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QT n. 14, 12 luglio 2003 Servizi

I muscoli europei di Silvio Berlusconi

Perché si comporta così? Elettoralmente gli conviene? Con quali argomentazioni lo giustifica la stampa amica? Un’intervista al prof. Sergio Fabbrini, politologo.

Il burrascoso avvio dei lavori del semestre europeo a guida italiana è stato raccontato e commentato da tutta la grande stampa, europea e non. Gli opinionisti, nazionali e internazionali, hanno chiosato l’accaduto in modi molto diversi. E’ però possibile individuare dei nodi di fondo verso cui tende gran parte dei dubbi e delle valutazioni, delle condanne e delle assoluzioni.

Giuliano Ferrara in versione trash.

La stampa italiana ha accolto diffusamente con un certo rammarico l’ennesimo inciampo internazionale del suo Premier, diffusamente ma non unanimemente. Quattro sono le importanti eccezioni: Libero, Il Giornale, La Padania e Il Foglio.

Questi quotidiani, infatti, sfoderano una difesa a spada tratta che si articola su due livelli principali: uno personale ed uno politico.

Il primo, più di modo che di sostanza, unisce in particolare la Lega Nord e Forza Italia, con i rispettivi elettorati, ed è, purtroppo, rappresentativo dalla poca cultura politica del Governo italiano. Questa caratteristica (già accennata nell’analisi della stampa europea) disorienta l’establishment dell’Unione ma pare molto gradita da una parte dell’elettorato della Casa delle Libertà. Non c’è da stupirsi quindi che un articolo di spalla su Il Giornale titoli "Il punto di Forza di un grande impolitico"; che Bottarelli su La Padania scriva enfatico "Apriti cielo, le verginelle del diritto e della resistenza piagnucolano, gridano all’oltraggio alle istituzioni, battono i pugni sul tavolo chiedendo alla mamma di intervenire a placare quell’impertinente di italiano"; e che Berlusconi ai giornalisti dichiari "Se volete trovare un leone, sapete dove cercarlo".

Il secondo tema, quello politico, ha origini storiche molto antiche e, a volte, anche molto nobili. Se la parola non fosse ormai compromessa, potremmo sintetizzarlo con l’espressione "nazionalismo".

Mi spiego. L’idea che l’Italia fosse un paese dalle enormi potenzialità, ma limitato dalle "compressioni" e dai pregiudizi degli altri paesi europei e dagli agguati interni di certe forze politiche, ricorre sistematicamente nella storia. Giovanni Pascoli, in un suo discorso del 1911, in occasione dell’invasione della Libia, elogia "la Grande Proletaria [che] si muove". Le stesse idee di fondo pochi anni dopo costituiscono l’ossatura nazionalista del Partito Fascista.

Questo problema di "riscossa dell’Italietta" è il tema centrale d’una lunga intervista rilasciata al Giornale dal Presidente Cossiga. Il Senatore a vita intravede "una congiura mediatico-politica contro l’Italia" che non solo rifiuta "l’egemonia franco-tedesca", ma risponde con "un europeismo allargato al Regno Unito". Dalle pagine dello stesso quotidiano Paolo Guzzanti, senatore di Forza Italia, considera l’accaduto un "agguato" preparato dalle "sinistre italiane e i loro alleati franco-tedeschi". "Duole davvero - continua il Nostro - vedere quanto la Germania non abbia capito che il vento ha girato e che l’asse carolingio-napoleonico franco-tedesco ha le vele flosce e che la storia soffia sull’Atlantico". Lo stesso gergo, dalle tonalità vagamente fasciste, lo si ritrova nell’editoriale di Mauro Bottarelli su La Padania, intitolato "Mai sudditi di certa marmaglia", che così inizia: "Signore e signori, la festa è finita. L’Italia servile, provinciale, suddita volontariamente e, scusate il termine, con le pezze al culo non c’è più... Nessuno, sia tedesco, sia francese, sia qualche esaltato belga, può più permettersi di trattarci come i cugini poveri, stupidi e un po’ mafiosi: l’Italia ha voltato pagina e alza la voce forte... risponde a tono, ribalta secoli di costume e malcostume nazionale". Nella stessa direzione le affermazioni racchiuse nel fondo di Carlo Pelanda (sempre sul Giornale) che si domanda se "ce la farà l’Italia a resistere alle pressioni di Francia e Germania che la vogliono rimettere in gabbia dopo che Berlusconi ha rotto le sbarre e l’ha fatta volare?". Anche Il Foglio di Giuliano Ferrara attacca con cipiglio: "Se pensano di ricattare l’Italia e la sua presidenza europea a colpi di girotondi verbali e cartelli di protesta... gli oppositori italiani e non italiani di Berlusconi sbagliano i loro calcoli". Emblematico infine il titolo d’apertura di Libero: "Berlusconi sbrana il tedesco".

Forse a più di un lettore, dopo avere scorso le righe di cui sopra, prenderà un vago senso di sgomento. Come interpretare tutto questo? Cosa significano questi rigurgiti di nazionalismo? Chiediamo a riguardo l’opinione di Sergio Fabbrini, politologo, docente a Sociologia a Trento.

Queste passionali arringhe possono essere liquidate come deliri di una difesa disperata, o rivelano problematiche e strategie effettivamente in campo?

"Credo che questi articoli siano da considerare immondizia, sintomo di mancanza di cultura politica e di cultura europea. Sgomberato il campo da questo, è vero che in Europa esistono, anche storicamente, due linee di sviluppo differenti.

Una, portata avanti da Francia, Germania, Italia e dai paesi del BeNeLux, che punta ad uno sviluppo in senso federativo dell’Unione, che assumerebbe quindi un grosso peso politico. L’altra, sostenuta dai paesi atlantici e capitanata dalla Gran Bretagna, vede nella UE una minaccia al ruolo di sponda tra le due rive dell’Atlantico".

Secondo lei, quanta parte dell’elettorato di centro-destra subisce il fascino di questa muscolarità in politica estera?

"Credo che una parte dell’elettorato, in particolare quello che storicamente fa riferimento alla media borghesia, apprezzi questi rigurgiti populistici e subisca il fascino dell’uomo forte che stimola e difende l’orgoglio nazionale. Mi riferisco in particolare agli elettori della Lega e ad una parte di quelli di Forza Italia. Per Alleanza Nazionale, che discende da un partito ultranazionalista, il discorso è diverso. Basti pensare al fatto che oltre ai rappresentanti di Francia e Germania, Fini è stato l’unico leader a battersi per il voto a maggioranza qualificata in politica estera; la componente neo-nazionale si è quindi dimostrata la più comunitaria".

Alcuni autorevoli commentatori ritengono che l’Italia sia vittima di una strategia di contenimento e disturbo da parte dell’asse franco-tedesco. Secondo lei questa analisi è corretta? Ed è in qualche misura condivisa dall’attuale governo?

"Credo sia una valutazione sbagliata. L’Italia è una media potenza che ha sempre avuto un ruolo importantissimo nella mediazione tra Germania e Francia. E proprio questa sua caratteristica, questo suo adoperarsi per limare i conflitti nella UE, ha permesso il raggiungimento dei risultati migliori".

L’Italia cerca, con Inghilterra e Spagna, un canale preferenziale con gli Stati Uniti?

"Nel governo la corrente maggiormente filoatlantica, capitanata dal Ministro della Difesa Martino, ritiene che l’Italia abbia tutto da guadagnare costruendosi una via preferenziale con gli USA. Questo è un cambiamento radicale che non ha precedenti storici, non si giustifica nemmeno da un punto di vista geografico: non siamo un Paese della sponda atlantica come Inghilterra o Spagna e, in più, non ne abbiamo la potenza economica. Lo scopo sarebbe quello, entrando nell’orbita americana, di ridurre il peso politico della sinistra, abbattendo i tasselli dello stato sociale".

Il forte sostegno che la Lega Nord ha manifestato al premier in questa occasione dipende da una veduta comune di fondo, in politica estera, tra il partito di Bossi e Forza Italia?

"La linea di Forza Italia in politica estera è molto difficile da individuare; per ora abbiamo assistito a segnali che vanno nelle direzioni più diverse. Bossi, invece, sa che posizioni come le sue sono difficilmente accettate in un’Europa nata dalle rovine causate dal nazi-fascismo, e quindi tenta tutte le strade per diminuire il più possibile il controllo dell’Unione Europea".

Naturalmente anche tutta la stampa europea ha affrontato l’accaduto, tutti i maggiori opinionisti sono stati coinvolti nel dibattito e il giudizio espresso su Berlusconi è piuttosto condiviso: non è stato all’altezza della situazione.

Quello però che qui ci interessa, è piuttosto la valutazione offerta sull’Italia. Il ragionamento proposto è piuttosto sottile e delicato da analizzare. I quotidiani europei concedono una buona visibilità alle dichiarazioni delle opposizioni italiane e marcano anche il buon risultato che il centro-sinistra ha ottenuto alle elezioni amministrative. Inoltre, i politici come i commentatori apprezzano apertamente la competenza e il lavoro che l’italiano Romano Prodi sta offrendo in campo europeo. D’altro canto non possono non notare che a Berlusconi, in Italia, è abitualmente concesso un comportamento ed un atteggiamento che si riterrebbe inaccettabile altrove.

In conclusione quindi, ha ragione il Cavaliere ad affermare che il giudizio della stampa europea è un giudizio su tutta l’Italia? - chiediamo ancora al prof. Fabbrini.

"Quello espresso dall’Europa è un giudizio prima di tutto su Silvio Berlusconi, e solo in seconda battuta sulla classe dirigente italiana che ha permesso lo sviluppo e il trionfo politico di un personaggio del genere. In questo l’Italia lamenta l’assenza, anche storica, di una classe dirigente, di un’élite che si sia presa la responsabilità di un progetto di fondo, generale, svincolato da componenti particolaristiche sia politiche che economiche".

Questo "spontaneismo" di Berlusconi in politica estera è elettoralmente redditizio? Ed è voluto?

"Berlusconi è un grandissimo opportunista, che cerca di guadagnare il più possibile nell’immediato. Credo però che un grande ruolo lo giochi il suo carattere".