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QT n. 21, 7 dicembre 2002 Servizi

Convenzione delle Alpi: eppur si muove

Una scommessa nata 12 anni fa e che interessa 13 milioni di cittadini di 8 diversi Stati.

Dodici anni fa i governi degli otto Stati che comprendono le montagne delle Alpi decidevano di investire in un insieme di regole omogenee che potessero offrire risposte di sviluppo, sicurezza e protezione ambientale alle popolazioni residenti. Un obiettivo che sembrava utopia. Come conciliare lo sviluppo con la conservazione? Come rendere il progetto condiviso dalle popolazioni locali? Come offrire risposta alle mille diversità presenti?

Le Alpi, pur essendo una catena omogenea di monti, presentano diversità ambientali, logistiche, socio-economiche estremamente variegate. Vi sono eccessi di sviluppo e zone poverissime, ci sono parchi naturali e aree irreversibilmente offese dai comportamenti umani, vi sono climi temperati, versanti che scivolano nei mari e ghiacciai perenni, aree dove si è imposta la cultura delle città mentre a pochi chilometri di distanza si vive un isolamento che ha radici secolari.

Una scommessa incredibile quella avanzata nel non lontano 1991, una scommessa che andava investita e diluita lungo 1800 chilometri di montagne e vallate, estesa a 191.000 chilometri quadrati, che interessa 5.934 comuni, dei quali 1.764 nel nostro paese, che coinvolge oltre 13 milioni di abitanti di cui 4 milioni e mezzo italiani.

Già nel 1995 gli 8 Stati avevano sottoscritto la Convenzione, ma la ratifica degli specifici protocolli di intervento si è rilevata una sofferenza. Si trattava di decidere su comportamenti unitari in tema di turismo, trasporti, gestione delle foreste, agricoltura, pianificazione territoriale, sviluppo ed economia, aree protette, energia. Le regole previste, anche se prive di riferimenti vincolistici forti, offrono indirizzi che vanno rispettati. A tutt’oggi solo Liechtenstein, Germania ed Austria hanno concluso i procedimenti istituzionali per la ratifica di tutti i protocolli; altri 4 paesi (Principato di Monaco, Francia, Italia e Slovenia) stanno concludendo i diversi percorsi; i cantoni svizzeri, infine, si sono spaventati, hanno innalzato l’orgoglio della loro autonomia e poche settimane fa hanno bocciato, in fase consultiva, la ratifica di tutti i protocolli.

L’Italia ha appena terminato il suo periodo di gestione della presidenza della Convenzione, che viene affidata ogni due anni ad un paese diverso. Per l’Italia sono stati due anni deludenti: il grande lavoro svolto in pochi mesi dal precedente sottosegretario all’ambiente, Valerio Calzolaio (DS), è stato congelato dall’attuale governo e solo con uno scatto d’orgoglio, non a caso contemporaneo allo svolgersi della conferenza di Merano, il 19 novembre la Camera ha ratificato i protocolli. Se il voto ha avuto consensi diffusi (363 sì, 6 no, e 12 astenuti), la discussione è stata misera. I deputati della Lega hanno dato saggio delle loro capacità culturali e nel dibattito hanno riproposto tutti i luoghi comuni cari ai nostri sindaci di vallata nel contrastare i parchi, nell’imporre impianti di sci e viabilità pesante, e nell’evitare le regole. Tanta demagogia e un’assenza totale di conoscenze scientifiche.

Nonostante in quei giorni l’Italia fosse percorsa da traumi idrogeologici allarmanti, alluvioni, frane, dissesti annunciati che con poca pioggia si trasformavano in tragedie, dal dibattito sono stati totalmente assenti i temi delle sicurezza idrogeologica, dello sviluppo sostenibile, della qualità del vivere e della specificità della montagna rispetto alla pianura.

A Merano, dicevamo, si è recentemente tenuta la settima conferenza della Convenzione delle Alpi. I governi degli 8 paesi hanno fatto il punto della situazione ed hanno deciso passaggi importanti: dare piena attuazione ai protocolli ed invitare la Svizzera a riprendere il percorso bruscamente interrotto. Si sono accelerati i percorsi per arrivare alla stesura del nuovo protocollo, forse il più importante e complesso da definire, quello che riguarda "Popolazione e cultura". Si doveva decidere anche la città che avrebbe ospitato la segreteria permanente della Convenzione. Erano in lizza Grenoble, Lugano, Bolzano, Innsbruch e Maribor. Lugano è stata subito esclusa causa la non avvenuta ratifica dei protocolli da parte della Svizzera, mentre la candidatura di Bolzano era indebolita dai ritardi governativi e dal non edificante comportamento biennale della presidenza italiana. Ha vinto Innsbruch, mentre a Bolzano sarà presente l’ufficio responsabile degli affari tecnico-operativi e della ricerca scientifica.

Al funzionario Noèl Lebel spetterà il compito di Segretario Generale per due anni, la presidenza passerà alla Germania e sarà gestita dal ministro degli esteri Jürgen Trittin.

A Merano si sono decisi anche altri passaggi importanti. Si è consolidato un gemellaggio Alpi-Carpazi, riprendendo così un programma ambientale delle Nazioni Unite. La catena dei Carpazi è lunga 1.500 chilometri, vasta 209.000 chilometri quadrati, ricca di una popolazione attorno ai 18 milioni di abitanti e comprende otto paesi dell’Europa centrale all’Est, partendo dall’Austria per terminare in Romania, paesi che presentano problemi opposti a quelli alpini. Dalla necessità di imporre regole forti e condivise nelle Alpi si passa qui all’emergenza sviluppo. In molte zone dei Carpazi il primo problema è quello della fame e della risposta alla necessità di lavoro (Romania, Ucraina). Per quell’area non è quindi possibile copiare l’impianto normativo costruito nell’Europa centrale, ma gli spunti e l’esperienza da raccogliere sono fondamentali, anche per costruire una rete di solidarietà progettuale importante, un protagonismo nuovo delle aree montane che abbia l’obiettivo di consolidare anche culturalmente la nuova Europa.

Ma i Carpazi sono importanti perché custodiscono il patrimonio di un terzo di tutte le piante presenti in Europa: vantano 480 specie vegetali endemiche, una fauna selvatica ricchissima, dispongono di spazi inimmaginabili da noi (il 50% del territorio è infatti coperto da foreste, molte delle quali ancora vergini), e sono il serbatoio idrico delle pianure dell’Europa del Nord e del versante che guarda al Mar Nero.

Mentre si consolida questa cooperazione, si sta aprendo un nuovo capitolo che vedrà protagonista la catena dei Pirenei e la ripresa del progetto europeo riguardante gli Appennini (APE), che nella progettazione dovrà trovare presenti non solo le sedi istituzionali, ma l’universo dell’associazionismo ambientalista e sociale.

Della conferenza vi sono stati anche limiti: ad esempio, non sono state accettate fra le organizzazioni non governative riconosciute di capacità progettuale la rete dei parchi alpini e la rete dei comuni delle Alpi.

E ci sono limiti su progetti importanti che hanno ormai percorsi istituzionali lunghissimi, come "Espace Mont Blanc", un grande progetto internazionale di conservazione della più grande montagna delle Alpi, che interessa 2.800 Kmq., oltre 100.000 abitanti, tre Stati e 33 comuni; ma molti italiani non vi hanno ancora aderito e mentre si parla di questo progetto, a Cormayueur si propone una nuova funivia che arriverebbe a quota 4.200 e porterebbe i turisti dentro un grande ristorante vetrato, girevole, con oltre 500 posti a sedere; e intanto si pratica l’eliski e le motoslitte hanno libero accesso nella più piccola vallata.

E ancora, è stato dimenticato il progetto di "Dolomiti Monumento del Mondo", impedendo così un ponte di conservazione ideale fra Alpi Occidentali e Orientali.

Ma anche in presenza di queste debolezze, dobbiamo comunque investire in fiducia. La Convenzione è ormai un dato di programmazione consolidato e riconosciuto dall’Unione Europea, i vari protocolli vincolano i governi e le Regioni a comportamenti più sobri, la grande mobilità transfrontaliera dovrà trovare sbocco nelle linee ferroviarie, essendo impedita la costruzione di nuovi passaggi autostradali (cassata quindi l’Alemagna ed anche la Valdastico).

Altri passaggi importanti in tema di conservazione hanno bisogno di tempi di maturazione più lunghi, ma la rete dei parchi alpini sta diventando un laboratorio di sperimentazione di buone pratiche nello sviluppo, che avrà ripercussioni positive non solo sul territorio, ma risulterà anche investimento culturale.

E’ stato un percorso che ha visto come protagonista CIPRA internazionale, l’insieme delle associazioni ambientaliste dell’arco alpino che ha saputo con intelligenza e determinazione costruire un ponte fra istituzioni e organizzazioni non governative, un percorso che ha visto l’associazionismo ambientalista vincere proprio sul terreno propositivo.

Come ricaduta della Convenzione sul nostro territorio, ora ci si aspetta dalle istituzioni, la Provincia in primo luogo, comportamenti coerenti con i contenuti dei protocolli. La Valdastico, il potenziamento dell’aeroporto di Trento, la variante al PUP che prevede la semina di impianti sciistici nelle zone più delicate e fragili del nostro territorio, sono a questo punto progetti che andrebbero immediatamente cancellati da qualunque programmazione.