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QT n. 22, 21 dicembre 2002 Servizi

“Si alle differenze, no alle crociate”

Intervista ad Aboulkheir Breigeche, presidente della Comunità Islamica del Trentino Alto Adige. Islamismo e diritti umani. Processi storici universali o peculiarità dell’Occidente?

Fra i temi più scottanti nel rapporto fra mondo occidentale e mondo islamico, oltre al petrolio e ai problemi legati all’immigrazione, ci sono i diritti umani e il fondamentalismo religioso. Quest’ultimo è ritenuto la matrice delle forme più estreme di terrorismo; i primi, secondo la sensibilità occidentale (che pure si concede ricorrenti amnesie in materia) spettano ad ogni persona a prescindere da appartenenze di qualsiasi tipo: razziale, ideologico, di sesso, censo, credo religioso ecc.. Solennemente sanciti anche dall’O.N.U., sono il vanto della storia dell’Occidente e costituiscono il parametro in base al quale - correttamente, a nostro parere - viene valutato il grado di progresso autentico di una società o di una cultura. E in questa speciale classifica i paesi islamici lasciano alquanto a desiderare; ma ciò che rende acuto lo scontro è, come fa notare Carlo Saccone nel suo articolo, la loro collocazione geo-politica, cruciale per l’attuazione del nuovo ordine mondiale perseguito dagli U.S.A. e dall’Occidente.

Una pattuglia di militari israeliani a Khan Younis, nella Striscia di Gaza.

Su queste problematiche abbiamo rivolto alcune domande ad Aboulkheir Breigheche, presidente della Comunità Islamica del Trentino-Alto Adige e vicepresidente dell’Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia (UCOII). Ricordiamo che Breigheche, di origine siriana, è giunto in Italia nel 1966, vi si è laureato e dal 1976 svolge la sua attività di medico di base a Mezzocorona.

Per il mondo islamico, i diritti e le libertà individuali sono una fissazione dell’Occidente e quindi una forma sottile di imperialismo ("imperialismo dei diritti") o hanno una valenza universale?

"L’islamismo ha creato una situazione di equilibrio, di non conflittualità, fra la libertà individuale, che è sancita nel Corano, e quella collettiva; fra i diritti della persona e quelli della collettività. Ad esempio, per quanto riguarda i diritti politici, l’Islam lascia libertà di scelta in ordine alla forma di governo".

La libertà di espressione?

"E’ richiesta dall’Islam e sottolineata, sia per gli uomini che per le donne".

Nel concreto non sembra: il caso attuale dell’intellettuale iraniano condannato a morte per le opinioni espresse, la vicenda dello scrittore Rushdie e più recentemente il caso della giornalista in Nigeria, pure condannati a morte. Come si concilia tutto ciò con la libertà di espressione?

"L’Islam mette dei limiti alla libertà di espressione, certamente. Qui c’è una diversità con l’Occidente. Nel mondo islamico ci sono certi valori che in Occidente non ci sono: la sacralità del Corano, del Profeta, della collettività stessa. Le persone possono esprimersi, ma non devono offendere oltre un certo limite, altrimenti ci sono delle conseguenze. La giornalista in Nigeria, esprimendosi in quella maniera ha offeso i valori, la collettività".

Quindi per l’Islam l’identità collettiva prevale su quella individuale? E’ un concetto che a noi occidentali ricorda periodi, anche recenti, di barbarie e di sopraffazioni.

"L’Islam non permette una libertà di espressione illimitata, che offenda i valori che vigono per quella società. Rushdie e la giornalista sapevano benissimo a quali conseguenze andavano incontro con certe dichiarazioni. Non è accettabile secondo l’Islam, per fare un romanzo, prendersi gioco delle mogli del Profeta. E’ una cosa sacra, intoccabile.

Poi c’è il problema delle interpretazioni di questi limiti. I paesi islamici attuali, quasi tutti filo-occidentali, sono governati in modo autoritario, oppure sono sotto l’egemonia di una categoria di persone, ad esempio i mullah, che interpretano questi limiti a modo loro. Ed usano in maniera strumentale la religione per emettere le fatwa (sentenze di condanna a morte), senza le debite procedure".

L’uguaglianza uomo-donna?

"Hanno la stessa dignità davanti a Dio. Nella storia dell’Islam molte donne hanno avuto ruoli decisivi, ed anche nelle società attuali hanno un ruolo attivo, a livello religioso, politico, culturale, di lavoro, ecc. L’Islam, è vero, richiede alla donna di prestare più attenzione alla casa, alla famiglia. E questo richiede che la donna sia più dentro casa che fuori. All’uomo invece è richiesto di lavorare, di guadagnare, di garantire alla famiglia una situazione economica dignitosa. Sono ruoli complementari che giustificano, ad esempio, il diverso trattamento in caso di eredità: alla donna si dà la metà di quanto si dà all’uomo. Proprio perché alla donna non è richiesto nessun contributo economico per i bisogni della famiglia, anche se naturalmente può farlo di sua volontà".

Bisognerebbe chiederlo a loro, ma secondo lei le donne accettano di buon grado questa condizione?

"Conoscendo il meccanismo di distribuzione della ricchezza nella società islamica, le donne sono più che contente".

La situazione che ha descritto è per certi versi simile a quella che vigeva presso di noi, qualche decennio fa, prima dell’emancipazione femminile; analogamente, la mancata separazione fra Stato e Chiesa l’ha conosciuta anche l’Occidente durante una lunga fase storica. Non crede che questi ed altri valori, come la secolorizzazione, l’individualismo, ecc. siano il risultato di un processo storico che ha già investito anche le società islamiche?

"Sicuramente è un processo universale, che ha influenzato anche il modo di vivere islamico, a tutti i livelli. Però l’Islam è un sistema completo di vita, molto diverso dal cristianesimo. In quest’ultimo, il rapporto spirituale rimane limitato fra l’individuo e Dio; l’islamismo invece è un sistema di vita non solo morale-spirituale, ma anche politico, economico. Perciò non ci si può aspettare che abbandoni i propri valori e che faccia proprio lo stile di vita occidentale. Questa pretesa che l’Occidente ha nei confronti anche di altre civiltà gli procura molti nemici, perché ricorda troppo il colonialismo militare, l’oppressione, lo sfruttamento, e di conseguenza fa nascere odio, estremismo. Sentimenti che sono comunque il frutto di un’errata interpretazione delle norme coraniche. Lo stesso Bin Laden non credo sia mosso dalla cattiveria, dal gusto di uccidere; è il risultato di un’interpretazione estremista - e di conseguenza non più islamica - di certi principi islamici".

Nell’islamismo sono presenti forze moderate-riformiste e forze radicali-fondamentaliste. La discriminante fra esse è il diverso modo di rapportarsi nei confronti della modernità e dell’Occidente?

"La differenza risiede nel modo in cui interpretano le norme islamiche. Malgrado la storia negativa che ha contraddistinto i rapporti fra mondo islamico e Occidente, c’è oggi una corrente molto forte di moderati che vogliono creare col mondo occidentale un rapporto alla pari, di rispetto reciproco, di collaborazione per il bene dell’umanità. Poi c’è la parte fondamentalista del mondo islamico, estremista, che come reazione a determinate imposizioni e ingiustizie, ha sviluppato una logica di annientamento: ‘o noi o loro’. Questo è un danno per l’Islam stesso e per l’umanità.

E tutti dobbiamo lavorare per rimuovere le cause di queste situazioni. Tuttavia il fondamentalismo, l’estremismo, il terrorismo non li troviamo solo nel mondo islamico: sono presenti in tutte le religioni e in tutte le culture".

Secondo gli esperti non c’è nel mondo islamico un’autorità religiosa (e quindi politica) centralizzata o uno stato-guida e ciò rende più difficile all’Occidente trattare e raggiungere un accordo, proprio per la mancanza di un interlocutore autorevole. La Turchia anche dopo l’affermazione nelle recenti elezioni di un partito religioso, ma moderato, rimane un regime laico e filo-occidentale, che ha buone chance di entrare nell’Unione Europea. Questo fatto, quali ripercussioni potrebbe avere sul mondo islamico? Potrebbe la Turchia diventare lo stato-guida, far da ponte fra le due civiltà e tagliare l’erba sotto i piedi dei fondamentalisti?

"Quello che è successo in Turchia è il risultato dello sforzo della corrente moderata islamica, che ha fatto prevalere un’interpretazione realista del rapporto col mondo occidentale. In Turchia Atatürk (fondatore della repubblica turca, la resse dal 1923 al 1938; introdusse con drastiche misure la laicizzazione, modernizzazione e occidentalizzazione del Paese, ciò che procurò alla Turchia l’accusa di eresia da parte dei paesi islamici, n.d.r.) aveva tentato di sradicare ogni manifestazione religiosa, anche personale. Ed è stato un grande fallimento, perché andava contro la volontà popolare. Dopo 70 anni i turchi sono tornati alla normalità, scegliendo un partito moderato. Sicuramente la Turchia, data la sua storia e la sua collocazione geografica, può avere questo ruolo di modello, per esprimere una nuova esperienza nel rapporto fra l’Islam e il resto del mondo. Ma non solo in Turchia: esperienze simili potranno realizzarsi ovunque venga data la possibilità di esprimersi a questa corrente religiosa moderata, oggi oppressa in tanti paesi, ad esempio in Egitto".

Sulla scia delle tesi di Samuel P. Huntington, si parla di scontro di civiltà, di guerre di religione e specialmente di conflitto Islam-Cristianesimo. Dopo la caduta del comunismo e la fine della guerra fredda, l’islamismo, identificato tout court con il fondamentalismo, sembra diventato il principale antagonista del nuovo ordine mondiale, perseguito dagli Stati Uniti, con intenti egemonici.

1991, guerra del Golfo, autostrada Bassora-Bagdad: quello che è rimasto dell'esercito irakeno in ritirata.

"L’Islam non si è messo contro questo nuovo ordine mondiale o contro questa nuova leadership americana. E’ stato l’Occidente o certi suoi esponenti ad individuare nell’islamismo, dopo il crollo dell’URSS, il nuovo nemico, ad enfatizzare lo scontro tra le civiltà, tra le culture, tra le religioni. Ma solo per tenere alta nel mondo la tensione, per giustificare tutte le sue azioni belliche, di egemonia ecc., fra cui è emblematico l’appoggio incondizionato dato alla politica israeliana a scapito dei diritti del popolo palestinese. Non crediamo assolutamente alla teoria dello scontro religioso, di civiltà. E’ una teoria strumentalizzata dai politici come si faceva ai tempi delle crociate".

Una eventuale guerra contro l’Irak, con la destituzione del dittatore Saddam Hosseyn sarebbe la smentita più clamorosa del paradigma dello scontro fra religioni. Infatti il regime irakeno per quanto dittatoriale e oppressivo non è fondamentalista, è un regime laico; a differenza dell’Arabia Saudita, finanziatrice del terrorismo, con la quale gli Usa hanno un rapporto privilegiato di alleanza. La caduta di Saddam, a prescindere da altre considerazioni, non sarebbe alla fine un favore fatto a Bin Laden e agli estremisti islamici?

"Nel mondo islamico si parla molto di questo. L’Irak non è un regime che rappresenta l’Islam per eccellenza, e si esclude d’altronde che il motivo della guerra possa essere il possesso di armi pericolose, distruttive, perché tanti altri paesi le hanno. Si sottolinea invece che la ricchezza dell’Irak, il petrolio, gli permetterebbe di avere un certo ruolo in difesa dei palestinesi. Insomma, alla base ci sono interessi economici e politici. Non mancano altri esempi: quello che è successo nei Balcani; il regime fantoccio imposto all’Afghanistan; la Cecenia, dove un popolo che ha tutti i requisiti per l’autodeterminazione viene invece considerato, per effetto di accordi tra USA e Russia, parte integrante della Russia. Ecco, è così che si creano gli estremisti".

In Occidente tuttavia vi sono anche voci che prospettano un superamento delle tensioni. Lo stesso Huntington ipotizza un modello di organizzazione politica mondiale multipolare, che faccia posto a tutte le civiltà. Il teologo cattolico Hans Küng considera come condizione essenziale per una pacifica convivenza, la pace religiosa, la rinuncia delle chiese alla pretesa del possesso esclusivo della verità. E su questa base, la costruzione di un’etica comune, vincolante per tutti. Il mondo islamico ha un suo progetto a livello globale o può riconoscersi nei due accennati?

"L’Islam per sua natura riconosce le diversità: di razza, di religione, di cultura, ecc. Sono realtà incancellabili, naturali. Nello stesso tempo però sa che siamo tutti un’unica razza umana ed abbiamo dei valori comuni, da costruire e da condividere insieme, da proteggere. E a questo fine l’Islam non mancherà mai di dare il suo contributo".