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QT n. 6, 22 marzo 2003 Monitor

Un teatro da ricercatori d’oro

"L'età dell'oro" di Laura Curino a Riva del Garda.

E’ grazie ad un funzionario illuminato, ma soprattutto - per quel che ci riguarda - innamorato del
teatro, come Paolo Malvinni, che il legame di Laura Curino con Riva del Garda è più forte che mai, e questo giova alla visibilità del buon teatro come risultato di un circolo virtuoso tra le istituzioni pubbliche, il teatro e il pubblico.

Dopo il bel "Macbeth concerto" visto l’anno passato – vedi "Macbeth", un'affabulazione in musica per voci recitanti - il 7 marzo scorso è stata la volta de "L’età dell’oro", scritto dalla stessa Laura Curino con la collaborazione di Michela Marelli e prodotto con il sostegno della città di Valenza.

Laura Curino si è regalata un sogno e ce lo ha donato: quello di far rivivere l’età dell’oro tornando alla propria infanzia vissuta durante la fine degli anni Cinquanta in un luogo dove letteralmente si fabbrica oro, Valenza Po. Da questi due elementi, l’uno dorato perché interno all’immaginazione e l’altro letteralmente dorato, nasce la felice intuizione della rievocazione dell’età dell’oro.

I due elementi si mescolano continuamente intrecciando poeticamente il piano dell’esperienza autobiografica, il "libro della memoria" aperto sulle pagine auree dell’infanzia, e quello storico del boom economico osservato da un singolare microcosmo come quello di Valenza. Ovviamente, come sa bene chi segue gli spettacoli di Laura Curino & Laboratorio, l’esperienza autobiografica non si declassa mai nell’autobiografismo, anzi al contrario, come nella migliore lezione di un realismo addolcito alla fonte della memoria, giunge ad abbracciare la storia di intere generazioni, arrivando a lambire anche quella di chi scrive. Chi non ricorda il fortunato spettacolo "Olivetti" e "Adriano Olivetti", tanto per citarne qualcuno, scritti anch’essi sotto la stessa buona stella ?

Corollario ineludibile dell’età dell’oro è la nostalgia, che nello spettacolo ha un triplice movimento: emana dall’infanzia, età dell’oro della vita perché ne è l’aurora, dall’epoca dell’eccellenza artigiana degli orafi di Valenza prima di scadere nell’omologazione industriale, e dal contemporaneo boom economico italiano, epoca di sogni come l’infanzia, come l’infanzia destinati a svanire e ad essere rimpianti.

Mentre la piccola Laura cresce attorniata prima dal gruppo delle donne a vario titolo e ragione frequentatrici della casa (ma in fondo per passare pigramente le ore del pomeriggio) e poi dalla combriccola degli amichetti, a Valenza comincia la "febbre dell’oro", che produce un formidabile quanto ibrido modello economico. La bottega dell’orafo si regge su quattro operai, che poco dopo diventano tre perché il più bravo decide di mettersi in proprio in un meccanismo che moltiplica teoricamente all’infinito le botteghe; alla ricchezza conquistata non fa seguito politicamente, come ci si aspetterebbe, il qualunquismo, ma la solidarietà sociale, mentre la piccola Valenza Po intesse relazioni commerciali in tutto l’orbe. Stranezze dell’economia o cos’altro?

Nel frattempo la storia fa il suo corso, trascinando mollemente nei suoi flussi anche i piccoli protagonisti. Da quella nicchia dorata che è l’infanzia vissuta alla fine degli anni Cinquanta, la storia non presenta marosi regalando a Laura e alla sua banda giornate colme di sole e la furbizia ingenua di imbrogli ai danni degli adulti o degli amichetti.

Ma a parer di chi scrive la scena più bella rimane una pura citazione da pitture e sculture classiciste: la protagonista, atteggiata da dea dell’abbondanza, getta dalla sua patera un tourbillon di filamenti dorati che brillano tutt’intorno creando un effetto unico di incanto e di magia; in quel gesto di prodigalità si è consolati a tal punto che si sente di essere inscritti nella promessa della speranza che quello stesso suggerisce.

Laura Curino è una generosa mattatrice che tiene la scena per quasi due ore di monologo sorretta unicamente da un’impareggiabile comunicatività e mimica dai tratti proteiformi; infatti l’attrice passa disinvoltamente dal ruolo autobiografico all’amichetto bisbetico, alla piccola amica che gioca a far la vamp, alle mamme della combriccola, al bigotto prete del paese e ai tanti altri.

Uno spettacolo che si sostanzia in quello che chiamerei lo style delLaboratorio Teatro Settimo e che contraddistingue come un’autentica sigla d’autore i lavori nati all’interno di quella straordinaria fucina artistica ora chiamata a gestire il Teatro Stabile di Torino.

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