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Christian America

Viaggio nel cuore degli States fra piazzisti radiofonici, predicatori televisivi e chiese sempre meno strutturate. Da L’altrapagina, mensile di Città di Castello.

Vincenzo Fortunati

Il mio ultimo viaggio negli Usa, pochi mesi fa, è durato ottomila chilometri. In macchina. E poiché si è svolto in buona parte negli Stati del sud, ho pensato che, tenendo la radio accesa in auto, mi sarei gustato del bel country. Mi sbagliavo. Non perché ogni tanto non ci fosse della buona musica, ma perché le stazioni radio americane, da Boston alla Florida, da Nashville a Indianapolis, sono inondate da un diverso tipo di programmi, e la musica fa capolino solo ogni tanto.

In realtà a farla da padrone nelle emittenti radio americane (almeno a est del Mississipi) sono i predicatori. E poiché viaggio con una moglie che, ancora adolescente, è stata conquistata alla fede da una predica televisiva di Billy Graham, e che a casa tiene la sua autoradio sintonizzata su Radio Maria, non ho scampo. Dopo mezza giornata, però, anche la religiosità di mia moglie ha subito degli scossoni. Ma chi sono questi tizi, preceduti e seguiti da ricchi jingle pubblicitari, con dovizia di particolari sul modo di effettuare le donazioni? Chi rappresentano?

Il mestiere del predicatore, in America, è una professione qualificata e redditizia. E se chiedessi loro chi rappresentano, non avrebbero dubbi: Dio. In effetti sono dei piazzisti: i piazzisti di Dio.

E forse farei meglio a dire Gesù Cristo, perché la parola Dio viene molto raramente pronunciata durante i loro sermoni, e nel corso di una predica televisiva di circa un’ora, anche Gesù Cristo è stato menzionato solo un paio di volte.

Già, la televisione. E’ qui che approdano i migliori. Quelli che "bucano lo schermo", che hanno doti oratorie e ritmi vincenti, quelli che sanno esattamente in quale momento alzare la voce, quando fare le pause, quando far sostenere la loro foga dai brevi e incalzanti interventi dell’onnipresente coretto gospel. Qui i jingle pubblicitari portano la firma di agenzie pubblicitarie che sanno il fatto loro. E non ho difficoltà a credere che il fiume delle donazioni potrebbe lasciare sbalorditi.

Ma di cosa parlano i predicatori mediatici nel corso dei loro sermoni? Ho la sensazione che in questo momento parlino della guerra, e poiché non sono lì ad ascoltare la radio, se voglio sapere quali siano le idee vincenti basta dare un’occhiata ai messaggi inseriti in un "Forum Cristiano" sulla rete. Gli esempi che seguono non sono selezionati: li prendo nell’ordine in cui vengono.

Scrive Sven: "Mantenete in vita questa pagina, gente. E’ bello vedere delle alternative alla Propaganda di Pace. Come norvegese ed europeo mi vergogno di Germania, Francia e Belgio, i grandi traditori".

Un illuminato che si firma "Pacifista con la pistola pronta" scrive subito dopo: "Io dormo con i miei sei fratellini (le pallottole, n.d.r.) sotto il cuscino nel caso dovessi difendere la mia famiglia. Ma non ho il diritto di attaccare i miei vicini, solo perché penso che potrebbero avere in mente di farmi del male. Amo il mio paese e mi considero un patriota, ma non sono d’accordo con l’attuale…".

Al pacifista con la pistola pronta risponde prontamente PJ: "Ahem, mi spiace di svegliarti dal tuo sonno profondo, ma uno dei tuoi vicini ti ha attaccato, l’11 settembre 2001".

Ed incalza Jay: "Sì, un nostro vicino ci ha attaccati: L’Afghanistan".

Tutto questo adesso. L’inverno scorso invece i predica-
tori parlavano di debiti e carte di credito.

Perché? Ma perché con oltre il 50% della popolazione sull’orlo della bancarotta, e un fiorire di "consulenti finanziari" che ti propongono come uscire dai debiti facendo nuovi debiti, quello era l’incubo dell’americano medio, finché non è stato soppiantato da quello della guerra.

I predicatori mediatici inseguono gli incubi degli americani, e in cambio di qualche massaggio dell’anima intascano le loro parcelle.

Ma il messaggio che seminano non è, in genere, di serenità e amore. Il loro Dio è sempre corrucciato, sta lì a minacciare punizioni atroci, e loro ne sono la voce, arrabbiata, minacciosa, salvo addolcirsi un po’ quando ricordano (perché ogni tanto se lo ricordano) che Gesù è venuto sulla terra per salvarci.

Lincoln, Nebraska.

Questo a est del Mississipi. Ma a ovest? Lincoln, la piatta capitale del piatto stato del Nebraska, non è mai stata la mia città preferita. È nota perché vi passava la grande via carovaniera che portava in California, e perché da queste parti passa il fiume Platte che, come dice il nome, è piatto, nel senso che lo si può attraversare a piedi anche dove è largo duecento metri, senza bagnarsi le ginocchia. Una pacchia per i pionieri, che avevano appena superato l’enormità del Missouri.

Dopo la riunione di lavoro, siamo invitati a cena da amici affettuosi. Scopriamo la dimensione domestica di Lincoln, che si rivela piacevole città universitaria, con la sua crescita ordinata. L’America sta rifluendo dalla California verso gli stati del Mid West e del Nord Ovest, cercando di sfuggire ai terremoti, alla siccità ed alla tumultuosa immigrazione asiatica e messicana, che fa salire i costi degli immobili. E Lincoln è un buon posto per far crescere una famiglia. Dopo tutto è una roccaforte "cristiana", e lasciamo a sera inoltrata la casa degli amici con le nostre nuove Bibbie elegantemente rilegate. Noi abbiamo pensato ai loro corpi, portando parmigiano e olio extra-vergine di oliva. E loro pensano alle nostre anime.

Il giorno dopo il collega taiwanese mi chiede come mai l’azienda che rappresentiamo nei nostri paesi, e per la quale siamo venuti a Lincoln, si sia avventurata per la difficile strada delle biotecnologie. Gli rispondo che, per quello che ne so, e per come li conosco, potrebbero aver ricevuto un’ispirazione da Dio. Mi guarda stralunato, ma c’è poco da ridere. Questa gente viaggia da trent’anni con il sorriso sulle labbra, ringraziando Dio per i doni ricevuti ogni volta prima di consumare un pasto, e non ha mai sbagliato un colpo, né ha mai commesso una scorrettezza. Il loro modo di agire ed il loro modo di parlare è rettilineo, nitido. Rispondono alle domande più complesse con una sincerità disarmante.

Ma sarebbe un grave errore considerarli degli sprovveduti. Sono tutti "cristiani", come Kerry. Kerry ha l’aspetto del gigante buono. Alto più di due metri, ha una faccia sorridente e puntuta da Nembo Kid. Il suo aspetto generale conferma l’origine scandinava del cognome. Quando vado a Lincoln cerca sempre di avere una mezz’ora da passare insieme, lontano dall’ufficio: una volta gli confidai che erano stati i suoi discorsi a cominciare a farmi capire cosa significhi "fede", e da allora penso che mi consideri una specie di sua creatura. Questa volta cerca con insistenza un ristorante thai, nei sobborghi di Lincoln. Uno particolare, dove si mangia "proprio come lì". Mi sorprende, perché il cibo non mi è mai sembrato la sua maggior preoccupazione. Poi però capisco. Mentre mangiamo piatti di riso piccantissimi, mi spiega che è tornato da poco da un viaggio nel nord del Laos, dove "loro" hanno una missione, e dove gli anziani lo hanno mandato a verificare lo stato delle cose. Una cosa eccitante: viaggio in piroga lungo un affluente del Mekong, entrando dalla Tailandia per evitare le guardie di frontiera laotiane. Un villaggio sperduto di montanari Mon, ferventi cristiani, a sentire Kerry, che sfidano la violenza del regime marxista pur di professare la loro fede.

Sono sorpreso e spiazzato. "Chi" ha una missione sulle montagne del Laos? Per "chi" Kerry ha fatto il suo viaggio avventuroso? Di "chi" sono i soldi che alimentano la missione? Insomma, qual è la Chiesa di riferimento? Chi sono questi "cristiani" che in Nebraska e negli altri Stati centrali stanno assumendo un ruolo da protagonisti?

Kerry mi accompagna dopo pranzo al tempio. E’ una costruzione gigantesca, in legno, dove solo una parte limitata è destinata alla preghiera, e il resto è luogo di incontro, biblioteca, aule scolastiche, ristorante, sala hobby. Commosso, mi racconta come la domenica, incontrandosi, è un continuo abbracciarsi, interessarsi l’uno dell’altro. Di come i bambini e i ragazzi vengano qui a scuola, per sfuggire al liberalismo e all’umanesimo da cui sono contaminate le scuole pubbliche. Come italiano mi sento un po’ offeso, e gli chiedo cosa ci sia di male con l’umanesimo. Allora capisco che per loro l’umanesimo è la negazione di Dio e l’affermazione dell’uomo. E che se voglio mantenere un amico, è bene non approfondire certi concetti.

E capisco, credo di capire, che piazzisti radiofonici, predicatori televisivi, chiese sempre meno strutturate e sempre più spontanee, tentano tutti di rispondere al malessere spirituale di una società sofferente, che però ha un unico fondamentale credo: rifiutare le risposte che vengono dalle strutture organizzate, siano esse la Chiesa Cattolica o lo Stato Federale. E che preferisce aggrapparsi ai simboli, da interpretare secondo la propria sensibilità e secondo la propria convenienza, così che Gesù Cristo e la bandiera a stelle e strisce appaiono sempre di più affiancati in accoppiamenti normalmente legittimi, ma a volte, e sempre più spesso, ripugnanti.