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QT n. 17, 12 ottobre 2002 Cover story

Sindacato, la rottura

La rottura c’è e fa male: eppure rimangono forti, soprattutto in Trentino, le ragioni dell’unità sindacale. Intanto i partiti del centro-sinistra sono costretti alla rincorsa, perchè...

E’ stato preannunciato un autunno caldo e caldo sarà già dal 18 ottobre, con lo sciopero generale nazionale indetto dalla sola Cgil. Uno sciopero che presenta alcune soluzioni di continuità: disattende la prassi dell’indizione unitaria di questa forma di protesta; nasce all’insegna di un nuovo rapporto fra i partiti della sinistra e la Cgil, con quest’ultima a fissare la rotta; segnala uno stato delle relazioni della Cgil nei confronti del governo in carica, inusualmente dure e pessime anche sul piano personale.

Tre strappi che sono peraltro strettamente collegati e rappresentano la replica della Cgil al governo Berlusconi, che programmaticamente tendeva a ridimensionare il ruolo del sindacato, dismettendo innanzitutto il sistema della concertazione. Uguale reattività non hanno mostrato Cisl e Uil, forse allettate - secondo quanto afferma Cofferati - da nuove funzioni relative alla gestione del mercato del lavoro accompagnate dai relativi finanziamenti, evocate dal capo del governo. In tal modo è andato a segno anche l’altro obiettivo del centrodestra, tutt’altro che segreto, quello di dividere il movimento sindacale.

La miccia, come tutti sanno, è stata la volontà del governo di modificare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che fra l’entusiasmo revanchista della parte meno lungimirante (e però maggioritaria) della Confindustria, andava a toccare direttamente il tema dei diritti. Per tutta risposta la Cgil si è eretta a baluardo della dignità dei lavoratori fino a minacciare il ricorso in ultima istanza al referendum abrogativo.

All’opposto, Cisl e Uil, con la firma del Patto per l’Italia, hanno preferito giungere ad una transazione e con qualche ansia attendono ora di vederne recepiti i contenuti nella finanziaria.

Qui vale la pena aprire una parentesi per ricordare alcuni fatti che riguardano il tema in questione.

Primo: l’idea di intervenire sull’art.18 (cancellazione del diritto al reintegro se il licenziamento è senza giusta causa) era già venuta al centrosinistra, ma D’Alema si era subito arreso allo stop imposto dai sindacati. Berlusconi ne ha fatto invece una bandiera, un casus belli.

Secondo: il sindacato ha già fatto ricorso al referendum, in disaccordo con Cisl e Uil nel 1984, per la scala mobile, altro tema-simbolo. Tutti sappiamo come andò a finire, e perciò a molti si rizzano i capelli quando sentono ipotizzare una nuova sfida referendaria. Una sconfitta porrebbe il suggello irrevocabile della volontà popolare ad una legge, che attendendo tempi migliori potrebbe invece essere rimossa per via parlamentare.

Terzo: i sindacati negli anni scorsi hanno già ceduto ai governi del centro-sinistra fette abbondanti di dignità dei lavoratori in nome della mitica flessibilità, acconsentendo ad una serie di provvedimenti che hanno di fatto precarizzato il rapporto di lavoro, specialmente dei nuovi assunti.

Quarto: i sindacati avevano comunque fatto una pessima figura quando era stato divulgato che per loro, come per i partiti, la norma della giusta causa non valeva. Chiusa la parentesi.

D’altronde se la Cgil ha rivestito i panni del vero antagonista del governo di Berlusconi e del berlusconismo, è anche per la scarsa incisività del centro-sinistra nel fare opposizione. Non crediamo che i partiti dell’Ulivo siano caduti nella trappola berlusconiana, come dice Cofferati, che cioè traccheggino in un inconcludente fair play politico per paura di sembrare non democratici. Neppure i DS hanno più bisogno di sdoganamenti, per quanto il capo del governo non lasci nulla di intentato per agitare ancora lo spauracchio del comunismo. Sono ben altri i problemi che affliggono l’Ulivo, come si è visto anche in occasione del voto in Parlamento sull’invio degli alpini in Afghanistan. La Cgil ha quindi preso nelle sue mani l’iniziativa, e le sue parole d’ordine e le sue mobilitazioni si sono per altro perfettamente saldate con quelle dei girotondisti in un movimento capace di mobilitare milioni di cittadini.

Rivincita della società civile contro un’imbelle nomenklatura politica, come proposto da alcuni, o antica propensione estremistica e antiriformista della sinistra italiana, come suggerito da altri, che emerge nei momenti di difficoltà?

Cisl e Uil sembrano aver optato per la seconda spiegazione e il segretario della Cisl, Pezzotta, ha bollato lo sciopero del 18 ottobre non semplicemente come uno sciopero politico (e come potrebbe non esserlo quando la protesta investe tutta la politica economico-sociale del governo?), ma come tappa di un progetto per rifondare la sinistra. Un’accusa grave di strumentalizzazione dei lavoratori per un obiettivo di parte, anzi partitico.

La Cgil si avvia, quindi, allo sciopero generale nazionale da sola e accompagnata dall’esecrazione di alcune forze dell’Ulivo, ma con la convinzione di raccogliere vaste adesioni anche nei recinti altrui. Se così sarà, ne sortirà una spallata forte a questo governo, ma proporrà anche problemi nuovi e pressanti sia ai partiti dell’opposizione sia allo stesso sindacato. Renderà, infatti, ancora più urgente l’iniziativa politica del centro-sinistra, ma nel contempo avrà introdotto ulteriori difficoltà, perché i contrasti nel sindacato fatalmente si rifletteranno all’interno del raggruppamento ulivista.

Nello stesso tempo non cancellerà affatto, per i sindacati, la necessità di ricercare convergenze su altri obiettivi (pensioni, stato sociale, Mezzogiorno, ecc.) e non risparmierà alla stessa Cgil e a tutto il sindacato un ripensamento di nuove strategie, dal momento che sembra improponibile un ritorno al vecchio modello della concertazione centralista.

Di tutto questo abbiamo parlato con Bruno Dorigatti, segretario della Cgil del Trentino.

Vi avviate ad uno sciopero generale nazionale, indetto solo da voi. Dopo quanto tempo?

"Risale al 1970 l’ultimo sciopero generale non unitario. Anche allora fu proclamato solo dalla Cgil e riguardava il sistema pensionistico. In quell’occasione Cisl e Uil successivamente confluirono sulle posizioni sostenute dalla Cgil. Ci furono altri momenti di divisione, come nel 1984 sulla scala mobile, ma mai così gravi come quello attuale, che riflette una profonda differenza di strategia. La Cgil punta sul versante dei diritti, non soltanto quelli del lavoro, ma anche i diritti all’informazione, alla salute, alla sicurezza, all’ambiente, ecc.; punta su un sindacato che sia un soggetto autonomo di contrattazione con una forte rappresentanza e legittimato dal consenso dei lavoratori. Mentre la Cisl e la Uil sono orientate verso un sindacato dei servizi, che gestisca il mercato del lavoro e i servizi ai lavoratori tramite gli enti bilaterali (organizzazioni congiunte dei datori di lavoro e dei lavoratori, n.d.r.). Un modello di sindacalismo che finisce per ricercare la propria legittimazione non nel consenso degli associati ma nel governo".

Vuoi ricordare gli obiettivi dello sciopero?

"Contro le modifiche all’art. 18 e contro l’ulteriore precarizzazione del lavoro, per la dignità delle persone e l’estensione dei diritti a chi oggi ne è privo; contro la politica economica del governo come si va delineando nella finanziaria; contro la politica sociale del governo verso la scuola, la sanità, l’immigrazione, il Mezzogiorno; a sostegno dei rinnovi contrattuali per i quali il governo vuole imporre il limite dell’inflazione programmata, ben lontana da quella reale".

Come sta andando la raccolta di firme sul documento che illustra la vostra posizione?

"In Italia ne sono state già raccolte 2,6 milioni; in Trentino siamo a quota 25.000 e riteniamo che sarà raggiunto l’obiettivo prefissato, rispettivamente di 5 milioni e di 40.000 firme. Le invieremo con una petizione alle Camere; se poi quei provvedimenti, malgrado tutto, dovessero venire approvati, non esiteremo a promuovere il referendum abrogativo, pur con tutti i rischi che ciò comporta".

Insomma non siete preoccupati per l’esito di questo sciopero?

"Le nostre mobilitazioni di questi tempi hanno avuto un notevole successo di partecipazione, e un numero consistente di iscritti e anche di delegati sindacali delle altre organizzazioni ci hanno chiesto la tessera e aderiranno allo sciopero. Inoltre la Cgil del Trentino inviterà tutti i movimenti, dai no global alle associazioni cattoliche, ad unirsi alla protesta.

Gli elementi di preoccupazione riguardano piuttosto il clima di divisione che potrà crearsi fra i lavoratori all’interno delle aziende".

Di fatto la Cgil ha assunto, in campo nazionale, un ruolo di supplenza politica, è diventata il punto di riferimento per l’opposizione e per la sinistra. Di più: è stato detto (da Pezzotta, Cisl) che il progetto di Cofferati era quello di rifondare la sinistra...

"La Cgil è indubbiamente diventata punto di riferimento per milioni di lavoratori, giovani e donne, come la manifestazione del 23 marzo a Roma e gli scioperi successivi hanno dimostrato. Ma non ha mai abbandonato il terreno del merito dei problemi, quindi non si può parlare di sconfinamento nella politica. Quanto alle ambizioni di Cofferati, per ora parlano i fatti. Come aveva annunciato già qualche anno fa, allo scadere del suo mandato è andato a rioccupare il suo posto di lavoro alla Pirelli. Poi non sta a me valutare quanto ci resterà. Diversamente si è comportato invece il predecessore di Pezzotta, D’Antoni, proiettatosi dal sindacato alla campagna elettorale e risultato forse determinante per la vittoria di Berlusconi".

Nel momento in cui la Cgil assume il ruolo di baluardo democratico dei diritti e della dignità dei lavoratori, non credi che risalti maggiormente la contraddittorietà di certi comportamenti? Ne cito alcuni: l’esenzione del sindacato dalla giusta causa nei licenziamenti; il meccanismo del silenzio-assenso per acquisire quote contrattuali (i contributi richiesti ai non iscritti dopo la conclusione di un contratto favorevole); il mancato avvio delle Rsu (rappresentanze sindacali unitarie) nelle scuole; l’acquiescenza in tema di flessibilità del lavoro verso i governi di centrosinistra...

"Anche la Cgil, ma soprattutto il governo di centro-sinistra, ha commesso degli errori. Non per niente ha perso le elezioni. Quello più grave è di non aver fatto passare la legge Smuraglia sulla rappresentanza sindacale. Se fosse passata, non avremmo ora queste diatribe, perché sul Patto per l’Italia si andrebbe ad una consultazione dei lavoratori. Inoltre accade che fantomatici sindacati, privi di qualsiasi consistenza, come ad esempio quello della Lega, si siedano al tavolo delle trattative col governo o con le organizzazioni padronali e firmino accordi, che poi valgono per tutti i lavoratori. Una situazione che potrebbe degenerare: il governo potrebbe far sorgere sindacati ad hoc che sottoscrivano accordi al posto di Cgil, Cisl e Uil.

Voglio però rispondere puntualmente alle questioni che hai posto. Ritengo che l’articolo 18 debba valere anche per le organizzazioni sindacali. La raccolta delle quote contrattuali è semplicemente proibita dal nostro statuto: non va fatta e basta. Per l’elezione delle Rsu nelle scuole avremo presto un incontro con l’Apran (l’Agenzia della P.A.T. che conduce le trattative con i sindacati del pubblico impiego, n.d.r.) per fissarne la data. Quanto alla flessibilità, ricordo che la Cgil non ha firmato l’accordo sui contratti a termine e comunque ritengo che ce ne sia anche troppa in Italia. Sul lavoro interinale mantengo la mia netta contrarietà, specialmente se la gestione è affidata ai privati come avviene ora. In provincia di Trento si è persa un’occasione, non affidando all’Agenzia del lavoro questo compito".

Nella strategia della Cgil c’è ancora il perseguimento dell’unità sindacale? Rispetto alla situazione nazionale, qui in Trentino non si può dire che l’Esecutivo punti alla divisione del sindacato, tutt’altro.

"La ricerca quanto meno di un’unità di azione rimane un obiettivo della Cgil sia a livello nazionale che locale. Però per l’unità non si può mettere a repentaglio la propria identità, i propri valori e la propria strategia di fondo. Questo è il limite invalicabile. A livello locale c’è una tradizione di forte collaborazione ed anche in occasione dell’incontro del 3 ottobre col presidente Dellai c’è stata una convergenza di obiettivi e di giudizi con Cisl e Uil, a riprova che il metodo della concertazione qui è stato mantenuto. Mentre è stato cancellato a Roma, insieme con la politica dei redditi".

L’evoluzione dello Stato in senso federalista non richiederà anche una diversa organizzazione del sindacato più decentrata, come dice la Cisl con la quale però non sembrate d’accordo?

"E’ pacifico che il modello di Stato federale impone anche ai sindacati una riflessione, fermo restando che determinati diritti devono valere in tutto il Paese, ad esempio l’art. 18. La cornice, insomma, dev’essere unica; all’interno di essa si possono trovare delle soluzioni locali che estendano i diritti. Ciò che in realtà ci divide dalla Cisl è la concezione dell’impianto contrattuale. Secondo la Cisl occorre valorizzare al massimo il livello aziendale, togliendo peso ai contratti nazionali. Noi riteniamo che sia una scelta sbagliata: i contratti a livello nazionale costituiscono una garanzia irrinunciabile per i lavoratori. Le contrattazioni nelle aziende e di territorio possono solo integrare le norme nazionali. In altri Paesi, dove hanno sperimentato il modello di contratto aziendale, stanno tornando indietro dopo averne verificato gli esiti nefasti".