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QT n. 2, 26 gennaio 2002 Servizi

La Regione in preda a scorribande

Dopo le vicende di Mosca e Budapest, la Cogo fa quello che tutti si aspettano, dimettendosi. Ma viene isolata dalla sua stessa maggioranza.

Lo Statuto di autonomia, al riguardo, non è chiaro. Non esiste, cioè, una norma specifica che preveda esplicitamente che le dimissioni del Presidente della Regione comportino la caduta automatica dell’intera Giunta. E questa è la prima volta che si presenta un caso di questo genere, poiché nessuno, prima della Cogo, aveva rassegnato le dimissioni per motivi di carattere politico.

Tuttavia, anche in Trentino-Alto Adige/Südtirol, come in qualunque altra parte del mondo, molte regole sono più il frutto della convenzione che della norma. Cosicché, nonostante lo Statuto preveda che i componenti della Giunta regionale siano eletti dal Consiglio uno ad uno, la prassi consolidata è quella secondo cui un rapporto fiduciario tra Giunta e Consiglio esiste ugualmente, tanto è vero che esiste una maggioranza regionale che esprime ed appoggia l’esecutivo ed esiste una minoranza che fa l’opposizione. Questa prassi ha peraltro trovato nella scorsa legislatura un esplicito riferimento normativo, quando si è stabilito, attraverso una modifica del regolamento interno del Consiglio, che l’approvazione di una mozione di sfiducia al Presidente della Giunta equivale, com’è ovvio che sia, alla sfiducia all’intero esecutivo.

E’ avendo ben presente tutto questo che Margherita Cogo, dopo Natale, decide di ignorare i temporeggiamenti della sua maggioranza e del suo partito e, spiazzando tutti, consegna al Consiglio regionale le proprie dimissioni. Lo fa nella convinzione che, in questo modo, avrebbe fatto decadere l’intera Giunta da lei presieduta, compresi quindi gli assessori "chiacchierati" per le vicende di Mosca e Budapest. Vicende che oltre tutto avevano indotto le opposizioni a presentare una mozione di sfiducia alla Giunta e che la Cogo, con la sua mossa, voleva anticipare.

A questo punto, però, in Regione succede una cosa da repubblica delle banane. Franz Pahl, Presidente del Consiglio regionale, espressione, come Roland Atz, della corrente dell’ultradestra nazionalista della Svp che ha come riferimento Joerg Haider, già assessore regionale anch’egli chiacchieratissimo per una gestione quantomeno discutibile dei soldi pubblici (al termine della scorsa legislatura si vantava di aver contribuito a distruggere la Regione governandola male), finito anche lui nel mirino della commissione conoscitiva interna istituita dalla Cogo per fare luce sulle vicende di Mosca e Budapest, decide, inventandosi una nuova prassi, che se il Presidente della Regione si dimette, il resto della Giunta regionale può andare avanti come nulla fosse.

Lo fa seguendo una logica da faida: vuole infliggere alla Cogo una vendetta personale (i rapporti tra i due, che non sono mai stati idilliaci, si sono rotti del tutto quando, dopo la recente modifica costituzionale che ha cambiato il nome della Regione, Pahl si era messo a sostenere che la denominazione bilingue "Trentino-Alto Adige/Südtirol" doveva valere solo per la lingua italiana, mentre in tedesco la Regione avrebbe dovuto continuare ad essere chiamata "Trentino-Südtirol", finendo però per essere smentito dai giuristi della stessa SVP) e soprattutto vuole aiutare il suo amico Roland Atz, che in questo modo, essendo vicepresidente della Giunta, con le dimissioni della sola Cogo sarebbe diventato automaticamente Presidente della Regione.

Fin qui, pazienza: da Franz Pahl, nonostante sia stato eletto a Presidente del Consiglio regionale, nessuno si attendeva un comportamento orientato al rispetto delle istituzioni. La cosa incresciosa è che la maggioranza regionale decide di dare ragione a Pahl anziché alla Cogo, coi DS trentini che rimangono soli, e neppure troppo convintamente, a sostenere il contrario.

Il risultato è che ad occupare temporaneamente le massime cariche della Regione (fino a quando, e se, si eleggerà una nuova Giunta) sono proprio Atz e Grandi, ossia i protagonisti dei fattacci di Mosca e Budapest, quegli stessi fattacci che avevano indotto le opposizioni a presentare una mozione di sfiducia. Anzi, Roland Atz, che oggi svolge le funzioni di presidente, in questi giorni è anche sotto processo per aver dichiarato il falso proprio alla Regione: nel tentativo di farsi rimborsare le spese di riparazione della propria automobile, avrebbe mentito alla Giunta di cui lui stesso faceva parte, dichiarando che stava utilizzando l’automobile per motivi di servizio.

Questo è il personaggio che, in questa fase transitoria, gestirà la Regione.

Ora si apre la fase della successione. E’ sempre più diffusa la convinzione secondo cui, per evitare che la Regione continui ad essere relegata a pattumiera delle partitocrazie provinciali e per ridarle un minimo di dignità, sarebbe necessario che le due Province se ne facciano direttamente carico, iniziando a sperimentare quella collaborazione tra il Trentino e l’Alto Adige/Südtirol, sulle materie di comune interesse, che dovrebbe diventare, in futuro, il nuovo ruolo della Regione, l’unico che ne possa giustificare ancora l’esistenza.

Le forme sono tutte da discutere.

Allo stato attuale, la più concreta è quella di una Giunta regionale presieduta alternativamente dai presidenti delle due Province.

Avanzata per la prima volta dai DS trentini (sebbene con la loro proverbiale scarsa convinzione), pare ora diventata un cavallo di battaglia della SVP, che sembra ormai, paradossalmente, l’unico partito veramente interessato a dare un futuro alla Regione.

A mettersi di traverso, finora, è stato Lorenzo Dellai, imprigionato dalle logiche spartitorie della sua maggioranza provinciale (la Giunta Durnwalder-Dellai comporterebbe infatti la riduzione dei posti da assegnare in Regione, col risultato che chi perderebbe la seggiola farebbe venir meno il proprio appoggio alla Giunta provinciale).

In alternativa, si andrebbe verso una Giunta guidata dalla diessina Wanda Chiodi, una soluzione più temuta che auspicata dai DS poiché, se non si riuscisse a cambiare i nomi degli altri componenti della Giunta, sarebbe difficile giustificare che ciò che ha portato la Cogo alle dimissioni possa invece andar bene per un altro DS. Per questo motivo i DS farebbero bene ad alzare il prezzo quanto meno sul piano programmatico, rilanciando l’obiettivo della riforma dello Statuto. Ma se il comportamento del partito continuerà ad essere quello remissivo dimostrato sin qui, v’è da dubitare che lo faranno.

Quanto alla Cogo, considerata dal ceto politico alla stregua di una scheggia impazzita e spesso sbeffeggiata dalla stampa, pare stia invece diventando sempre più popolare tra i non addetti ai lavori: "Alla festa de l’Unità di Moena - ci racconta un militante diessino - la gente comune non fa che parlarne bene e i compagni della base la stimano moltissimo".

In un periodo in cui la regola imperante è quella della poltrona che viene prima di tutto, al punto che le sorti del governo provinciale e regionale sono legate alla necessità di assicurare una seggiola a Caterina Dominici, l’aver dato le dimissioni per una questione di dignità, per rispetto verso le istituzioni, deve essere apparso come un gesto eroico. Indipendentemente da come in questi mesi si è gestita una situazione obiettivamente molto difficile.