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QT n. 1, 11 gennaio 2003 Monitor

Un Volpone sfuocato

Deludente messa in scena, ad opera di Glauco Mauri, del "Volpone" di Ben Johnson: recitazione sopra le righe, scenografie e costumi troppo finti, uniformità di caratteri, in un lavoro che sembra puntare tutto sulla voglia di stupire un pubblico semplice.

Scriveva Karl Marx nei suoi Manoscritti economico-filosofici del 1844: " Il denaro... I) è la divinità visibile, la trasformazione di tutte le caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la confusione universale e l’universale rovesciamento delle cose. Esso fonde insieme le cose impossibili;

II) è la meretrice universale, la mezzana degli uomini e dei popoli".

Volpone esordisce nella commedia con una spudorata adorazione del denaro che rappresenta specularmente anche un’acuta disamina del suo valore, in termini così vicini all’analisi di Marx che sembrerebbe credibile che quest’ultimo, oltre al "Timone d’Atene" di Shakespeare e al "Faust" di Goethe sui cui esempi è costruita la sezione del terzo dei suoi Manoscritti dedicata al denaro, conoscesse di prima mano l’opera di Ben Johnson.

Testo teatrale che ha il pregio inoltre di contestualizzare splendidamente la fase storica dell’accumulazione originaria del capitale.

Il vero soggetto della commedia è il denaro verso il cui possesso sono protese le azioni umane e impietosamente svelati gli istinti, tanto che, e in modo particolare dalle consapevoli parole di Volpone, è possibile desumere la nascita di una società che del denaro sta innalzando il proprio feticcio e la propria ideologia da cui, beninteso, discende in linea diretta la nostra.

E’ utile ricordare che Volpone opera in Venezia, capitale europea dei commerci, come il degno fratello spirituale Shylock, protagonista della commedia "Il mercante di Venezia" di Shakespeare, scritta da quest’ultimo solo pochi anni prima (1596-97) di quella di Ben Johnson (1606).

Le forze e le caratteristiche che mettono in campo i protagonisti del Volpone sono pure ed essenziali perché finalizzate senza distrazioni, da un lato (Volpone e il servo Mosca) alla difesa e all’incremento del patrimonio e dall’altra (i clientes: Voltore, Corvino e Corbaccio) all’accaparramento dello stesso. La vera arte dei primi è brigare e macchinare ai danni dello stuolo dei secondi, abbagliati dall’ingordigia del possesso del patrimonio di Volpone.

Tuttavia la messinscena coglie solo pallidamente la ricchezza di idee e d’inventiva della commedia inglese, costruita su una sapiente tessitura di equivoci e di battute e su un finale moralizzatore.

La macchina teatrale infatti rimane poco convincente: la recitazione di Volpone - Glauco Mauri, qui in veste anche di regista, e di Mosca, Roberto Sturno - è uniformemente così sovrabbondante da sfiorare la caricatura, e, quel che è peggio, manca di quelle sfumature che sarebbero state indispensabili per far scoppiettare le battute, stridere i caratteri, impennare la tensione; mentre i dialoghi, pure bellissimi nel testo inglese, appaiono alla fine monotoni e scontati perché inseriti in un contesto recitativo omologato ad un unico registro.

Non va meglio per le scenografie e i costumi, che concorrono a dare l’immagine di una fiaba carnevalesca così finta da azzerare qualsiasi ancoraggio alla realtà storica e in sostanza da vanificare la forte valenza di critica sociale che pure possiede il testo inglese. A questo proposito si pensi alla scena, inutilmente laccata, su cui si alza il sipario, che mostra Volpone dormiente tra la biancheria di broccato e i fini ornamenti delle coltri che coprono i forzieri, maestosamente deposti come bare mortuarie ai piedi del letto.

Per finire risulta stonata la chiusa della commedia, non tanto perché tradisce l’originale finale (Volpone finisce in carcere e Mosca alle galere), ma perché il servo Mosca, alias il già ricordato Roberto Sturno, beneficiato del patrimonio dallo stesso Volpone, appare in proscenio, a sipario chiuso, pensoso e riflessivo, suggerendo immotivatamente una pausa di tipo esistenziale all’interno di un registro recitativo che fino a quel momento era stato frenetico e sgangherato.

La sensazione che si ha è che lo spettacolo sia stato costruito con il chiaro proposito di stupefare e stordire lo spettatore con facili effetti a sorpresa privandolo della possibilità di riflettere.

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