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La Madonina (riflessioni di Natale)

In ricordo di Camillo Moser.

“Che dolceza ne la voze de me mama / Quando insieme s’arivava al capitel...”

Con questi versi un po’ ingenui comincia la più bella canzone per coro di montagna. Nella sua semplicità è raffinatissima, quasi mozartiana. Il canto si sviluppa su un’idea ritmica di una battuta e non sfocia mai in un ritornello, mantenendo così quella eleganza sobria che rende La Madonina un esempio unico di corale alpino. Il compositore è Camillo Moser, un musicista che alla sua terra trentina ha donato tanto: attraverso le sue musiche, il suo impegno di direttore di coro, la sua opera didattica. La sua terra invece è stata verso di lui meno generosa, meno di quanto lo meritasse un figlio di vero talento.

Figlio della montagna. Dopo la sua scomparsa, ormai 17 anni fa, pochi si sono adoperati per non affievolirne il ricordo. Nella provincia che, grazie ai ricchi bilanci dell’autonomia, può permettersi di celebrare uomini ed eventi spesso piccoli ed effimeri, non ci si è dati molto da fare per tener vivo l’interesse verso un maestro che ha sublimato gli aspetti più autentici della musica e della cultura trentina.

Forse questa freddezza degli ambienti politico-accademici è dovuta alla scarsa immagine mondana che Moser ha sempre dato di sé. In lui non c’era alcun atteggiamento, alcuna posa per compiacere. Non ricercava la pubblicità, era discreto, di poche parole, non frequentava salotti, non si decantava mai. Insomma faceva l’esatto opposto di come si deve ragionevolmente comportare un artista per avere successo. Pensava, con arcaica concretezza, che il musicista dovesse innanzitutto saper suonare, cantare, comporre... tutto il resto erano sovrastrutture, ipocrisie utili per gli arrampicatori, balle.

Uomo di montagna, il Camillo: il suo fisico esprimeva la potenza di uno che da giovane aveva spaccato legna. Eppure la sua personalità musicale era tutt’altro che rude: melodie dolci, combinazioni armoniche colte e raffinate (con suggestioni che attingevano fino alla musica rinascimentale), un’arte di dirigere sempre attenta alle sfumature timbriche e dinamiche... In coppia con il poeta Italo Varner ha composto canti tra i più eseguiti nei repertori della montagna, come ad esempio il classico Le Dolomiti. Anche nella musica definibile "colta" ha impresso il suo segno, attraverso opere di carattere sacro e di musica da camera.

Uomo fatto di roccia. Insegnava armonia al Conservatorio: si impegnava, e lo faceva usando la stessa pazienza con tutti, talentosi o somari, perché era onesto. A me poi diceva, sempre più incazzato: "Pisanu, tu te ne freghi dell’armonia!". Aveva ragione; arrivavo regolarmente alle lezioni con mezz’ora di ritardo, non facevo gli esercizi, ero snob e strafottente. Ci fu un periodo in cui non mi rivolgeva mai la parola. Però il suo dovere lo svolgeva fino in fondo: passava dal mio banco apponendo, in simbolico silenzio, le correzioni e le spiegazioni con la matita e se ne andava (mentre i miei compagni di corso scuotevano la testa). Poi magari accadeva che io gli chiedessi che cosa ne pensava della successione armonica che avevo sentito in un tal oratorio...

E allora gli si illuminavano gli occhi, si metteva al piano e riproduceva il brano a memoria, spiegandomene i passaggi. Era questo il nostro modo di capirci. Per qualche attimo si sbriciolavano i muri scolastici e ci si mostrava l’uno all’altro per ciò che si era: uno studentello impertinente pieno di stima per un musicista col cuore grande.