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QT n. 15, 14 settembre 2002 Monitor

L’estate cinematografica in rassegna

Il Festival di Venezia, fra il tentativo di non restare un palcoscenico periferico, e le attenzioni alle realtà marginali e industrie in crescita.

Nel corso dell’estate, il cinema ha avuto a Trento una rinnovata attenzione, con l’apertura regolare di varie arene periferiche e della multisala del Modena; numerose le riproposte di pellicole già passate sugli schermi, volentieri riviste, ma anche le novità, tutte assai apprezzabili, che hanno ravvivato specie la rassegna del giovedì, convalidata tradizione invernale, continuata, e anche questa è una novità, in questi mesi estivi con successo.

I film proiettati sono interessanti, dotati insieme di qualità e gradevolezza, diversi per stile e punti di vista, percorsi però da un filo tematico comune, le relazioni interpersonali: in contesti narrativi differenti e con toni variati, esse vengono messe in scena con la cura di evidenziarne la complessità, le sfaccettature, la difficoltà a trovare valida comunicazione e soluzioni, che spesso si intravvedono nei finali, quale risultato di volontà e desideri positivi.

Ecco un paio di titoli. "Italiano per principianti" è un film corale costruito su un gruppo di personaggi, danesi di una cittadina nei pressi di Copenhagen, variegati per carattere, estrazione, vissuti, accomunati dalla frequenza di un corso di italiano, che cambierà le loro vite già sul binario triste di una monotonia quotidiana fatta di problemi e solitudine. I destini si dipanano tra aspre battute e riprese, si intersecano in modo impensato e bizzarro, si compongono seguendo i richiami dell’amore che unisce nuove coppie prima insperate.

Se i canoni narrativi sono scorrevoli e i toni distesi, pure certi modi stilistici puri e scabri, tipici del gruppo danese Dogma ‘95, cui la regista Lone Scherfig appartiene, emergono, anche se stemperati da una personale leggerezza di tocco, quando la macchina da presa, puntata su azioni e gestire dei protagonisti, su espressioni e dettagli appropriati, ne mette a nudo difetti, debolezza e l’intima condizione umana. Questa sembra disperata e rassegnata, mentre, a contraddire l’usuale durezza del Dogma, cova il bisogno di calore umano e di amore, che infine trapela e si afferma; e di cui si fa metafora l’Italia, dove il gruppo giunge a conclusione del corso, quasi a premio della sobria ma tenace ricerca d’amore, e dove sanno finalmente lasciarsi andare alla passione, in una lieve riconciliazione con la vita.

Nel film si alternano toni di commedia, drammatici, leggero-umoristici, veicolo di un alito di ottimismo e di una positività intelligente, che convive con temi di durezze e osticità continue. Anche per via dei due piani culturali, danese e italiano, su cui il film è costruito, attorno al pretesto del corso di lingua, riuscendo ad integrarli, senza banalità o stereotipi, col risultato di reciproche comprensione e apertura, nel mantenimento dell’identità.

na rondine fa primavera" porta nel cinema d’ambientazione francese, che in genere si caratterizza come ambiente cittadino, Parigi, o ambiente della campagna, ognuno definito e distante, centro di un contesto sociale e culturale ben delineato, non interagenti l’un l’altro; specchio, questa situazione cinematografica, di una situazione sociale propria francese.

"Una rondine fa primavera"

UNel film di Christian Carion è il caso invece di una giovane che cambia vita decidendo di spostarsi dalla città alla campagna. La trentenne coraggiosa Sandrine, esperta di informatica, stanca dei fragori e degli affanni parigini, opta, dopo un periodo di preparazione teorica e pratica, per la natura montana francese, dove acquista, per farne il suo nuovo habitat, una fattoria isolata fra i pascoli, condotta per decenni dal vecchio Adrien, rimasto solo, scontento di doverla ora cedere.

Le due personalità, della giovane e del vecchio, che per un periodo vivono contigui, volitive e coraggiose, non inclini alla socievolezza, ma dotate di passione, si fronteggiano all’inizio, o si ignorano, in un approccio assai difficile, ma la diffidenza si scioglierà poi in solidarietà e affetto. Il ritmo narrativo scorre quieto e agile, aderendo ai ritmi della natura, l’alternarsi della stagioni, le fasi del lavoro contadino, ma anche al flusso dei sentimenti e al conformarsi del rapporto tra Sandrine e Adrien: l’una con un passato di moderna mediocrità - figlia unica, genitori separati, madre apprensiva e premurosa, un fidanzato ma poco amore - che viene da lei sbrigativamente accennato e liquidato come insignificante, privo di alcunché di tangibile per ricordarlo; l’altro con un passato denso e greve, raccontato a frammenti in qualche buia serata invernale che facilita il fluire dei ricordi personali, dove ogni evento, banale o straordinario, è duraturo, iscritto e tutelato nella memoria e in un album di fotografie, che percorre tutta la storia della fattoria, conservato preziosamente e mostrato quasi ritualmente.

Il rapporto tra i due, nella solitudine popolata di animali e piante, costituisce il nucleo narrativo del film, che si sviluppa attraverso i tentativi di instaurare una comunicazione, resa difficoltosa sì dalla differenza d’età, ma anche dalla resistenza ad un’umana fiducia, ad ammettere le paure, a dare spazio ad un dialogo che innesti un contatto profondo reciproco. Fino a che autenticità e sincerità, tenute troppo a controllo, avranno la meglio e potranno smussare durezze e false sicurezze giovanili e rigidità ed egoismi senili.

Il pregio di questi e altri film della rassegna, magari imperfetti ma piacevoli, è la capacità di coinvolgere nelle storie e nei temi ad esse sottesi, storie di oggi, in cui lo spettatore si può riconoscere e da cui può trarre qualche spunto di ripensamento e speranza; a dispetto dell’abbondante dose di senso di catastrofe e impotente sconforto elargiti ogni giorno dai media.

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