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QT n. 12, 15 giugno 2002 Servizi

La “riforma” è un disastro: anticipiamola!

La scuola della Moratti in anteprima nella provincia di Trento. Grazie ad una giunta di centro-sinistra.

Lucia Coppola

Il 19 maggio scorso utenti, operatori, Consiglio scolastico provinciale, organizzazioni sindacali sono venuti a conoscenza dalla lettura dei giornali che è intenzione del Presidente della Giunta provinciale e Assessore all’’istruzione, Lorenzo Dellai, stipulare un protocollo d’ intesa con la ministra Moratti, che consentirebbe alle scuole del Trentino di sperimentare, anticipandoli insieme alla regione Lombardia, (quella dei "buoni scuola") alcuni aspetti della legge delega in materia di istruzione.

Preferisco sorvolare sul piano del metodo, che esclude ogni forma di coinvolgimento, evidenziando un dirigismo ed una mancanza di trasparenza davvero preoccupanti, ed entrare nel merito dei contenuti.

A distanza di giorni, e dopo aver assunto tutte le informazioni del caso, ancora mi sfuggono le ragioni di questa anticipazione di una riforma (si fa per dire che presenta punti davvero controversi: non capisco perché il Trentino, che gode di una certa autonomia politica e amministrativa, debba diventare più realista del re , riportando indietro le lancette dell’orologio di decenni, applicando quello che da molti a livello nazionale è considerato un vero e proprio disastro. Fra questi, il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, che vede stravolto un modello educativo molto apprezzato senza trovare riscontro e fondamento in studi e ricerche didattiche e pedagogiche. E mentre ovunque la scuola, attaccata da diversi provvedimenti tesi a restringere gli organici (8.500 posti in meno per quest’anno e 35.000 nei prossimi due), reagisce e aderisce a tutte le iniziative che le danno voce, mentre una manifestazione raggiunge Barbiana nel ricordo di don Milani, per rammentare che le frontiere di una scuola che emancipi e realizzi i sogni, che formi una generazione di persone solidali e colte, che non emargini e non perda per strada i suoi figli, non sono ancora pienamente raggiunte, noi siamo qui a subire dall’alto decisioni destinate a modificare in modo sostanziale l’assetto della scuola.

Perché in base al protocollo Dellai ci sarà un tempo scuola obbligatorio di 25 ore - contro le 40 del tempo pieno e le 30 della scuola dei moduli - ed un tempo facoltativo per tutta una serie di attività (il doposcuola di buona memoria?), certo non a pagamento come le prevede la signora Moratti (siamo una provincia ricca), che andranno a sostituire quel tempo "obbligato" a cui le famiglie ricorrevano peraltro con un’ adesione pressoché incondizionata: sia per l’offerta formativa di qualità che per la garanzia di una scuola che oltre a custodire e ad istruire, "conteneva" la fatica di vivere, la solitudine di tanti bambini, cresciuti in famiglie mononucleari e con mamme lavoratrici, privi sovente dell’abbraccio di una sfera parentale e amicale allargata fatta di nonne e zie, vicine di casa.

Una scuola che proprio grazie ad un tempo " pieno" e nel contempo "rilassato", poteva favorire il piacere dello stare insieme, di sperimentare la sicurezza e la gioia di apprendere insieme e gli uni dagli altri, l’uguaglianza delle opportunità: per i bambini portatori di handicap, i bambini stranieri, i bambini zingari. Per i "nostri" tanti bambini che vivono disagi familiari e del comportamento.

Ma facciamo un passo indietro.

Il 18 luglio 2001, il Ministero dell’Istruzione, che non è più "pubblica", dell’Università e della Ricerca ha istituito un gruppo ristretto di lavoro, presieduto da un professore dell’università di Bergamo, Giuseppe Bertagna, detto anche l’oscuro Bertagna perché sconosciuto ai più. Lo scopo era quello di accontentare gli elettori delusi dalla riforma dei cicli dei ministri Berlinguer e De Mauro, ed apportare "eventuali modifiche" alla legge 30 del 2000 che la sanciva. In realtà, come vedremo, ne risulterà assolutamente stravolta ed irriconoscibile.

Finalmente, l’11 gennaio il ministro Moratti presenta le bozze del disegno di legge al Consiglio dei Ministri. Da non credere: la proposta riesce a peggiorare, e di molto, l’esistente.

Le ragioni che da tempo avrebbero imposto una trasformazione profonda del nostro sistema di istruzione rimangono tutte lì, inalterate: i dati sulla percentuale dei diplomati, sulle dispersioni e gli abbandoni (specie nel critico passaggio tra scuola media e superiore), lo straordinario aumento delle conoscenze in ogni settore e dunque l’urgenza di rinnovare il sapere scolastico, dando a tutti un più solido bagaglio di conoscenze e competenze per fronteggiare le trasformazioni sociali. tecnologiche e produttive.

In compenso, molto altro cambierà. La scuola dell’infanzia, da ambiente che promuove lo sviluppo delle capacità educative, si trasforma in uno scimmiottamento in scala ridotta della scuola elementare, condita da una buona dose di assistenzialismo, quasi non fosse più un diritto, e addirittura più retrograda di quella ipotizzata dagli Orientamenti del ’69, che sia pure con molti limiti avevano tracciato un’idea coerente con le competenze già allora riconosciute ai bambini di tre/ sei anni: la costruzione di sé, l’identificazione di regole sociali, la capacità di acquisire un linguaggio sempre più appropriato. I bambini della materna giocano, quelli della scuola elementare lavorano: si propone dunque un’idea riduttiva, povera e generica del gioco.

Facoltativamente si può accedere alla scuola dell’infanzia a due anni e mezzo, con inevitabili problemi didattici e organizzativi, oltre che strutturali e, parallelamente, alle elementari a cinque anni e mezzo.Dal momento che anche questa opzione è facoltativa, ci potranno essere in prima elementare alunni con un anno e mezzo di differenza. E’ facile immaginare quali e quanti problemi ne deriveranno.

La scuola elementare esce dal settennio della scuola di base progettata dal precedente governo. Riprende il consueto viaggio ottennale, scandito da bienni curricolari: scelta questa molto criticata da chi vede in cicli più lunghi la possibilità di sviluppare non solo competenze disciplinari, chiamate longitudinali, ma anche competenze trasversali, cioè interdisciplinari, secondo percorsi cognitivi individualizzati, a misura dei tempi e degli stili di apprendimento di bambini e bambine.

In realtà quello che la riforma Moratti vuole introdurre sembra essere una disciplinarizzazione della scuola elementare, reintroducendo la nostalgica figura dell’insegnante unico di classe, tuttologo, privo di competenze specifiche, nei primi due anni, con la figura del maestro prevalente nelle classi successive. Il tempo scuola, come già detto, di 25 ore per tutti a cui si aggiungono fino a 10 ore di doposcuola a richiesta (e a pagamento). Il percorso della scuola elementare è in questo modo decisamente impoverito, l’autonomia progettuale del collegio docenti è negata. Si azzera la scuola a tempo pieno che da trent’anni svolge un servizio dove la qualità dell’offerta formativa è data anche dalla quantità del tempo scuola (teatro, nuoto e attività sportive, yoga, ricerca ambientale, uso del territorio come aula didattica, progetti sulle lingue straniere, che diventeranno opzionali). In compenso la religione, pare, sarà obbligatoria.

Con l’istruzione trasformata da diritto costituzionalmente protetto ad un bene a domanda individuale, lo Stato (o la Provincia ) non avrà più obblighi, ma dovrà solo garantire delle opportunità e che opportunità! Anche le mense e le ricreazioni saranno appaltate a personale esterno perché scarsa è la considerazione dell’interscuola come momento educativo , di reciproca conoscenza e condivisione di spazi informali ma importanti nella costruzione di rapporti significativi tra alunni e insegnanti.

Anche per la scuola media l’impianto previsto è precedente ai programmi del’79 e alla riforma del ‘62. La stessa perde infatti completamente di identità, si azzera il suo carattere orientante e da ordine specifico di scuola, attento ai bisogni dell’adolescenza, diventa un luogo di passaggio, quello in cui con un anticipo assurdo si compiono scelte importanti e definitive.

Infatti la scelta, al temine della scuola media, fra due distinti percorsi, quello dei licei e quello dell’istruzione e della formazione professionale, riporta a un’ idea di scuola che un tempo si definiva reazionaria e classista (e qui don Milani insegna davvero!).

Nascosta dietro un’ipotetica libertà di scelta, che dovrebbe assecondare le vocazioni individuali (non tutti hanno la stessa volontà di impegnarsi in apprendimenti alti), si nasconde la volontà di far scegliere precocemente tra due sistemi separati.

Ma si è liberi di scegliere quando si possiedono strumenti culturali adeguati al "peso" della scelta che si compie! E quella di decidere del proprio futuro è probabilmente la scelta più pesante che ciascun individuo si trova a fare nel corso della vita.La possibilità di passare da un binario all’altro, soprattutto per chi proviene dalla formazione professionale, appare molto improbabile, alla faccia delle "passerelle", previste dalla precedente riforma, che consentivano a chi "sbagliava" di ricredersi portandosi dietro comunque il credito formativo della scuola precedentemente frequentata: senza perdere prezioso tempo di vita e competenze acquisite, aiutato altresì con corsi di recupero ad inserirsi nella nuova scuola. Nel rispetto dei tempi diversi di maturazione e consapevolezza della propria identità, dei bisogni, dei desideri.

Intanto apprendiamo che non esiste nemmeno più "l’obbligo scolastico", inteso come impegno della nostra Repubblica, e quindi della scuola, a far conseguire a tutti i ragazzi e le ragazze gli stessi traguardi formativi. La riforma Moratti ci dice che il termine è obsoleto, meglio dire "diritto- dovere all’istruzione", ma in percorsi separati e distinti già alla fine della terza media.Anche questo è libertà…

L’ultimo punto (ma molto altro ci sarebbe da dire): il disegno di legge prevede che dai 15 ai 18 anni gli studenti possano svolgere la propria attività con "periodi di tirocinio e stage presso le imprese". E’ la famosa alternanza scuola- lavoro, che non prevede contratti né retribuzioni come per l’apprendistato, ma semplici convenzioni tra scuole e imprese.

Quali saranno le garanzie di cui potranno disporre i giovani e le scuole di fronte alla tentazione delle imprese di utilizzare questa giovane forza lavoro per i propri obiettivi? Non ci sono risposte.

Che altro dire? Peccato! Disegnare un grande progetto di riforma sarebbe nell’interesse del Paese: i giovani, tutti i giovani, nessuno escluso, meriterebbero di più di queste soluzioni che proiettano sul terreno della scuola un respiro corto e poco lungimirante.

La ministra Moratti e il presidente Dellai non hanno tenuto conto del fatto che la scuola è molto più avanti delle loro "innovazioni". Quando sono state introdotte nella scuola le precedenti riforme ( i programmi della scuola media, dell’ elementare, dell’infanzia), queste portavano a sintesi le esperienze migliori che circolavano dentro le scuole: la spinta all’innovazione è sempre venuta dalla scuola stessa. Ora invece si azzera quanto della migliore tradizione scolastica è divenuto progetto, patrimonio consolidato di riflessione e azione didattica.

Da tutto questo la nostra autonomia, il presidente Dellai e un governo di centro-sinistra, come un ombrello protettivo avrebbero dovuto tutelarci, ponendo un argine a questi provvedimenti, rendendoli quanto meno un po’ più compatibili con la nostra bella storia, con l’impegno e il lavoro di tante persone, con le conquiste. Con le specificità della nostra realtà territoriale ma anche con i problemi che ancora affliggono il nostro sistema scolastico e che difficilmente troveranno una risposta in questa sperimentazione/innovazione/anticipazione di cui nessuno sentiva il bisogno.