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QT n. 7, 6 aprile 2002 Monitor

Omaggio a Billy Wilder

E’ morto a 91 anni il regista Billy Wilder, austriaco di nascita e americano di adozione, i cui film sono stati amatissimi dal pubblico.

Tony Curtis e Marilyn Monroe in "A qualcuno piace caldo".

Billy Wilder, detto il regista cinico per la visione amara e sardonica dell’uomo e della società, è piuttosto un osservatore acuto e disincantato del mondo in cui vive, capace di farne emergere ipocrisia, corruzione e bassezze attraverso lo stile elegante, quello di un autore di classe. Il suo tocco, inconfondibile, riesce a suggellare ogni lavoro, indipendentemente da temi, racconto o genere, con la sigla del rigore nell’uso di mezzi e codici cinematografici. Infatti, sotto la levità della forma, la trasparenza dell’involucro, la perfezione di sceneggiatura, messa in scena, tempi narrativi, interpretazione, tutto composto con fine intelligenza, emerge netta la sua poetica, che riflette la pessimistica visione dell’esistenza e una riflessione sull’essenza dell’uomo, che non è mai però nichilismo. L’ironia, che certo tende al sarcasmo o al cinismo, pennella tutta la sua opera, a sdrammatizzare certe durezze delle critiche alla realtà umana e sociale.

Il punto di vista di Wilder, puntato anche sulle cose sgradevoli e poco rassicuranti, mira, sotto un’apparenza di spensieratezza e spesso di comicità, a far sempre riflettere lo spettatore e a sollecitarne uno sguardo critico sul mondo, per viverlo in consapevolezza. Forse proprio per questa sua attitudine, mai taciuta o mitigata, è stato a Hollywood troppo presto emarginato, nel 1981 dopo lo scarso successo del suo film "Body Body", l’ultimo, mentre è probabile avesse ancora cose utili da dire. Anche se nell’ultimo decennio il gusto si è volto verso il ludico puro e lo spettacolare, vuoti di contenuto e di senso, e lui vedeva invece nella storia e nella sceneggiatura la forza e la riuscita del film.

Austriaco ebreo nato a Vienna nel 1906 e lì formatosi, completa poi la sua formazione a Berlino con un’intensa esperienza culturale, ricevendo dall’una città l’impronta di una certa decadenza romantica dall’odore di un fasto in decomposizione, dall’altra di un realismo più lucido e razionale. Questa polarità, che lo accompagna a lungo, richiede il continuo aggiustamento di un difficile equilibrio dialettico e trova, sul piano espressivo, una possibilità di comporsi nella frase spiritosa, nella battuta cinica che annulla eventuali tracce patetiche. Essa è forse all’origine della sua tipica ironia, dalla connotazione esorcistica, "un’ironia che in Wilder è sempre stata il linguaggio figurato dell’orrore della vita".

Espatriato in America nel 1933 per via dell’intolleranza antisemita del nazismo, sarà qui parte preziosa e creativa del gruppo di artisti mitteleuropei che, come lui esuli, e come lui ricchi delle esperienze culturali europee, tra cui quella dell’espressionismo tedesco, danno vita al nuovo genere noir degli anni ‘40, che riesce a combinare in modo mirabile le vecchie tecniche espressioniste, luci e ombre, linee sghembe, bianco e nero, chiaroscuro, con le esigenze americane di maggiore realismo. Wilder dà un forte contributo all’affermarsi di questo genere con film, vere lezioni d’autore, come "La fiamma del peccato", "Viale del tramonto", "Testimone d’accusa".

Dopo i film noir, Wilder diviene un maestro riconosciuto della commedia, definito di volta in volta "espressionista, realista, comico, tragico, volgare, sublime, o tutte queste cose insieme". Tutti ricordano e hanno amato, fra i tanti, "A qualcuno piace caldo", "Quando la moglie è in vacanza", "Sabrina", "Arianna", "Baciami stupido", "L’appartamento", "Irma la dolce", "Prima pagina".

La critica, secondo alcune sue pregiudiziali che la hanno portata a considerare più elevato il genere drammatico rispetto a quello leggero, e ancor più al comico, che con le sue dissonanze e una gestualità irridente risulta irritante, e a vedere con diffidenza il successo di pubblico dei film, ha avuto verso Wilder un atteggiamento altalenante: apprezzato come un grande nei film drammatici, e relegato come minore in opere leggere, in commedie che, fingendosi nel tono brillanti ma levigate e prive di allusioni piccanti, inatteso lasciano irrompere il motto pesante, la battutaccia, un’allusione trasgressiva, ossia un inconscio irruento e scabroso. E un inconscio emerso, sia pur per un guizzo, ma ripetuto, inquieta chi ama il quieto vivere.

Tutti sono film indimenticabili, attraverso cui scorre il filo pregnante e raffinato dello stile e della poetica del regista, che li contrassegna di grande spessore e intelligente intrattenimento. Che ormai appartengono al secolo passato e a registi già scomparsi o giunti al traguardo della vita.

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