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QT n. 15, 13 settembre 2003 Servizi

Il terrore (fuori luogo) di un’altra Genova

Varie forme di manifestazione hanno tenuto alta l’attenzione sulle forze di opposizione al Forum ufficiale dei ministri degli Esteri nella mattinata di venerdì 5 settembre e nella giornata di sabato.

Venerdì, attorno alle 10 del mattino, i GAN, Gruppi di Azione Nonviolenta, una quarantina, provenienti da più parti d’Italia, gridano i loro slogan da un’improvvisata base acquatica accomodata su grosse camere d’aria di camion e con grandi striscioni inneggianti alla democratizzazione dei servizi e contro la privatizzazione di beni essenziali, come l’acqua. "Acqua, idrogeno e solare: questo è il mondo che s’ha da fare" - s’alzano le voci tra i palloncini colorati che i ministri, se volessero, potrebbero vedere dalle stanze dove si svolgono le riunioni. Inscenano poi brevi e significativi sketch di teatro di strada che richiamano l’attenzione dei passanti e - perché no? - anche della polizia sul tema della privatizzazione dell’acqua.

Quasi in contemporanea, l’azione dei Disobbedienti con Luca Casarini (circa 250 persone) è più vistosa ed eclatante, anzitutto perché è più rumorosa, ma anche perché è la più attesa e temuta, almeno mediaticamente. Vi sono alcuni scontri tra i manifestanti e il cordone di poliziotti che hanno letteralmente blindato la città (anche le vie più secondarie sono state massicciamente presidiate da pattuglie e volanti della polizia e della guardia di finanza). Le manganellate, anche se in verità poche, non perdonano e riportano repentinamente la memoria all’incontrollata violenza delle terribili giornate di Genova. I Disobbedienti contestano - a suon di musica sparata a 8.000 watt, razzi e discorsi - le politiche deliberatamente affamatrici che si stanno decidendo nel "palazzo della vergogna", come viene da più parti definito l’edificio dove si svolgono le riunioni ufficiali.

A qualcuno, a molti forse, i botti lontano dal Capodanno, i fumogeni colorati e l’elicottero della polizia fanno riaffiorare ricordi e brividi, reminescenze di Genova, di Palestina, di Iraq.

Tuttavia non solo tra i partecipanti al corteo si vivono momenti di tensione, benché di poco conto. Alcuni abitanti di Riva, passanti per caso o per curiosità, raccontano del terrorismo psicologico seminato capillarmente nei giorni precedenti nei confronti di un evento che per molti, in questo piccolo centro turistico tra il lago di Garda e le montagne, rimane poco chiaro: sarà vero che proprio qui si sta decidendo delle sorti d’Europa, o addirittura del mondo?

Certo è che il terrore di un’altra Genova, cui hanno contribuito anche i media locali e nazionali, ha trovato terreno fertile tra gli abitanti, che hanno chiuso negozi e locali e hanno ritirato motorini e veicoli dalle strade. "Abbiamo paura di Casarini e dei suoi" - asseriscono molti spettatori locali, a debita distanza dal corteo. Angelo, 55 anni, elettromeccanico di Riva, assistendo con la moglie alla manifestazione di sabato mattina, racconta:

"Nella Riva surreale di questi giorni, c’è più spazio per la paura che per la curiosità. I giornali e i notiziari parlano solo del timore di azioni violente da parte di alcune componenti del movimento; ma noi vogliamo solo capire".

"Per capire ed approfondire - lo provoco - c’era lo spazio del Forum sociale, che nelle giornate scorse ha proposto conferenze e momenti di dibattito. Sapeva di questa iniziativa di cui, in fin dei conti, la manifestazione è solo la coda?". "Certo, sapevo - ribatte prontamente - ma alla fine non ci sono andato, anche per motivi di lavoro. Comunque, se fanno questa manifestazione, un motivo ci sarà. E, in fin dei conti, concordo anche in certi punti con quanto rivendicano i manifestanti".

Hanno fatto del catastrofismo mediatico - ribadiscono altri; ma di sicuro questo modo di manifestare non è molto civile - scuote la testa una signora.

Tuttavia per Mohammed, 29enne algerino, per Yussef, 25enne tunisino e per Pedro, giovane uruguayano, tutti e tre già da alcuni anni in Italia, scappati dalla loro terra a causa delle condizioni di vita rese impossibili da quelle stesse politiche neoliberali tanto contestate in seno al controvertice della Baltera, la civiltà è un’altra cosa: è avere un’attività che garantisca una vita dignitosa e soprattutto il fatto che delle leggi burocratizzate e delle politiche inumane non li costringano a tornare in patria abbandonando qui famiglia, lavoro e il sogno di una vita tranquilla. "Per questo anche io sono qui" - sorride secco Mohammed.