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Alla guerra? Quale guerra?

Il dibattito in Austria: solidarietà e sangue freddo, ma anche smanie belliche e attacchi ai diritti civili.

L’ 11 settembre è stato colpito anche l’immaginario collettivo. Ground zero, a Manhattan, dove c’erano state le Twin Towers del WTC, è una ferita nella coscienza di noi tutti. Anche chi è contro la globalizzazione selvaggia e sregolata, chi - come il popolo di Seattle, e di Genova - chiede regole ed un nuovo governo del mercato mondiale, in nome sia dell’ecologia che della lotta all’esclusione dei più poveri, anche chi è contrario a quasi tutte le politiche dell’amministrazione Bush, ha vissuto quell’attentato criminale come un assalto al cuore del sistema: ma di un sistema del quale facciamo parte, nel bene e nel male, noi tutti.

Bogdan Bogdanovic, l’architetto ed una volta anche sindaco, democratico, di Belgrado (che a causa della sua opposizione a Milosevic ha dovuto lasciare la sua patria e sistemarsi a Vienna), nel suo libro “La città e la morte” aveva parlato, a proposito del bombardamento di Sarajevo, dell’odio primordiale dei paesani (serbi) contro la città, non solo la multietnica e multiculturale Sarajevo, ma la città in quanto tale, culla e simbolo della democrazia, della convivenza civile. E - sì - anche del mercato e della globalizzazione, che non è solo miseria e sfruttamento, ma anche (e andate a rileggere il “Manifesto Comunista”!) sviluppo delle forze produttive, “distruzione creativa” (nelle parole dell’economista Schumpeter, di sinistra anche lui) del vecchio, di strutture e istituzioni sclerotizzate.

Chi ha voluto colpire la città per antonomasia, la Big Apple, ha voluto dichiarare guerra non alle multinazionali, all’imperialismo, ma alla democrazia, alla convivenza, alla società civile, anche ad un sistema politico basato sul civile “agreement to disagree” (cioé, siamo d’accordo che non siamo d’accordo, ci si organizza secondo gli interessi o le ideologie, e si lotta per il potere, ma rispettando le regole ed i diritti fondamentali). In questo preciso segno, noi tutti siamo stati colpiti da un nemico aggressivo, forse non potente, ma pericoloso quanto il nazismo.

In quest’ottica, poi, non meraviglia che il capogruppo dei postcomunisti tedeschi abbia potuto dichiarare, nel Bundestag tedesco, fra gli applausi anche della destra, che “oggi noi siamo americani“. Anche se, quando si arriva al dunque, bisogna di nuovo differenziarsi.

Differenziarsi su come battere il terrorismo: "Giustizia anziché vendetta" - questo appello ha raccolto, in pochi giorni, centinaia di migliaia di firme su Internet, nei soli Stati Uniti, partendo dall’università di Chicago, e simili petizioni circolano su Internet anche in Europa. Ha ragione Bobbio: esistono ancora la destra e la sinistra, e la differenza si vede bene nelle discussioni sul che fare per battere il terrorismo: sia a livello dell’Unione europea (la dichiarazioni di Prodi, della presidentessa del Parlamento europeo, e dei 15 capi di governo sono molto “a sinistra” rispetto alla linea di Bush), che nella politica interna degli stati dell’Unione.

L’azione terroristica del 15 settembre è un atto di violenza criminale, ma non siamo in guerra. Metaforicamente, forse sì, ma sul piano del diritto internazionale, non siamo in guerra. E non è stato certo l’Afghanistan ad attaccare gli Stati Uniti. I presupposti per invocare l’articolo 5 del trattato NATO semplicemente non ci sono. Tutto quello che si può e si deve fare, ora, sono azioni “di polizia”: azioni violente, certo, ma non di violenza gratuita ed indiscriminata. Una violenza adeguata allo scopo che ci si prefigge, quello di cercare ed arrestare i presunti colpevoli e portarli di fronte ad un tribunale di giustizia penale.

Bisogna lavorare, ora, per creare le condizioni, sia sul piano del diritto internazionale che su quello strutturale le condizioni per difenderci dal terrorismo con azioni legali, cioè legittimate dall’ONU. Sappiamo bene che ci vorrà tempo, ed è impossibile rimandare ogni azione finché tutto ciò si sia realizzato. E non credo intanto che la classe politica e la societá civile vogliano ripudiare azioni di polizia, limitate a finalizzate, da parte americana.

La gente però ha paura (e anche i politici dovrebbero averla!) di una spirale di rappresaglie e contro-rappresaglie che potrebbe degenerare in una guerra. Se il 54% degli austriaci dichiara, in un sondaggio dell’inizio del mese (e cioè quasi tre settimane dopo l’11 settembre), di avere paura di una guerra, questa io la chiamerei saggezza popolare, specialmente di fronte ad una televisione di Stato più “americana” della CNN, e di fronte ad un governo che sembra non poter più aspettare di entrare finalmente, almeno nei fatti, nella NATO.

Tutti i partiti austriaci hanno dichiarato solidarietà, non solo col popolo americano, ma anche - in linea di principio - col legittimo governo americano (e lasciamo perdere, almeno per ora, la discussione sulla legittimità delle ultime presidenziali). Man non tutti i partiti austriaci sono pronti ad accettare la logica delle crociate.

C’é chi, come il famigerato vescovo Krenn, predica la superiorità della religione cristiana (senz’altro in versione cattolico-integralista) sugli infedeli e pericolosi islamici - e c’è chi, come il cardinale König, rivendica il rispetto per la diversità delle fedi. C’è chi vuole, in barba alla legge costituzionale, aiutare anche azioni di guerra americane, e chi, in parlamento, vota contro una risoluzione che chiede la preventiva autorizzazione per voli militari americani nei cieli austriaci - almeno in assenza di un’autorizzazione del Consiglio di sicurezza ONU.

Bisogna ammetterlo: tutti gli onorevoli verdi hanno votato contro - ma il parlamentare europeo verde Voggenhuber ha pubblicamente bacchettato il suo partito. Di fronte al terrorismo fondamentalista che minaccia tutto quanto ci è caro, non sembra il caso di occcuparsi di sottigliezze costituzionali. La direzione nazionale del partito si è subito dissociata dall’eurodeputato, sottolineando però la legittimatà delle sue preoccupazioni. Come dire: vedete, anche in situazioni come queste noi ci teniamo alla convivenza e al discorso democratico...

C’è invece chi, in nome della lotta contro il terrorismo, vuole farla finita con gli odiati diritti civili. Haider e i suoi hanno proposto di riformare il diritto all’asilo politico, ma le loro idee, in totale contrasto con la Convenzione di Ginevra e con i diritti umani, sono perfino riuscite a mandare in bestia il cancelliere Schuessel. I Freiheitlichen hanno anche proposto una serie di misure tendenti a creare un vero e proprio stato di polizia.

Dietro il nazional-populismo ed il giustizialismo di Haider, c’è sempre lo spettro dell’autoritarismo. La sinistra, invece, dice che la democrazia non si difende cancellandola in nome dell’emergenza. L’opposizione tutta, socialdemocratici e verdi, si trincera sulla linea di un garantismo incondizionato.

E non può non farlo. Sarebbe il trionfo del terrorismo, se la sinistra si auto-cancellasse in nome della difesa della patria.

No pasaran! Le ragioni della sinistra democratica e riformista, ora, sono ancora più forti e piú necessarie.