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QT n. 15, 13 settembre 2003 Servizi

Riva: il rito e la politica

Il controvertice no-global a Riva del Garda: il giochino degli scontri con la polizia, i problemi di visibilità mediatica, la ricerca di forme pacifiche di azione contestativa. E poi i dibattiti: passi avanti e contraddizioni su guerra, liberismo, Costituzione Europea, privatizzazioni.

E’ finito come volevano i registi il teatrino degli "scontri e violenze" a Riva del Garda: un paio di manganellate, un lieve trauma cranico, alcune auto della Polizia dimenticate (??) tra i contestatori e quindi debitamente danneggiate, alcuni funzionari dei Ministri europei costretti a un trasbordo via motoscafo.

Tutto è bene quel che finisce bene. Questa volta il giochino dei "ragazzi della via Pal" si è mantenuto nei limiti prefissati. Ma non era detto: anche tra i sette ragazzi ungheresi del romanzo c’era scappato il morto. Solo che la tremenda lezione di Genova (Genova: cronaca di una repressione) è stata imparata: soprattutto dalle cosiddette forze dell’ordine, che da Genova erano uscite pesantemente - e meritatamente - delegittimate; ma anche dai manifestanti, che hanno capito quanto sia politicamente suicida lasciare spazio agli sfasciacarrozze.

"La Polizia ha capito che non si possono usare i carri armati in una bomboniera - commenta poi Luca Casarini, alludendo alla smagliante, fragile bellezza di Riva, che tutti aveva conquistato. Ma le parole del leader dei Disobbedienti avevano anche un altro senso: se la bomboniera la si frantumava, era un disastro per tutti.

Da queste righe il lettore capirà che non siamo tra i sostenitori, neanche tiepidi, di coloro che pensano di cambiare il mondo affidandosi a caschi e manganelli. Diremo di più. Quando a Riva il leader pacifista no-global Vittorio Agnoletto afferma: "Noi non siamo in un campo da calcio, dove si possono affrontare la squadra dei poliziotti, e quella del movimento; siamo in un contesto, in una comunità, che dallo scontro viene investita" dice una verità sacrosanta. Eppure tutt’altro che convincente: non riusciamo a capire, a prescindere dai "danni collaterali", che senso abbia il rischioso giochino dello scontro con i poliziotti.

Anche se un senso in effetti c’è: il ritorno mediatico, che è proporzionale non alle ragioni che si portano avanti, ma all’impatto emotivo di atti violenti, perpetrati oppure anche solo attesi. "Firenze in pericolo", "Riva trepidante" sono i titoli che vengono sparati; e poi saranno due colpi di manganello ad occupare lo spazio mediatico, molto di più di 40 ore di dibattiti.

Ed ecco allora un ulteriore effetto: il messaggio politico scompare o permane nelle sue forme più rozze e sloganistiche, sovrastato dai rulli di tamburi. E d’altronde: alcune migliaia di giovani che si riuniscono e discutono, hanno di per sé visibilità mediatica?

"La risposta intelligente al problema - risponde Franco Janeselli, della Cgil, tra gli organizzatori del Forum alternativo di Riva - è quella delle azioni pacifiche, dirette e ad alto impatto simbolico. Forme alternative e complementari, sia al dibattito che al corteo tradizionale".

Insomma, si ritorna all’antica lezione di Gandhi, che mobilitava un continente con un ritorno mediatico immenso in tempi in cui i media erano poca cosa, con azioni eclatanti eppure assolutamente pacifiche. In quest’ottica possono essere letti anche i blocchi stradali che, a Riva e Torbole, hanno ritardato l’accesso al summit ad alcune delegazioni ministeriali. "Certo, il blocco stradale è una storica azione di protesta non violenta - afferma Janeselli - Però dipende da come la fai: se ti metti in assetto militare, con i caschi, gli schermi protettivi, il generale che impartisce gli ordini, diventa un’altra cosa. Così per le azioni contro la Esso: il boicottaggio è una modalità interessante; il sabotaggio contro il benzinaio no".

Luca Casarini.

Azioni non violente, dimostrative, ne ha messe in campo a Riva la Rete di Lilliput: canoe con grandi striscioni hanno cercato di dare visibilità ad alcuni contenuti; e una riuscitissima performance di teatro di strada ha esemplarmente rappresentato i pericoli della privatizzazione dell’acqua. "Il punto è fare azioni non violente ma grandemente comunicative: su questo c’è un dibattito vero all’interno del movimento - ci dice Andrea Trentini, di Lilliput, anch’egli una delle anime della macchina organizzativa del Forum - E mi sembra di poter dire che si va avanti nella dialettica interna. Quando Casarini, passando davanti alla Esso, ha detto ai suoi "Passiamo all’azione, nel rispetto dei principi dei compagni di Lilliput" intendeva dire "Tagliate le pompe, non distruggete la stazione". Ed è un passo avanti, nella convinzione che tutti, pur diversi, si lavora nella stessa direzione".

Sì, ma qual è questa direzione? Il movimento no-global (o new-global) ha da tempo stabilito alcuni indirizzi di fondo: pacifismo, anti-liberismo, riduzione del divario Nord-Sud. Ma queste sono solo enunciazioni: si sta andando avanti nell’elaborazione di proposte, di obiettivi? Il Forum di Riva, da questo punto di vista, cosa ha rappresentato?

Diciamo subito che quello di Riva è stato un appuntamento minore: solo italiano (a Parigi e a Cancun ci saranno i prossimi appuntamenti internazionali), con nessuna copertura mediatica preparatoria (i giornali nazionali ne hanno parlato solo a cose in corso) per di più in un periodo - i primi giorni di settembre - in cui la mobilitazione di un movimento è praticamente impossibile. L’organizzazione è stata quasi esclusivamente trentina (Cgil, Lilliput e Attac, poco Rifondazione Comunista, assenti, anche ai dibattiti, Ds e Solidarietà). Nonostante tutto ciò sono venute 10.000 persone a manifestare, e i (forse troppo numerosi) dibattiti, dopo un avvio stentato, hanno fatto registrare una presenza di oltre un migliaio di persone. Si è registrato ancora il fenomeno entusiasmante del Social Forum di Firenze (vedi Social Forum, tra Firenze e Trento), sia pur con un (comprensibile) salto all’indietro quantitativo: lì erano migliaia e migliaia di giovani che prendevano appunti in ore di dibattiti; qui alcune decine. "Ma erano dei nostri, erano trentini, non erano no-global itineranti: è diventato realtà il coinvolgimento della comunità. E questa è forse stata la soddisfazione più grande" - sottolineano gli organizzatori.

Veniamo ai temi. In secondo piano ci è parso quello della guerra. Il fatto è che una parte consistente del movimento - in parte i militanti di Rifondazione Comunista, ma soprattutto i Disobbedienti - ritiene, sull’Irak, di aver incassato una brutale sconfitta: Bush non lo si è fermato, la guerra c’è stata, fulminea e vincente a premiare il bellicismo americano.

Questa lettura ci sembra completamente sbagliata.

In realtà Bush è alle corde, l’Irak sempre più assomiglia a un nuovo Vietnam, la dottrina della guerra preventiva è in gravissima crisi. E al contrario, il multiforme movimento contro quella guerra, dal papa, ai new-global, alle opinioni pubbliche mondiali, benché non abbia realizzato l’impossibile miracolo di fermare l’armata americana, ha raggiunto ben più duraturi obiettivi: ha fornito una sponda ai governi che si sono opposti, anche all’Onu, allo strapotere americano; hanno dato corpo ad un concetto altrimenti evanescente come quello della dignità dei popoli; hanno influenzato la stessa condotta militare americana, imponendo un maggior rispetto per la popolazione; e soprattutto hanno impedito che scattasse la devastante contrapposizione Occidente/Islam.

"Oggi tutti i governi che hanno sostenuto la guerra sono in difficoltà - sostiene Janeselli della Cgil - E’ venuto a mancare il consenso, perché si è prodotto uno spostamento delle coscienze. Per questo concordo: nel medio-lungo periodo abbiamo vinto. Invece in molti, nel movimento, c’era la convinzione che i milioni di manifestanti potessero fermare i carri armati. E il fatto che non sia successo lo reputano una sconfitta, dovuta al fatto di non aver radicalizzato abbastanza la lotta."

"Ma questa è una logica militare: sia nelle conclusioni, sia nell’analisi - afferma Trentini di Lilliput - Ritenere che gli americani abbiano vinto perché sono entrati con i carri armati a Bagdad, significa avere una concezione solo militare della storia".

In realtà, come è noto, Bush non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi: né quelli ignobili (il controllo del petrolio irakeno), né quelli geopolitici (maggior influenza nell’area, con la sostituzione del nuovo Irak all’ormai infida Arabia Saudita nel ruolo di terminale americano), né quelli difensivi (impedire i collegamenti tra i vari terrorismi, che al contrario, si sono collegati e rafforzati), né quelli nobili (esportare la democrazia, e giungere ad una pace decorosa in Palestina).

Ma il movimento non può accontentarsi, ammesso che se ne renda conto, di questa sconfitta americana: se si dovesse finire con un ritiro Usa e la sostituzione di Saddam Hussein con gli integralisti islamici, sarebbe un disastro per tutti.

Nel movimento c’è chi il problema se lo pone. "A Capodanno tutto il Social Forum Europeo si trasferirà in Medio Oriente: in Irak, Palesina, Israele, Iran e Kurdistan - ha annunciato Raffaella Bolini, dell’Arci. Che poi ci ha dato ulteriori dettagli - L’ottica è quella di rafforzare i contatti con le società civili di questi paesi, che è importante trovino interlocutori. E’ fin da Porto Alegre che il movimento si è posto l’obiettivo di aiutare la società civile islamica ad opporsi all’oppressione culturale occidentale (che potremo esemplificare nella Coca Cola, cioè l’imposizione di un modello consumistico del tutto estraneo), senza però diventare integralismo, chiusura settaria."

A dire il vero, a noi non sembra che questa costruzione di cultura e di rapporti sia prioritaria nel movimento; ci pare più connaturata una posizione "contro", "anti": contro il riarmo, contro le basi americane...

"Non è facile tessere relazioni in situazioni di conflitto: in Irak le forze di occupazione permettono l’accesso a loro discrezione, in Iran c’è un capillare controllo sociale e poliziesco. Eppure fin dal novembre 2001 abbiamo organizzato un grosso Forum a Beirut che ha riunito pezzi del mondo islamico ed esponenti no-global di tutto il mondo - prosegue Bolini - E ancora in Egitto prima della guerra; e ci sarà a dicembre sempre al Cairo; e si sta lavorando per un Social Forum Mediterraneo... La cosa interessante è che in queste riunioni il rapporto con l’esterno aiuta gli esponenti dei vari paesi, che magari al loro interno hanno problemi etnici ormai cronici (il Polisario, o il Kurdistan, o i Balcani), a vedere questi stessi problemi in altra maniera, a superare una visione chiusa che i problemi li incancrenisce."

Ci siamo dilungati sul tema guerra/pace perché emblematico. Ma il Forum di Riva ha affrontato una molteplicità di argomenti, tutti legati dall’opposizione al liberismo: si è soprattutto dibattuto di Costituzione Europea, commercio mondiale e WTO, privatizzazione dei servizi.

Sulla Costituzione Europea la preoccupazione dominante è che l’imminente trattato sancisca un primato dei vincoli economici su quelli sociali, intaccando il "modello sociale europeo". Modello sociale che i no-global sicuramente giudicano perfettibile, ma che, soprattutto nell’ala sindacale, presente a Riva in forze, vogliono difendere con le unghie e i denti; e che vedono minacciato dai montanti pericoli del liberismo e della nuova centralità militare, attorno a cui sembra debba costruirsi l’Europa.

Questa l’elaborazione comune; poi le proposte divergono: se rifiutare la Costituzione, se lavorare per emendarla, se considerare il prossimo Trattato solo come una prima tappa di un lungo processo costituente, se presentare, come movimento, una propria Carta costituente da opporre a quella dei governi...

Analogamente per il commercio mondiale: tutti d’accordo sulle sue iniquità a danno dei paesi poveri, di cui vengono illustrati molteplici clamorosi esempi. Ma il WTO, ossia l’ente sovranazionale che stabilisce le regole, va abolito oppure riformato? "Senza regole - dicono in molti - non prevale la legge della giungla, e quindi ancora il più forte?"

"Su questi temi siamo andati avanti, ma c’è ancora bisogno di maggior elaborazione" - commenta Janeselli.

Più precisa invece la proposta su argomenti specifici e concreti, come alcune privatizzazioni, a iniziare da quella dell’acqua. Su questo a Riva il dibattito è stato molto serrato, portando esperienze tangibili, come quella della Toscana (dove la privatizzazione, già effettuata, è giudicata disastrosa) o di Grenoble (dove si è già al post-privatizzazione, con il ritorno alla società municipalizzata).

E poi ancora le politiche agricole, quelle dei rifiuti, gli Ogm...

"Siamo molto soddisfatti - commenta Andrea Trentini - Siamo riusciti a far incontrare realtà diverse, e a produrre politica su temi che usualmente vengono conosciuti solo a decisioni già prese. E su questo abbiamo registrato interesse e coinvolgimento della comunità locale".

E difatti, a dimostrazione della circolazione delle idee, ecco (Acqua: un diritto di tutti) lo svilupparsi in Trentino del movimento in difesa dell’acqua.