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Giunta Dellai. Un potere assoluto che controlla tutto

Il rafforzamento delle capacità di governo, doveroso ma senza contrappesi; il prevalere delle fedeltà al leader rispetto ai programmi; le eccessive risorse in mano al pubblico. Le dinamiche per cui il Trentino viene governato da un nuovo notabilato.

Tra amarcord e deciso desiderio di continuare in altri modi le battaglie politiche intraprese, sabato 6 dicembre il movimento Progetto Rete si è formalmente sciolto, o meglio è confluito in Costruire Comunità. Molti sono stati gli spunti interessanti dell’intenso pomeriggio, anche se per molti l’intervento più significativo è stato quello del professor Michele Nicoletti, ordinario di filosofia politica all’Università di Trento, ed esponente storico del movimento. Un intenso intervento soprattutto per quanto riguarda la realtà politica trentina e lo stato della nostra democrazia dopo l’approvazione della nuova legge elettorale e l’elezione diretta di Dellai come Presidente della Giunta.

Lorenzo Dellai.

Spesso su Questotrentino sono apparsi articoli di commento alla nuova fase della politica in Trentino: prendendo spunto dalle riflessioni di Nicoletti cercherò di dare il mio contributo su questo argomento per analizzare se la qualità dell’insieme della vita democratica trentina stia migliorando oppure se anche noi risentiamo del clima diffuso di affanno.

E’ innegabile che per la prima volta abbiamo potuto votare per due coalizioni diverse e contrapposte. Alcuni osservatori hanno affermato che questo è il primo passo per l’avvio di un sistema di alternanza. In realtà, come nota Nicoletti: "In Trentino c’è una incredibile e per certi versi ammirevole continuità al potere dal secondo dopoguerra ad oggi per 50-60 anni: questo per una democrazia non è un elemento molto sano ed io ho l’impressione che questa legge elettorale consentirà questa continuità per almeno altri trent’anni".

Mario Malossini.

L’analisi mi sembra esatta: mi meraviglierebbe molto infatti vedere un Mario Malossini comportarsi come leader dell’opposizione, di un’opposizione che lui non ha mai svolto nella sua carriera. E’ più facile che Malossini e Dellai, che si stimano e si frequentano assiduamente come disse lo stesso Presidente, concordino una pacifica convivenza o un patto di non aggressione, piuttosto che vederli l’un contro l’altro armati. Inoltre le stesse due coalizioni di maggioranza e di opposizione sono frammentate e per nulla coese: il centro destra è in una condizione avvilente, con consiglieri provinciali diversissimi per carattere e cultura non solo politica, solitari ed intenti a curare se stessi. Il centro destra è infatti formato da un coerente ma nostalgico estremista, come De Eccher, con i leghisti allo sbando, ed il resto da ex democristiani pronti ai compromessi; si distingue Morandini che bada solitamente ai suoi interessi personali o ideologici.

Anche il centro sinistra, se esiste come coalizione, è basato sui rapporti di forza e vive ancora perché, come si dice in certi ambienti di sinistra, "Lorenzo non ha abbandonato la prospettiva dell’Ulivo", ma non per una intrinseca coesione interna. Il centro sinistra vive insomma fino a quando lo vorrà Dellai, in assenza di qualche mobilitazione della base o di qualche novità esterna.

Terzo elemento che corrobora la tesi secondo cui l’alternanza in Trentino è un miraggio, sta proprio nella natura del partito del Presidente, il famoso partito territoriale-SVP trentina.

Molti non credono alla realtà di questo progetto, ma in verità esso deve essere preso molto seriamente: la lista Civica per il governo del Trentino è strutturata per stare sempre al governo e lo stesso rapporto potere provinciale/sindaci di valle non consente per principio alla Margherita di compiere scelte dolorose, ma utili al Trentino, scelte che magari un giorno possano incrinare questa struttura e - non accada mai - di finire all’opposizione.

E avere anche i migliori governanti sempre al potere alla fine danneggia la stessa democrazia: e il pericolo di questa continuità del potere è reale "perché - sostiene ancora Nicoletti- il meccanismo del turno unico abbinato alle risorse che la Provincia di Trento può gestire, risorse che rappresentano un’incredibile quota della ricchezza locale, consentirà al ceto politico-professionale al governo di garantirsi la continuità al potere".

Il potere provinciale si è poi concentrato nelle mani della
Giunta e in particolare del Presidente-governatore eletto direttamente dal popolo. Ora nell’immaginario collettivo ed anche nella prassi politica di questi primi mesi, la Giunta è davvero in una posizione privilegiata rispetto al Consiglio (non credo che il solo fatto di avere ora a disposizione 35 consiglieri a tempo pieno consenta all’Aula di legiferare meglio in assenza del nuovo regolamento), per non parlare rispetto all’inesistente Regione o ai Comuni, o alle ASUC.

Afferma Nicoletti nell’intervento citato: "Oggi la Giunta provinciale a Trento è un’istituzione che, in una specie di deserto delle altre istituzioni, controlla tutto: la situazione è imparagonabile al passato dove la giunta provinciale conviveva con un pluralismo istituzionale fatto di realtà indipendenti, di Comuni, della Regione - sia pure caratterizzata da un assetto pieno di criticità -, di istituti di ricerca, di scuole e ospedali dotati di professionisti e dirigenti che non erano quadri provinciali ."

Bisogna interrogarsi, senza pregiudizi ma con sguardo critico, su questa enorme concentrazione di potere in poche mani accompagnata dall’affanno in cui si trovano partiti e forze politiche di minoranza e di maggioranza (specie quelli con le strutture più tradizionali come i DS). Abbiamo giustamente cercato la governabilità a discapito della rappresentatività e della partecipazione, creando un governo provinciale pigliatutto, dimenticandoci di creare strumenti di controllo nelle mani dei cittadini (come la chimera-primarie o come gli ormai spuntati referendum). Sembra difficile che la giunta stessa possa autoriformarsi cedendo parte della propria egemonia e prevedo che le riforme istituzionali, come per esempio gli accorpamenti dei Comuni, la cessione di competenze e risorse finanziarie agli enti locali e la ristrutturazione dei Comprensori, faranno molta fatica a procedere sulla via di un ruolo autonomo rispetto al potere provinciale. Il centralismo tuttora vigente non potrà che naturalmente rafforzarsi se non cambieranno certe consuetudini. Forse bisognerebbe puntare di più in termini politici su queste riforme accompagnate però da una maggiore attenzione verso la reale vita democratica dei nostri paesi.

Il caso Casanova infine (vedi Dellai schianta la sinistra) non può essere archiviato come un incidente di percorso o una provocazione personale dei rompiscatole di Costruire Comunità. Nel quadro sopradescritto il candidato presidente ha avuto persino la possibilità di scegliere i nomi da poter candidare nelle altre liste in nome di una compatibilità personale piuttosto che programmatica. Legittimando questo comportamento, come hanno fatto politici e politologi, "si finisce per sanzionare un modello che si potrebbe definire cesaristico-notabiliare". - secondo la definizione di Nicoletti. "Perché - prosegue ancora il professore di Filosofia politica - la coesione della maggioranza deve essere una coesione programmatica: abbiamo detto per anni che noi volevamo uscire dalla politica delle appartenenze per arrivare alla politica programmatica; è sul programma che si chiede il voto agli elettori e su questo poi si amministra. Invece i programmi sono stati fatti in modo generico sulle scelte strategiche e le persone sono state scelte sulla base della loro fedeltà. In questo modo viene sottratto al voto popolare il voto sul programma e si vota invece su di un modello di fedeltà personale. Ne esce appunto un modello cesaristico, in cui il leader, forte dell’investitura popolare, può scegliere non solo i suoi collaboratori, ma anche modellare le altre istituzioni. E si crea così un modello di notabilato locale che non è più il notabilato da cui con fatica la politica democratica e popolare del Novecento è uscita: era il notabilato appunto liberale, della borghesia e della ricchezza privata, ma ora è un notabilato della ricchezza pubblica, dei mediatori, di coloro che cioè sono abili a far accedere alle risorse pubbliche". E, aggiungiamo noi, di coloro che garantiscono i voti e quindi il perpetuarsi del potere.

Il tema delle eccessive risorse economiche in mano al pubblico deve essere posto all’ordine del giorno anche della sinistra. Il governo provinciale non può continuare ad essere imprenditore in molteplici settori, erogatore di servizi, pubblicitario e curatore della propria immagine, possessore di titoli bancari: insomma il Trentino dovrebbe desovietizzarsi. Anche questo sarebbe un modo per superare quel notabilato della ricchezza pubblica, fatto di clientele e favoritismi, e potrebbe garantire maggiore sviluppo e libertà.