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QT n. 5, 10 marzo 2001 Monitor

Piogge e incendi sono specchi del sole

Che confusione! È tutto un ridacchiare, parlottare, gente che si alza, che si siede con le luci ancora accese. Per noi, invece, lo spettacolo è già iniziato. Ci avviciniamo al palco, lo studiamo con cura e capiamo: Osvald è lì, è lui il primo spettro… abbandonata distrattamente per terra c’è la sua giacca grigia. Diceva Freud che un abito basta per evocare chi lo indossa; è il processo della "condensazione". Qui il trucco è così naturale che non serve tirare in campo la psicanalisi per vedere e sentire i fantasmi. Le luci si spengono, si fa silenzio, ora ognuno è al suo posto. Sul palco entra Regine, che rimette in ordine la stanza e porta via la giacca. Lo spettro se n’è andato.

Franca Nuti

Nel suo allestimento, Lievi attinge a piene mani a simboli ancestrali, li dissemina ovunque in un conflitto estenuante fra sogno, ricordo, realtà. La scena è una gabbia, una serra umana chiusa in fondo da pannelli scorrevoli di plexiglas, freddi e opachi. L’arredo ha il gusto un po’ rétro dell’Italian Style, dove lo spazio pare astratto nel susseguirsi di curve e linee rette, e il vuoto domina sul pieno. Inquietano le sedie senza gambe posteriori, in perfetto equilibrio come struttura, ma malferme per l’occhio, una vertigine. E tutto il mobilio, come non bastasse, poggia su un’immensa ragnatela richiamata anche dal soffitto, quasi una lenta agonia attendesse i personaggi nel nido di un mostro.

Gli oggetti sono forme, simboli fatali d’ipocrisia, di ombre che nascondono i fantasmi dalla luce che potrebbe rivelarli. Ma qualcosa sul palco non è opera dell’uomo e sfugge al suo controllo. Acqua, fuoco, sole: gli elementi assistono impassibili e decidono le sorti dei viventi. Il primo atto si consuma nella pioggia, nel tedio cupo di giorni sempre uguali; il secondo è un grande incendio che brucia presente e passato, ogni passione, riducendo in cenere l’asilo. Poi acqua e fuoco s’incontrano all’alba, chiudendo il minuetto della vita e della morte: il Sole che la madre dona al figlio è un flacone di morfina.

Non v’è traccia degli eccessi del passato. Franca Nuti pronuncia le parole come se lei stessa fosse puro suono, Migliaccio non esplode nel finale ed è perfetto in ogni gesto. Di rado abbiamo visto una compagnia così affiatata e valida. Amore e finzione s’incarnano nei personaggi: la Regine appassionata di Sandra Toffolatti, il Manders fariseo di Foschi, l’abietto Engstrand di Toloni. Ecco l’austero calvinismo che uccide senza spargere una goccia di sangue, Dolore e Provvidenza sono dogmi. La poesia si fonde col teatro, con musiche angoscianti, leggere a tratti, ombre anche loro. Perché in fondo tutti, da qualche parte, abbiamo qualcosa da nascondere, da dimenticare. Spettri.

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