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QT n. 15, 22 luglio 2000 Cover story

Abbiamo le mele migliori. Eppure non basta

Il mercato della mela non assorbe la produzione trentina. Anche se tutti dicono che è di qualità. La cooperazione agricola, che ha fatto tanto, ora è immobile. Quali le prospettive?

Qualcuno scuote la testa rassegnato e sostiene che il settore agricolo è governato da queste leggi: "Ogni tanto si va in sovrapproduzione, i prezzi calano e qualcuno esce dal mercato. Finora è sempre toccato a qualcun altro. Speriamo sia così anche in seguito. In Val di Non prima c’erano le vigne e prima ancora i gelsi..." - ci dice un esperto locale dei mercati agricoli. Anche la mela potrebbe essere un giorno sostituita, ma se questo avverrà, sicuramente non sarà un passaggio indolore.

Non è una gran bella prospettiva per la melicoltura trentina e soprattutto per chi ci lavora e ci vive. Pensiamo ai risvolti sociali: grazie alle mele la Val di Non è ricca, con quei proventi ha costruito e ristrutturato le case della valle, che fino a qualche decennio fa cadevano a pezzi. Attraverso la cooperazione, la gestione familiare del terreno rimane vantaggiosa, anche piccoli appezzamenti di un ettaro, un ettaro e mezzo, contribuiscono al bilancio di una famiglia, che spesso ha anche altre forme di reddito. Perché i piccoli appezzamenti generalmente non garantiscono che la produzione agricola sia fonte di ricchezza, ma le cose cambiano se la somma dei piccoli diventa "sistema". Ed è quello che nella nostra provincia si è riusciti a ottenere, coordinando le valli in settori semi-specializzati. Se il Trentino è l’oasi di ricchezza che conosciamo, oltre ai mitici contributi, il merito va anche alla cooperazione agricola, che ha permesso l’abbattimento dei costi fissi (magazzini, commercializzazione) e lo sviluppo di una riconosciuta politica di marchio.

Disegno di Stefano Devigili.

Le mele della Val di Non ed il marchio "Melinda" sono l’esempio più eclatante, ma anche la viticoltura della Valle dell’Adige, gli orti biologici della Val di Gresta, i frutti di bosco della Valsugana ed il marchio "Sant’Orsola", sono esempi di un’agricoltura fatta di piccoli proprietari che si è fatta sistema.

Eppure oggi la frutticoltura trentina sta subendo una crisi commerciale che può avere gravi conseguenze. Una grandissima quantità di mele Golden delicious, il simbolo del successo trentino, rimane invenduta nei magazzini. E’ l’inizio di una crisi irreversibile, oppure è un fenomeno temporaneo?

E soprattutto, è forse in crisi il meccanismo della cooperazione, schiacciato nella competizione da operatori di maggior dimensione?

l mercato è strutturalmente in eccedenza - ci dice Dalpiaz, dall’osservatorio privilegiato dell’APOT, l’Associazione Produttori Ortifrutticoli Trentini - La produzione è un dieci per cento in più di quanto il mercato richiede".

IIl consumatore è in grado di acquistare nei supermercati in qualsiasi stagione dell’anno qualunque frutto, di qualsiasi parte della terra. Un prodotto come la mela aveva il vantaggio di essere conservabile e quindi vendibile per tutto il periodo dell’anno. Oggi la frutta venduta può provenire anche dalla Nuova Zelanda o dal Brasile, così il consumatore inizia ad essere più attratto da altre varietà.

E’ un effetto della globalizzazione; e non è l’unico. Quando l’Unione Europea stringe accordi commerciali con paesi meno ricchi, spesso il contenuto coincide con minori dazi reciproci. Ma, unito alla velocità di circolazione delle merci, questo significa esporsi alla concorrenza delle mele del "secondo mondo": Africa settentrionale, Sud America, Est europeo.

"Il mercato italiano assorbe l’80 per cento della nostra produzione. Il marchio Melinda è riconosciuto, il che ci mette in una posizione meno scomoda, perché conosciamo bene il mercato e il mercato ci conosce. Certo, dovremo cogliere anche noi la possibilità di promuoverci ed espanderci sui mercati esteri, l’estremo oriente per esempio, dove i francesi, pur con un prodotto inferiore, sono stati lesti a buttarsi".

Un problema di commercializzazione, quindi. Ma anche di dimensione. "I grossisti oggi sul mercato sono pochi colossi distributivi, come Aucham, Carrefour, le stesse Coop. Chiaro che sono loro a fare il mercato. Però a nostro vantaggio abbiamo il marchio e la qualità del prodotto. Dovremmo riuscire a consorziarci con tutti i produttori alpini per avere la stessa potenza dei grossisti."

Avantaggio del Trentino c’è quindi la riconosciuta qualità del prodotto. Con chiunque si parli - studiosi, agricoltori o altro - su una cosa tutti concordano: che la migliore Golden sul mercato è quella trentina. Altri produttori sono avvantaggiati dalla conformazione pianeggiante del terreno e quindi riescono a produrre a costi minori; ma quando si passa alla qualità, non ci sono discussioni, la migliore Golden è la nostra.

E allora?

Innanzitutto pesa ancora l’immagine degli anni passati della mela coperta di anticrittogamici. Per fortuna molta strada è stata fatta. Grazie all’introduzione dei Protocolli di autodisciplina, gli aderenti ad un consorzio si impegnano a utilizzare gli anticrittogamici in modo razionale, così da rendere meno carico di residui il frutto maturo. Questo ha permesso di scendere da un 7,8 % di residui di una decina di anni fa, agli attuali 2,3 %. "E’ una tappa verso la qualità totale del prodotto - continua Dalpiaz, dell’APOT - Per questo oggi la contrapposizione agricoltura industriale/agricoltura biologica ha meno significato di una decina di anni fa, quando le posizioni dell’uno e dell’altro modo di intendere il lavoro agricolo erano molto più forti. Personalmente, vedo nel biologico una strada complementare per arrivare alla qualità migliore del prodotto.

Il problema è che l’agricoltura biologica va coordinata per appezzamenti molto vasti di terreno; noi stiamo cercando di incoraggiare i nostri consorziati su questa strada, ma ciò significa che le decisoni di un numero non piccolo di agricoltori deve essere coordinato. "

E'un mondo molto conservatore- ci dice Attilio Scienza, ex direttore dell’Istituto Agrario di San Michele – Ho l’impressione che non ci si accorga che il mercato è molto più segmentato di quello che si creda; assieme alle Golden potrebbe essere possibile proporre altre varietà, su cui nessun produttore sta puntando in questo momento. Ad esempio la Golden è coltivata in zone che non sono molto vocate, dando quindi un prodotto di qualità inferiore: queste zone dovrebbero riconvertirsi verso altri prodotti."

Ed infatti i migliori produttori, che vedono le proprie mele confuse assieme alle altre, scalpitano per vedere riconosciuta con più soldi la maggior qualità.

Ma sarebbe possibile riconvertire la produzione di Golden, che maggiormente sente la crisi del mercato, verso altre qualità di mele? O altrimenti, quali sono gli ostacoli?

L’ipotesi delle nuove varietà è affascinante. Qualcuno ricorderà che le varietà disponibili negli anni passati erano assai più numerose: le stesso Istituto Agrario ogni tanto le distribuisce a scopo dimostrativo per le vie di Trento. Suggestione o meno, a me quelle mele così rare sembravano squisite...

Se il consumatore è oggi così esigente, possibile che le qualità rare non possano riconquistare una piccola nicchia? "Non lo credo davvero possibile - ci dice Antonio Bergamini del Ministero per le Politiche Agricole - L’imposizione sul mercato della Golden deriva dalla convenienza economica (i meli Golden producono molta frutta) e dai gusti dei consumatori (che preferiscono quel particolare sapore); invece si potrebbe sostituire la Golden con delle qualità simili, ma meno bisognose di interventi chimici. Il nostro Istituto è riuscito, tramite mescolamento genetico, a sintetizzare una decina di qualità di mele. Non si tratta di ingegneria genetica, ci siamo solamente sostituiti alle api. In questo modo siamo riusciti a sintetizzare qualità di mele i cui alberi danno una buona resa, e sono particolarmente resistenti alla ticchiolatura, quella malattia che rovina la buccia. Il problema è che se i campi sono piccoli, è difficile che un contadino abbia voglia di lanciarsi nell’innovazione".

Il fatto è che innovare sembra molto difficile. " Ma non per le piccole dimensioni dei campi - ci dice Dalpiaz - che sono coltivati da famiglie pluri-reddito, e che quindi rischiano relativamente poco con un nuovo impianto. Il problema è che comunque dobbiamo cercare di muoverci come un sistema. E queste varietà sintetizzate, per esempio, sono troppo simili alla Golden e quindi da una parte è difficile pensare ad una politica di commercializzazione indipendente, dall’altra rischiamo che, promuovendo il nuovo prodotto, facciamo concorrenza a noi stessi.

Il discorso è diverso per le vecchie varietà. Sarebbe interessante provare qualche piccola produzione, tanto per vedere come reagiscono i mercati. Per piccole quantità non dovrebbe essere difficile riuscire a commercializzarle".

Come si vede, all’orizzonte non si profilano nuove strategie. Ma allora, non sarebbe più conveniente per qualcuno passare direttamente a qualche altra coltivazione, come la vite? "No, non mi sento di consigliare una cosa del genere. Intanto se la cosa fosse generale, metterebbe in seria difficoltà i consorzi, che si troverebbero a suddividere costi fissi per un numero inferiore di soci, creando così un problema di sistema peggiore di prima. E poi la viticoltura si sta espandendo ovunque. Nel sud d’Italia è stata praticamente riscoperta, per non parlare del resto del mondo. C’è il rischio che tra qualche anno avvenga la stessa cosa che osserviamo ora per le mele, cioè sovrapproduzione. Abbiamo una sola strada: perseverare sulla strada della qualità del prodotto".

Ma soprattutto muoversi uniti. In un mercato globale, il coordinamento tra piccoli produttori inevitabilmente è più difficile, ma sempre più urgente e necessario. Purtroppo dietro questa crisi economica, può nascondersi una crisi sociale ben più insidiosa.

Il problema della forma cooperazione sembra essere che in questa fase di congiuntura non riesce ad elaborare una strategia innovativa per aggiornare il prodotto. Le proposte più urgenti riguardano la struttura organizzativa, come abbiamo visto in precedenza. Maggiori sforzi commerciali, soprattutto all’estero, e consorzi più grandi, che comprendano i produttori dell’intero settore alpino.

Ma nel caso in cui la crisi da temporanea diventasse strutturale, è facile presagire una modifica radicale dell’intero settore: "I grandi gruppi commerciali, la grande distribuzione per intenderci - conclude Dalpiaz - vorrebbero riuscire a rompere lo schema cooperativo, ed essere loro a gestire in prima persona la produzione delle mele nella nostra regione. In questo modo, invece di essere commercializzate con il marchio Melinda, sarebbero commercializzate con il marchio della catena. E’ un’eventualità che trasformerebbe il lavoro agricolo di fatto in lavoro operaio, e significherebbe la scomparsa dei piccoli produttori."

Così il problema da economico diventerebbe politico e, per le sue dimensioni, molto pesante per il futuro del Trentino.