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QT n. 22, 9 dicembre 2000 Cover story

Sudtirolo: l’ultimo muro

La crisi di un sistema che ha fatto il suo tempo.

Chi, all’inizio del 1989, avrebbe previsto che quell’autunno il muro di Berlino sarebbe crollato e Honecker, allora alla guida della DDR, avrebbe concluso la sua carriera politica da fuggitivo? Chi, in quello stesso anno, avrebbe previsto che il premier sudafricano de Klerk, nell’assumere la leadership del suo partito, avrebbe pronunciato uno storico discorso in favore della parificazione tra bianchi e neri? E chi, nel ‘91, avrebbe immaginato che il sistema di potere che aveva retto l’Italia per mezzo secolo sarebbe andato incontro a una fine così repentina e traumatica? Probabilmente nessuno. Ad azzardare previsioni sul futuro ci si espone inevitabilmente a clamorose cantonate.

Eppure, l’abbecedario della politologia insegna che ogni potere, democratico o meno, o finanche dittatoriale, si regge solo se è legittimato, se può contare su condizioni economiche, sociali e culturali che lo giustificano. Quando quelle condizioni mutano, anche il potere è destinato a cambiare: in maniera morbida, se chi sta ai vertici ha la sufficiente lungimiranza di adeguarsi ai cambiamenti con le riforme, oppure in maniera traumatica, se ci si rinchiude a riccio.

Oggi è difficile prevedere per quanto ancora la provincia di Bolzano rimarrà uguale a se stessa. Certo è però che la legittimazione di quel sistema chiuso e monolitico sta vacillando, che l’Alto Adige appare ogni giorno di più come un solidissimo edificio al quale stanno venendo rapidamente a mancare le fondamenta.

Luis Durnwalder, presidente della Giunta provinciale di Bolzano.

L’edificio di cui stiamo parlando non è soltanto quell’apartheid che condiziona in ogni aspetto la vita dei cittadini: schedatura etnica attraverso un censimento non anonimo che obbliga tutti i residenti ad incasellarsi in uno soltanto dei tre gruppi riconosciuti (italiano, tedesco, ladino); bambini divisi sin dall’infanzia, per etnia, negli asili e nelle scuole; proporzionale etnica per l’accesso al pubblico impiego e per l’ottenimento di una casa popolare, diritti ai quali si accede solo se si è accettata la schedatura etnica; etichettatura etnica dei candidati alle elezioni, ripartizione di quote importanti della spesa pubblica in proporzione alla dimensione dei gruppi etnici, prossima separazione per etnia perfino delle case di riposo.

Oltre a tutto questo, altri aspetti contraddistinguono il sistema altoatesino: una democrazia bloccata e di tipo consociativo; i partiti sono schierati attorno alla discriminante dell’appartenenza etnica anziché attorno a quella della competizione programmatica; un partito esplicitamente etnico - la SVP - e organizzato al suo interno come espressione di corporazioni economiche e sociali, trasversale pertanto alla discriminante politico-programmatica, gode da sempre della maggioranza assoluta dei consensi ed è spesso identificato dai cittadini come coincidente con le istituzioni; i luoghi decisionali sono quelli dei partiti più di quelli delle istituzioni, tanto che risulta difficile comprendere la distinzione tra i due livelli; l’apparato pubblico è imponente e l’ente pubblico è presente direttamente in molti settori economici; l’economia privata è largamente assistita; i mezzi di informazione sono controllati o fortemente condizionati dai partiti, rendendo difficile la critica e il controllo; il sistema politico nomina i giudici che dovrebbero arbitrare i contenziosi tra cittadini ed istituzioni…

Si potrebbe continuare, ma il quadretto è già abbastanza esauriente.

Questa succinta descrizione può far apparire l’Alto Adige come un sistema feudale, ma in realtà, salvo alcuni eccessi, il modello non è molto diverso da quello dell’Italia della prima Repubblica, che peraltro l’Italia di oggi cerca faticosamente di superare.

Semmai, si deve ammettere che in Alto Adige quel modello ha funzionato bene, meglio che altrove, un merito che va riconosciuto anche al di là dei vantaggi economici derivanti dallo status autonomistico: la gestione delle risorse finanziarie e del patrimonio ambientale è stata oculata e finanche lungimirante, una politica fortemente legittimata proprio dalla componente etnica è riuscita quasi sempre a contrastare le spinte speculative, la sostanziale coesione attorno alle scelte di governo ha limitato contrasti esasperati nella società. Anche all’apartheid, ossia alla separazione tra i gruppi etnici, strumento attraverso il quale si è inteso preservare l’identità della minoranza tedesca in Italia e che è alla base del sistema altoatesino, va riconosciuto il merito di aver concorso a garantire la pacifica convivenza tra i gruppi etnici, un risultato che oggi può essere misurato non solo facendo il raffronto con situazioni analoghe e più sfortunate, ma anche notando il fatto che le idee di Haider stanno facendo più presa nel Veneto e nel Friuli-Venezia Giulia che non in provincia di Bolzano.

Eppure, la legittimazione del sistema altoatesino sta crollando. E quando un sistema perde la propria legittimazione, esso è destinato ad andare inevitabilmente incontro, come si è detto, ad un profondo cambiamento.

Quello tra Salorno ed il Brennero è forse l’unico pezzo d’Europa rimasto immutato di fronte agli stravolgimenti che, a partire dalla data simbolica del 1989, hanno investito il mondo intero. Già questo fatto è indicativo della fragilità di quel sistema: ormai da diversi anni, i più acuti politologi (uno fra tutti, il nostro Sergio Fabbrini) insistono nel dire che è impensabile ipotizzare che Bolzano - una provincia certo piccola e montana, ma anche incastonata nel cuore del continente europeo e crocevia tra Mediterraneo e Nord Europa - possa rimanere ancora a lungo l’unico posto al mondo nel quale il crollo dell’impero sovietico non produce alcun effetto. Se così è stato sinora, è proprio perché la democrazia consociativa altoatesina trae legittimazione dalla frattura etnica, di per sé meno "volatile" rispetto a quella ideologica.

Sarebbe però un errore ritenere che la discriminante etnica sia immutabile. Il motivo non è soltanto quello, ovvio, secondo cui lo stesso concetto di etnia è in continua evoluzione, a causa di fenomeni quali i matrimoni misti o i cambiamenti culturali. Il motivo principale è che la presenza di gruppi etnici diversi può essere sufficiente a legittimare un sistema fondato sulla discriminante etnica solo se sussiste un pericolo per la pace sociale. È insomma il pericolo per la pace, non la presenza in sé di gruppi etnici diversi, ciò che ha sinora legittimato l’anomalo sistema altoatesino. Tanto è vero che quasi ogni paese del mondo (ed anche ogni regione italiana) accoglie nel proprio territorio gruppi etnici diversi, ma solo raramente ciò determina un pericolo per la pace, richiedendo misure come quelle adottate per l’Alto Adige.

La domanda alla quale è necessario rispondere, per sapere se il sistema altoatesino può tutt’oggi contare su una forte legittimazione, diventa pertanto: l’opinione pubblica della provincia di Bolzano ritiene ancora che vi sia un serio pericolo per la pace tra il gruppo italiano e quello tedesco? La risposta è, inequivocabilmente, no.

Anzitutto perché decenni di pacifica convivenza hanno sradicato, in particolare nelle giovani generazioni, ogni motivo di tensione tra i gruppi etnici: l’apartheid ha funzionato così bene, si potrebbe dire, che non serve più. In secondo luogo, perché il gruppo tedesco non si sente più minacciato dall’Italia: la prospettiva federalista ha messo definitivamente al sicuro il diritto all’autogoverno dell’Alto Adige, l’evoluzione dello Statuto di autonomia sta togliendo ogni possibilità che la maggioranza italiana della Regione possa imporre qualsivoglia decisione alla minoranza tedesca, mentre l’integrazione europea sta cancellando l’idea stessa che il gruppo tedesco sia una minoranza in pericolo. Federalismo, nuova Regione e integrazione europea sono tre elementi che possono essere ricondotti tutti, sia pur indirettamente, al crollo dell’impero sovietico, a dimostrazione, appunto, che gli effetti di quel cambiamento non potevano lasciare indenne la sola provincia di Bolzano.

E se dunque l’opinione pubblica non percepisce più il pericolo dello scontro etnico, allora significa che oggi il sistema altoatesino non si giustifica più, che è rimasto privo di legittimazione, che gli sono venute a mancare le fondamenta su cui poggiava.

L’intervista rilasciata da Durnwalder al Venerdì di Repubblica, nella quale ha detto che i sudtirolesi devono rimanere tutti uniti, altrimenti l’Italia li mangia, fa ricordare la campagna elettorale della DC per le politiche del ’92, tutta impostata contro il pericolo comunista: chi gli può credere più?

Nei mesi recenti stanno emergendo numerosi segnali della crisi di legittimazione del sistema altoatesino. La stessa SVP è attualmente il principale promotore di progetti di collaborazione regionale, si tratti delle pensioni integrative o dell’interporto di Trento, segno questo che, al di là delle interviste, il mondano tema economico ha preso ormai il sopravvento sul Los von Trient. Il timido dialogo aperto, pur lontano dai riflettori della stampa, con Alleanza Nazionale, è un altro sintomo di una politica ormai laicizzata nella sostanza, sebbene non ancora nella forma. L’apertura dell’Università di Bolzano indica anch’essa che il concreto bisogno di classe dirigente è divenuto più importante della salvaguardia dell’identità etnica.

Ancor più interessante è però quanto avviene all’infuori del mondo politico, e che noi abbiamo raccontato nel precedente articolo.

Ben presto, a cambiare l’Alto Adige verrà l’Unione Europea. Censimento, proporzionale etnica, contributi pubblici e patentino di bilinguismo sono infatti tutte disposizioni incompatibili con le normative europee sulla concorrenza e sulla libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione. È sufficiente uscire dai confini di questa regione e parlare con qualsiasi esperto di diritto, per sentirsi dire che tutto questo sarà presto spazzato via e che anzi, sin d’ora, un eventuale ricorso alla Corte europea contro una di quelle disposizioni sarebbe facilmente vinto.

Durnwalder è senz’altro tra coloro che sono consapevoli di essere alla vigilia di un cambiamento. Non sarà raffinato, ma è sicuramente uno dei politici più acuti della Regione. Più volte, in colloqui privati, o anche nell’intervista rilasciata a QT, ha lasciato intendere di sapere benissimo che l’attuale sistema non ha ancora molta vita davanti a sé.

È però altrettanto consapevole che il cambiamento travolgerà anche il suo partito e questo, probabilmente, lo ha sinora bloccato. Stiamo aspettando il discorso che lo farà passare alla storia, ma quel discorso rischia di non arrivare mai.

È su Durnwalder che ricade la responsabilità di stabilire se il cambiamento sarà graduale e guidato, o se invece sarà traumatico. Se il sistema sarà riformato o se sarà travolto. Una responsabilità grossa, poiché in Alto Adige la seconda strada, il cambiamento traumatico, potrebbe rivelarsi pericolosa.