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La lezione di Genova/1

Dopo alcuni giorni di silenzio sulle drammatiche vicende legate al G8 di Genova sentiamo il bisogno di prendere posizione per affidare alla parola il compito di fugare confusione (e falsità) e contribuire a interrompere il percorso di violenza innescato. Perché questo avvenga, però, è necessario che le parole diventino "vere", meno gridate e più rispettose dei fatti, della cronaca e di quanto realmente è accaduto.

Parole "vere" sono per noi constatare che il governo, dopo mesi di campagna elettorale improntata sulla sicurezza, si è dimostrato incapace di governare il dissenso, ma anche di garantire sicurezza ai manifestanti e alla città di Genova.

Le "forze dell’ordine" non sono state in grado di isolare né di fermare quanti avevano il preciso obiettivo di distruggere Genova e di sabotare la dimensione non violenta della protesta; la repressione è arrivata in ritardo e, paradossalmente, anche su cittadini del tutto estranei ai fatti di violenza. Le misure adottate per contrastare disordine e violenza sono andate ben oltre la pratica della legittima difesa innescando scenari che la stessa stampa internazionale ha definito "di regime".

Parole altrettanto "vere", anche se scomode, sono il fatto che quanto è accaduto nella scuola "Diaz", sabato notte, è fatto di gravità inaccettabile. Se sussistevano le urgenze per una perquisizione senza mandato perché negare, in quelle circostanze, la presenza di testimoni quali avvocati e parlamentari? La sfiducia espressa nei confronti dei parlamentari è offesa alle nostre più alte istituzioni. Così come offende la democrazia la violenza gratuita esercitata su cittadini disarmati e la devastazione attuata verso tutto ciò che è stampa, documentazione, filmato, testo o parola che può denunciare e presentare segmenti di verità che si vogliono nascondere. Quando sono vietate testimonianze possibili, il sospetto non solo è lecito, ma probabilmente anche fondato.

Ma parole "vere" sono anche il fatto che non si può fare di ogni erba un fascio. In un contesto di questo tipo alcuni segmenti delle stesse forze dell’ordine si sono trovate in difficoltà e, purtroppo, sopraffatte dalla paura e dalla volontà di autotutela fino a determinare la morte violenta di un ragazzo di vent’anni e rovinare la vita di un giovane carabiniere permettendo che anche tra di loro emergessero le minoranze violente rispetto alla maggioranza di professionisti seri e di cittadini a servizio della legalità.

Parole "vere" è anche riaffermare che esiste uno spartiacque impercettibile tra normalità e disagio, tra pacifismo e violenza che troppo spesso l’organizzazione sociale, l’economia, la politica, il potere spostano, forse inconsapevolmente, ai margini, oltre i confini della legalità stessa.

E’ la lezione che Genova ci lascia e che richiede, soprattutto a chi come noi pratica da anni la scelta di stare ai confini, servendo le persone che fanno fatica, una attività di discernimento e di amore vero per la giustizia che è anzitutto rispetto per le persone, per qualsiasi persona. Un’opzione che respinge categoricamente qualsiasi violenza, ma anche, al tempo stesso, chiede comprensione, rispetto, tutela anche dei violenti.

Purtroppo ci sembra che questo crinale sia stato saltato a Genova a piè pari, innescando una spirale di falsità, di superficialità, di qualunquismo e di criminalizzazione assurda, tale da impedire la possibilità di fare chiarezza e di operare i doverosi distinguo.

Parola "vera" è che è inaccettabile che, di fronte a scelte politiche irresponsabili, si vada a cercare il capro espiatorio nel Genova Social Forum che, al di là dei limiti di un movimento di massa e pluricomposto, presenta al proprio interno idee, valori e proposte provenienti da grandi strati della società civile che non possono essere misconosciute e negate. Esse meritano non solo attenzione, ma anche risposte operative perché inchiodano i responsabili della politica e dell’economia nazionale e mondiale alla tragica situazione di sottosviluppo e di miseria dei due terzi dell’umanità: e su questo Genova ha confermato l’incapacità dei potenti e l’inadeguatezza dello strumento dei vertici degli otto che esclude la partecipazione attiva sia degli organismi internazionali che dei rappresentanti dei paesi ridotti in stato di schiavitù per l’insipienza dei potenti.

Parole "vere" che ci inducono a:

- difendere il movimento di protesta per i contenuti che sa esprimere e che stentano a trovare cittadinanza nei palazzi del potere e che ha avuto il pregio di attrarre a sé in una scelta di non violenza anche aree del dissenso che fino a poco fa si collocavano al di fuori delle regole della democrazia e che potrebbero essere nuovamente respinte nella semi clandestinità;

- chiedere che sui fatti di Genova si faccia chiarezza per far sì che ogni responsabilità venga evidenziata;

- esigere che giusta stima e apprezzamento nei confronti delle forze dell’ordine non si trasformi in giustificazione della repressione violenta esercitata sotto le divise dello Stato di Diritto;

- esprimere solidarietà nei confronti del portavoce del GSF Agnoletto, stigmatizzando la decisione del ministro Maroni che tende a confondere dissenso politico e competenze tecniche e dimentica che la presenza del privato sociale ai tavoli ministeriali non può essere condizionata da consenso alla linea del governo;

- invitare le organizzazioni della società civile e del terzo settore a riprendere l’impegno a tutela della popolazione vulnerabile nel mondo e in Italia, a partire dalla difesa intransigente dei diritti di cittadinanza per tutti, a prescindere dal colore della loro pelle e dalle caratteristiche delle loro idee.

Continueremo a batterci per questi valori che ci sembrano capaci di offrire prospettive di benessere per tutti e continueremo a farlo a partire dalle periferie della storia, a fianco delle persone artefici della cosiddetta "storia minore", sull’esempio del papà di Carlo, che ricorda a tutti come "non si possa giudicare un ragazzo per la sua maglietta sdrucita, per il piercing o le treccine: dietro a questi pantaloni bucati ci sono cuori pieni di voglia di fare, di rabbia per ogni ingiustizia".