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QT n. 3, 10 febbraio 2001 Monitor

David Tremlett: muri per meditare

Come uno spettacolo di nuvole che dura pochi istanti e non rivedremo più identico, il lavoro di certi artisti si basa sulla precarietà. All’opposto della maggioranza dei suoi colleghi, che cercano un massimo di durata, David Tremlett è uno di quelli che pensano, non a torto, che la breve durata dell’opera contribuisce ad accrescerne il fascino. Così possiamo vedere oggi, fino al 25 marzo, i suoi dipinti eseguiti con polveri di pastello sulle pareti della nuova sede - che proprio con questa mostra si inaugura - della Galleria Civica di Trento.

Questo senso del passaggio delle cose, accettato non come un limite ma come una risorsa poetica, lo abbiamo recentemente percepito, in modi diversi, anche nell’opera di un altro inglese presentato a Trento pochi mesi fa, Richard Long. E, benché non possiamo dire che sia tipico dell’arte ambientale (vi sono, vi sono stati atti artistici anche invasivi e pesanti, sul paesaggio) sta di fatto che è più facile incontrarvi ("Arte Sella" insegna) questo tipo di sensibilità.

Tremlett è un artista "ambientale". Non nel senso del paesaggio naturale, ma degli spazi costruiti. Sono le pareti interne di un edificio (dal più povero al più prestigioso, privato o pubblico, sacro o profano: la stanza di un abergo indiano di infima categoria merita la stessa attenzione delle pareti di una cappella dismessa, di una sede di ambasciata, di una stazione di metro) a interessarlo, non solo per ciò che suscitano in termini di memoria storica o di rappresentazione, ma per le possibilità che offrono di essere riproposte come campo favorevole alla meditazione, alla deriva mentale leggera e fantastica.

La breve durata delle opere è dovuta alla deperibilità del materiale usato, il pastello, qualcosa di opposto alla solidità per la quale sono concepiti i muri. E’ un primo contrasto, che già rivela la matrice concettuale dell’arte di Tremlett. Il quale peraltro sfugge del tutto sia alla tradizione del murale storico e epico, sia a quella dell’arte metropolitana e graffitista. In fondo, guardando alla qualità delle immagini e alla loro capacità di parlare ai nostri sensi e alla sfera delle emozioni, si deve riconoscere che anche la definizione di concettuale gli sta un po’ stretta. Le sue forme predilette possono in parte evocare un certo gusto minimalista (non è un caso la sua collaborazione con Sol Levitt alla trasformazione pittorica della Cappella del Barolo, nelle Langhe) ma allo stesso modo anche la semplicità arcaica della pittura ambientale africana e australiana. Un linguaggio rigorosamente astratto che tende ad azzerare distanze temporali e geografiche: pur lasciandoci percepire l’origine di certi timbri, forme, composizioni, non si affre come citazione di puro gusto etnico o esotico. Così, il viaggiare che Tremlett ama al punto di raccogliere in qualche sua opera souvenir come ricevute d’albergo e cartoline, sembra per lui piuttosto un modo di alimentare un lessico, o più lessici astratti.

L’astrazione di Tremlett possiede una sua speciale "mobilità", da un ciclo all’altro e all’interno di uno stesso "disegno murale", basata su una semplicità che si nutre però di opposti: è una costante quella di combinare la razionalità di linee regolari, geometriche, con linee e altri elementi che pur restando nel dominio dell’astrazione sono però aperti alle possibilità dell’evocazione fantastica. Le qualità di leggerezza, trasparenza del pastello si sommano alla sua tattilità, perché è col palmo e con i polpastrelli che Tremlett dipinge, usando le dita quasi come noi da bambini lo "sfumino": un modo che contrasta e rompe la rigidezza di una linea e di un perimetro, lo trasforma in un tracciato smarginato e vaporoso, curiosa combinazione di regola ed emozione. Lo stesso può dirsi delle scelte cromatiche, capaci di rapporti armonici molto essenziali e sofisticati, come pure di netti contrasti timbrici. Al contempo la materia del muro, l’intonaco ruvido del fondo mantiene nel risultato finale una sua parte precisa: ancora una polarità, tra immaterialità e fisicità, tra gesto individuale e memoria del luogo.

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