 20%), di tutela ambientale (rischi di tracimazione dell’Adige con dilavamento della discarica) e di sicurezza. Infine, dopo aver accusato il Comune di aver abdicato alle proprie funzioni di rappresentanza e tutela dei cittadini di Trento, chiede la sospensione immediata dell’iter politico-burocratico-decisionale attorno all’impianto di Ischia Podetti e lo stralcio definitivo della parte relativa all’inceneritore.

Ma quella comunista non è una posizione isolata: Leveghi dichiara inaccettabile la soluzione di Ischia Podetti e Dellai, allora capogruppo DC in Comune, confutando l’accusa lanciatagli dal PCI di subalternità di via Belenzani nei confronti della Provincia, ricorda che il Consiglio comunale si è espresso all’unanimità - DC compresa - contro l’inceneritore. Per l’attuale inquilino di piazza Dante Trento ne sarebbe stata penalizzata: al massimo si poteva parlare di un impianto di compostaggio e nemmeno a livello provinciale.

Nel settembre ’87, nel verbale di deliberazione n° 287, il Comune dichiara infatti che l’area di Ischia Podetti deve essere sede di un impianto sovracomprensoriale ma non provinciale e con esclusione dell’inceneritore.

Il gran parlare di discariche ed inceneritori nell’autunno ‘87 può esser così riassunto: i cittadini non lo vogliono, il Comune all’unanimità neanche e la Provincia è d’accordo con loro.

Ancora nel ’90 la DC comunale, a fronte di 1.500 firme contro, si dichiara fermamente contraria all’inceneritore: è un pericolo per la città e per l’intera asta dell’Adige.

Nell’aprile ’91, Malossini prende atto della contrarietà generale al progetto e in un’intervista proclama il no della Provincia all’inceneritore e il sì a tecnologie compatibili: sono previsti due impianti di raccolta (aree di Trento e Rovereto) per una spesa di 60 miliardi: lavori al via entro l’estate.

Dunque un no categorico generale all’inceneritore! Passa il tempo, ogni tanto un sussulto sulla stampa, la notizia di qualche commissione spedita in giro per inceneritori ma niente di più fino al marzo-aprile di quest’anno: gli stessi che in posti diversi e da posizioni contrastanti avevano affossato l’impianto, oggi dicono sì, un sì praticamente esecutivo. Il verbale n° 63 del Consiglio comunale impegna il sindaco e la giunta comunale ad indicare alla Provincia l’area di Ischia Podetti come la più adatta all’impianto tecnologico (leggi: inceneritore) per lo smaltimento dei rifiuti: un sì esecutivo.

Si prevedono a questo punto nuove sollevazioni, dichiarazioni, raccolte di firme, lettere ai giornali, ma in effetti il problema è lo stesso di allora: cosa fare dei noccioli di ciliegia che abbiamo mangiato? E cosa degli spaghetti avanzati a pranzo o delle vecchie foderine della macchina?

Torniamo al problema di partenza: è ragionevole opporsi a qualunque impianto di trattamento dei rifiuti? No di certo: i rifiuti esistono, li produciamo noi e a noi dunque spetta trovare le soluzioni migliori. L’inceneritore risponde in fretta a molti problemi di difficile soluzione: si tolgono di mezzo i rifiuti a base inorganica, non biodegradabili né riciclabili nel ciclo biologico naturale mediante il semplice incenerimento. A sua volta, una direttiva europea scoraggia l’accumulo di questo tipo di rifiuti in discariche ed indica nella termodistruzione la soluzione del problema, fissando le caratteristiche dei gas di combustione immettibili nell’ambiente. Un esempio di termo-utilizzazione dei rifiuti viene da Como (impianti simili a Bolzano, Ravenna e Ferrara). Lì sono in grado di smaltire sia rifiuti solidi urbani (RSU), sia rifiuti assimilabili (RSA) e rifiuti ospedalieri trattati (ROT). Il calore prodotto dalla termodistruzione di 250 t/giorno di rifiuti produce circa 30 t/ore di vapore a 380°C e 40 bar di pressione. Le acque di processo e lavaggio sono trattate direttamente sull’impianto con metodo chimico-fisico e disidratate con filtropressa per poi essere inviati in discarica (sempre lei!) dopo trattamento di inertizzazione. L’impianto funziona (e fuma) 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno.

La scelta dell’incenerimento solleva molte e giustificate reazioni, poiché non distrugge i rifiuti bensì li trasforma: in questo processo si sviluppano sostanze più tossiche dei rifiuti in entrata. Durante la combustione infatti si producono migliaia di composti di cui si ignorano gli effetti sulla salute. Solo un centinaio sono stati identificati e tra questi le diossine (la presenza di cloro in qualsiasi composto incenerito produce diossina come quella fuoriuscita a Seveso) e i furani. Si liberano anche metalli pesanti come arsenico, cadmio, mercurio, piombo, berillio, antimonio, ecc.

Ammoniscono gli ambientalisti: i test di controllo vengono fatti solo in condizioni ideali, ad impianto nuovo e perfettamente efficiente; non c’è la possibilità di effettuare monitoraggi continui per le diossine, i furani ed i metalli pesanti tossico-nocivi. In linea generale, ogni cittadino produce mediamente kg. 1,1 di rifiuti (compresi ovviamenti i rifiuti industriali); un quantitativo così ripartito mediamente: organico 30%, carta e cartone 27%, plastica e gomma 13%, vetro 8%, tessili e legno 6%, metalli 4%, altro 12%.

Farli fuori come sopra o sono percorribili altre strade? La risposta si chiama raccolta differenziata. Il riciclaggio di vetro, carta e plastica da sola toglierebbe dal sacco della spazzatura il 48% in peso, mentre il recupero della parte organica (la frazione umida dei rifiuti trasformabile con il com-postaggio), eliminerebbe un ulteriore 30%. Dei rifiuti prodotti resterebbe solamente meno del 30%, praticamente inerti, conferibili in una comune discarica. È allora chiaro come la raccolta differenziata, determinando una quota residua identica in peso, ma meno inquinante in composizione, a quella prodotta dall’incenerimento, sia la maniera più logica di affrontare il problema rifiuti.