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QT n. 9, 5 maggio 2001 Monitor

L’importanza del direttore

Benedetti Michelangeli non viene a dirigere la Haydn. Serata comunque positiva, con la spumeggiante conduzione di Stefan Anton Reck.

In un momento di grande tristezza per tutto il mondo musicale italiano e internazionale, è strano, paradossale, abnorme, eppure intimamente confortante ritrovarsi a commentare positivamente un concerto. Come spesso accade, la musica viene a lenire il dolore, che è tanto più intenso qui, in Italia, dove i migliori vengono scacciati e misconosciuti.

Giuseppe Sinopoli.

Giuseppe Sinopoli non è più in questa nostra dimensione. Forse, in realtà, è sempre stato un po’ altrove, come tutti i grandi artisti, uomini o donne. Coloro che appartengono al nostro universo sensibile, ma sono in realtà porte, ponti di arcobaleno, tramite fra normalità e superiore bellezza. Ottenuta una solida laurea in medicina, decise di dedicarsi alla musica, cominciando da autodidatta, frequentò a Darmstadt i corsi di Ligeti, Stockhausen e Maderna, dal 1983 divenne direttore della New Philarmonia di Londra e dell’orchestra di S. Cecilia a Roma, e negli anni ‘90 gli vennero offerte la direzione artistica dell’Opera di Berlino e della Staatskapelle di Dresda. Questi sono solo alcuni elementi di una vita geniale nella sua semplicità, una vita che, purtroppo, non farà accendere altri riflettori sui palchi dei teatri, ma resterà a brillare fra le stelle fisse nella nostra gratitudine e nella nostra memoria.

Sinopoli non avrebbe diretto l’orchestra Haydn in questa serata trentina, ma, in un certo modo, poteva anche essere un ultimo omaggio, questo concerto con due nomi famosi e stimati degli ambienti musicali italiani, ma più che altro è stata un’altra serata di cambiamenti inaspettati: Umberto Benedetti Michelangeli improvvisamente non disponibile, il programma rivoluzionato; senza essere una serata deludente.

Invece dell’annunciata "Elegy in Memory of Benjamin Britten" di Pärt, a suo modo anche adatta al momento di lutto, è stata eseguita la "Sinfonia dei nuovi giocattoli" di Marco Betta. Al posto di "Ma mère l’oye" di Ravel, abbiamo ascoltato la seconda sinfonia di Ludwig van Beethoven.

Unica àncora al prevedibile è stato il concerto per violino e orchestra, sempre di Beethoven, in Re maggiore op. 61, come da programma, eseguito da Giuliano Carmignola.

Non era riuscito alla Società Filarmonica, che pure ha portato a Trento artisti come Truls Mørke e Boris Berezovski, l’onore è toccato all’orchestra Haydn: Carmignola ha suonato al teatro Sociale.

Alto come una pertica, elegante come Rupert Everett, è apparso più magro di quanto lo ricordavamo.

Dalla prima fila, si avverte ogni minima esitazione nell’attacco delle note e Carmignola, in alcuni momenti, non pare essere del tutto presente, forse anche lui oppresso dalla cappa di tristezza di questi ultimi giorni. Quando la frase musicale si dipana, però, la fluidità del suono è tale da incantare. Sulle doppie corde poi, c’è un dialogo così indipendente fra le note, da fare immaginare che Carmignola abbia quattro mani e due strumenti. Il pubblico si è spellato le mani ma non è stato concesso alcun bis.

L’imprevista assenza di Umberto Benedetti Michelangeli ha decisamente reso la serata meno speciale, anche se la spumeggiante conduzione di Stefan Anton Reck non ha deluso le aspettative del pubblico. Reck, del resto, vanta un curriculum invidiabile: nell’85 vincitore del premio Arturo Toscanini, nell’87 e nel ’90 ha frequentato i corsi di Seiji Ozawa e Leonard Bernstein, collaboratore abituale di Claudio Abbado, prossimamente dirigerà al Maggio Musicale Fiorentino. Solo per citare alcuni degli impegni di questo energico direttore. L’orchestra Haydn ha suonato al meglio nella sinfonia n.2 in Re maggiore, op. 36. Come nel brano precedente, gli orchestrali sembravano voler esibire capacità in grado di rivaleggiare con gli arzigogoli del poetico suono alla Carmignola. Giocavano di potenza, perdendo in eleganza. Eppure, quale verve! Unisoni perfetti, leggerezza e trasporto hanno espresso tutti gli elementi dell’Haydn, trascinati da Reck. Il direttore, con una mimica corporea alla Buster Keaton, faceva comprendere, anche ai miopi più ostinati, che musica voleva ottenere. La parola giusta per definire il finale del concerto è furia. Tutta l’esuberanza che Beethoven intendeva dare alla partitura è stata resa dall’orcestra Haydn a una velocità da capogiro.

L’orchestra ha fornito un’ottima prova, come confermava il sorriso soddisfatto di Reck nel ricevere i lunghi applausi del pubblico.

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