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QT n. 11, 2 giugno 2001 Monitor

Concorrenza sleale

Arriva un po’ in ritardo sui nostri schermi, rispetto all’uscita nazionale (inizi marzo) accolta da generali consensi, l’ultimo film di Ettore Scola, che con coraggio e la consueta sobrietà di toni ripropone un tema ostico della storia europea del ‘900, l’antisemitismo e l’Olocausto, nel suo momento peculiare dell’emanazione delle leggi razziali in Italia, entrate in vigore nel maggio 1938.

"Concorrenza sleale" si inserisce nello stile e nella poetica del regista, che abbiamo apprezzato nel suo lungo, incisivo operato di cineasta. Scola, uno dei maestri della commedia all’italiana, ha infatti accompagnato con i suoi lavori la storia del nostro paese dagli anni ‘60 ai giorni attuali, decennio dopo decennio, nei vizi, nelle virtù, nelle trasformazioni di costumi e mentalità: con occhio tollerante e spirito di osservazione, ironico e libero da ideologie o pregiudizi, animato sempre da vivo interesse e affetto per la realtà e le persone che vi si muovono e vivono, ci restituisce quasi un documento in stile di commedia dei momenti sociali più delicati della nostra storia recente e in corso.

La sua è un’attitudine a raccontare la grande Storia attraverso piccole storie, si tratti di transiti sociali assai complessi o di eventi storici, per i quali sceglie luoghi particolari, chiusi e familiari, dove la Storia con i suoi cambiamenti scorre e passa per lo più sullo sfondo, mentre essi restano fermi e immutabili, e tutto intorno cambia; luoghi della memoria, della storia collettiva, ma anche e specie delle storie personali, storie comuni di uomini comuni, con i loro dolori, le gioie, le emozioni, incalzati da una realtà di frattura tra pubblico e privato e da un tessuto sociale per lo più violento che rende vittime i più deboli; antieroi, però importanti come i grandi della Storia, capaci ancora di disporre della propria sfera emozionale e delle proprie reazioni pur nel turbine degli avvenimenti. La grande Storia serve dunque al regista come contesto per le microstorie e come mezzo per la sua indagine, per cogliervi l’esperienza dei personaggi in divenire e con essa il progressivo formarsi della coscienza personale.

Questi elementi caratterizzanti la sua filmografia (qualche titolo, ben noto: "C’eravamo tanto amati", ‘74, "Una giornata particolare", ‘77, "La terrazza", ‘80, "Ballando ballando", ‘83, "La famiglia", ‘87, "Romanzo di un giovane povero",’95) emergono anche nell’ultimo film che, per il tema trattato, senza tuttavia ritrovarne la freschezza e il vigore, riporta ad uno dei suoi più belli ed intensi, "Una giornata particolare", racconto del fluire apparentemente regolare di una giornata (il 6 maggio ‘38, visita di Hitler a Roma), invece così importante e incancellabile sia nella vita dei due protagonisti sia nella sorte di molte persone che avranno a soffrire le conseguenze nefaste dei fatti storico-politici determinatisi, divenendo quasi un prologo del nuovo film. Infatti, come dice Scola, "il 6 maggio ‘38, Hitler a Roma, è un giorno limite, dopo di allora e quasi improvvisamente tutto cambia, vengono approvate le leggi razziali, intellettuali e scienziati firmano il Manifesto della razza, ogni settimana il Gazzettino Ufficiale pubblica nuovi divieti per gi ebrei..".

Ed è proprio questo momento, trascurato in genere dal cinema, che, con uno stile narrativo e lineare, quasi spoglio, aderente al reale con una sensibilità tangibile nei dettagli e nella tipizzazione di ambienti e personaggi, viene qui raccontato: quel crudele periodo della Storia che vede la messa in atto delle leggi antisemite, fino alla deportazione di 1021 ebrei romani nel ‘43, entrando nella vita quotidiana dei personaggi, in specie di due commercianti, uno ebreo e l’altro ariano, che si fanno una concorrenza sfrenata per accaparrarsi i clienti, ma sono accomunati da forte onestà e generosità di fondo: queste emergono durante l’esplodere dell’ingiustizia razziale e del crescendo delle vessazioni persecutorie, così che il giudeo, tribolato ed espulso, assieme alla sua famiglia, troverà il sostegno e l’amicizia del suo ex rivale in affari. Ma questa solidarietà non basterà ad impedire il compiersi dei funesti eventi e dei disegni del regime.

La struttura, sostenuta da una sceneggiatura solida e da una elegante scelta delle tonalità cromatiche, procede prima più leggera e macchiettistica, con figure tipicizzate che delineano i caratteri di un’epoca, in una ricostruzione d’ambiente viva, dove l’atmosfera è sospesa, è l’attesa stessa, la preparazione delle emozioni; poi, nel procedere, si fa più triste ed amara, e mette a nudo la sostanziale indifferenza degli italiani di fronte alla gravità di ciò che sta accadendo sotto i loro occhi: non razzisti, ma egoisti, distratti, ottusi, tratti, questi, di una sottocultura di provincia altrettanto pericolosi per le conseguenze. Abatantuono, l’ariano, è questo tipo di italiano, che però, guardandosi attorno ed osservando, comincia a capire, e forse a prendere coscienza, cercando di agire secondo una sua idea di giustizia che si fa strada in lui. Castellitto e Abatantuono, attori versatili di talento, danno al film un contributo essenziale, recitando con intelligenza, creatività, convinzione.

Alla prima visione, le comunità ebraiche risposero con commozione ed espressero tutto il loro apprezzamento. Non è mai troppo ripetitivo il monito a non dimenticare, troppo importante è la memoria contro l’insorgere di pericolosi rigurgiti e di verità carismatiche capaci di sedurre e ottenebrare ragione e coscienze. Con Primo Levi possiamo dire che "se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perchè ciò che è accaduto può ritornare."

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