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La Chiesa e la pace

Franco Zadra

In queste ultime ore che, senza voler essere catastrofisti e augurandoci il contrario, ci separano dall’attacco all’Irak, mentre i nostri alpini (e alpine) sono già partiti, vorrei ricordare a tutti, qualora ce ne fosse bisogno, l’art. 11 della Costituzione che riporto integralmente a rischio di pedanteria : "L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo."

Mi colpisce in particolar modo quel "ripudia", un termine, a me sembra, dai toni inusuali per un leguleio. Non sono in grado di sapere quanto il fatto di essere una nazione cattolica abbia ispirato gli estensori di questo testo, ma "ripudia" mi sembra un termine di una tale forza che ben si adatterebbe anche oggi a venir pronunciato dalla massima autorità morale del paese: il papa appunto. Giovanni Paolo II, sia detto per inciso, non si è mai risparmiato in condanne aperte ed inequivocabili contro la guerra; purtroppo però queste "parole contro" hanno la stessa efficacia di quel bellissimo ed incisivo "ripudia" dell’art. 11 citato. C’è da chiedersi: perché? Come mai?

Mi sembra di dire una banalità affermando che se alle parole non seguono i fatti, queste scadono inevitabilmente nella genericità per quanto alto sia stato l’ideale che le ha ispirate. Ma che cosa può fare il Papa per dar seguito alle sue parole contro la guerra? Non tocca forse a noi laici di mettere in atto comportamenti conseguenti in obbedienza alle parole del pontefice?

Certamente sì! Ma, non so quale diavoletto me lo abbia suggerito, ho pensato ad un fatto che è sotto gli occhi di tutti: i cappellani militari. Perché il papa non li toglie dagli eserciti? Perché la Chiesa non ritorna al pacifismo ad oltranza praticato e predicato nei primi tre secoli fino a prima dell’editto di Costantino? Perché invece si fa santo un Escrivà de Balaguer, noto sostenitore di Franco nella guerra di Spagna che produsse più di un milione di vittime?

Che significato hanno certe condanne della guerra a fronte del mantenimento dei privilegi conquistati con la guerra (propria o di altri)? E le domande montano e montano nella mia testa: quale sarà il tono, e a chi saranno dirette le parole di conforto del papa a guerra finita? Spero che tutto questo non sia il segnale di uno scadimento del cattolicesimo in una spiritualità narcisistica di cui si accusano tanto fortemente i simpatizzanti dell’arcipelago New Age.