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QT n. 21, 7 dicembre 2002 Monitor

Mistero e natura: due film

Recensiti i film "Otto donne e un mistero" di François Ozon, e "Il popolo migratore" di Jacques Perrin.

Visti gli ultimi film d’amore proiettati sugli schermi, viene spontaneo chiedersi se l’amore nella coppia tradizionale sia ancora possibile, o non sia invece superato insieme allo scorso millennio; se la coppia, così come la si è concepita, sia ormai qualcosa di impensabile, essendo tutti per lo più impegnati e compresi a sostenere i nuovi ruoli maschile e femminile e a conseguire status symbol e consumi piuttosto che a vivere nel profondo i sentimenti; oppure se sia il cinema in difficoltà a rappresentare questa parte essenziale della vita.

Ma, si sa, il cinema è specchio del mondo e, pur tenendo presente il punto di vista di chi lo racconta, ne sa cogliere con prontezza, oltre le realtà, anche le atmosfere, i sussulti e cambiamenti, gli smarrimenti di una transizione, ne sa vedere i nuovi dettagli significativi, i flussi, i simboli che connotano lo spirito di un nuovo tempo.

Ecco allora, ad esempio, che questi film, accomunati da un abile uso delle tecnologie, stilisticamente encomiabili e gradevoli nella messa in scena, raccontano storie d’amore dove, se c’è passione devia in patologia, se è romantico si fa letterario e stinto, se è coniugale è tutto tranne che amore, mentre soffusa è una forte ambiguità di generi sessuali; ne deriva nel pubblico una reazione di insoddisfazione e inquietudine.

Scegliamo fra i tanti, come il più attraente e originale, il film di François Ozon, "Otto donne e un mistero": esso non parla prettamente d’amore, ma il tema dei rapporti uomo-donna di fatto trapela ovunque in questa storia ironica e divertente di pretestuoso delitto; dove l’uomo è assente, ma dove le otto donne, sole nella grande villa isolata, parlano sempre di lui, che giace nel letto con un pugnale piantato nella schiena, quindi per certo un assassinio.

Tutte e otto, un magnifico gruppo di attrici francesi le cui età abbracciano l’intero arco della vita, hanno un legame con il morto, la moglie, la sorella, la suocera e la cognata, due figlie adolescenti, la cameriera favorita e la governante nera, e sono tutte potenziali assassine, con buoni moventi e nessun alibi. Sia l’assassinio sia la conclusione, a sorpresa, sono solo il pretesto per indagare nel loro animo, per metterne a nudo le passioni segrete, le sinuosità delle psicologie e le sfaccettature della femminilità, per descrivere la fitta rete di vincoli, cinici interessi, pericolose attrazioni, di ogni genere, che si scatenano tra di loro.

Sotto l’apparenza per bene, sofisticata, noncurante, educata, il gruppo è un groviglio di vipere, e ognuna è alle prese con la propria dose di meschinità umana, affiorante nelle reciproche accuse e nelle improvvise scenate, che portano a galla il recondito sentire; il tutto lievitato da ironica contenutezza registica.

Infatti, oltre alla bravura delle attrici, giovani e vecchie, un misto di sobrietà, eleganza e beffarda disinvoltura, il gioco di gruppo è condotto con sapiente raffinatezza dal regista: egli, pur girando tutto in interni, in spazi sempre angusti e definiti, servendosi solo di campi e controcampi e di limitati movimenti di macchina, con conseguente senso di staticità che a volte pare arenare lo sviluppo, riesce comunque a movimentare il film con una sua vivacità interna. Questa viene dalle battute, dai ritmati colpi di scena, dalle sorprese riservate dall’indagine interiore, dalle splendide canzoni, che scandiscono l’evolversi degli strani e imprevisti rapporti nel gruppo, una per ogni attrice, che la canta e la balla con stile personale. E il famoso bacio tra la Ardant e la Deneuve, abbarbicate sul tappeto, fra litigi e svelamenti di passioni ignote, assume i tratti di un ridicolo arguto, che alimenta il divertimento complessivo.

Segnaliamo, a parte, il film di Jaques Perrin, vincitore dell’ultimo Festival della Montagna, "Il popolo migratore", che sta attirando un numeroso pubblico, come già alla sua prima uscita, a dimostrare come Trento ami il Festival e i suoi filmati sulla natura. E’ uno splendido documentario, che appaga lo sguardo con immagini di autentica bellezza, tinta a volte di commozione; una pausa in cui, relegate le brutture del mondo, le esigenze estetiche, presenti in ognuno, vengono soddisfatte con la messa in scena di una dimenticata classica armonia.

Le traversate sopra oceani e continenti, da un polo all’altro, da oriente a occidente, compiute insieme agli innumeri uccelli migratori, offrono un’esperienza visiva davvero straordinaria: vi concorrono le sofisticate tecniche impiegate, e specie il senso del colore, della composizione pittorica, di un’illuminazione suggestiva, di certi dettagli che mettono a contatto con il mondo ornitologico, riservando sorprese sulla sua istintualità e capacità organizzativa nel tracciare percorsi ed imprese d’eccezione.

I frammenti che compongono l’insieme mostrano i lunghissimi tragitti sopra deserti, ghiacci, tundre, mari, montagne e metropoli, con i pericoli in agguato che ogni ambiente riserva; e pure qualche tentativo di fiction quando la descrizione viene animata, sempre solo tramite il linguaggio iconico, dall’attenzione alla rete di relazioni e reazioni, istinti affettivi, solidarietà, che gli uccelli intessono tra loro, alle fatalità che li colpiscono, agli approdi felici nella meta agognata.

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