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La tonaca

In ricordo di Pater Markus.

Non era ben visto da tutti. I benpensanti del quartiere tranquillo ed elegante intorno ai Francescani non apprezzavano il fatto che ad ore fisse del giorno un fila di straccioni rumorosi si accalcasse in attesa dall’apertura dello sportello da cui lui, un frate alto, brusco, porgeva panini imbottiti, mele e qualche soldo, quando andava bene. Stava attento a respingere chi faceva la fila due volte e a rimbrottare severamente i più riottosi (che non sempre sono i più disperati). Usciti dal carcere o dalle notti al freddo, Pater Markus era un’ancora di salvezza, l’unica che non richiedesse la compilazione preventiva di dichiarazioni, formulari, e la presentazione di documenti. L’unico requisito per presentarsi alla mensa di Pater Markus era avere fame e non sapere dove altro andare. Quando due anni fa si è sentito male, e non si è più ripreso, la sua preoccupazione, appena fu in grado di parlare nuovamente dal letto della clinica Santa Maria, erano quelle file disordinate e rumorose, la fame e il freddo dei suoi "clienti".

La chiesa dei Francescani a Bolzano.

Markus, nato con un altro nome in Val Badia, per trent’anni aveva insegnato ai figli della borghesia sudtirolese tedesco, italiano, storia e geografia, aveva viaggiato. D’estate andava alla basilica di San Paolo a Roma a dare il cambio nelle confessioni in tedesco a un confratello di là. Ma il lunedì pomeriggio di gennaio, nella chiesa dei francescani, con cinquanta preti che insieme al vescovo celebravano le sue esequie, il ricordo di tutti era alla sua tonaca marrone, dietro allo sportello, e più spesso svolazzante in giro a chiedere soldi e aiuti alimentari per i suoi protetti. Sentiva che erano solo suoi, non glieli contendeva nessuno. E’ riuscito a farsi sostituire in parte da un’associazione cattolica, ma nessuno ha preso il suo posto: una figura davvero "paterna", severo ma mai assente, due volte al giorno, per chi ha fame o ha sete, e bisogno di essere preso in considerazione.

Chi scrive l’ha conosciuto attraverso uno di loro. Tossicodipendente, malato di AIDS conclamata, Franz (lo chiameremo così) si era presentato un giorno di più di dieci anni fa alla mia porta. Voleva parlare, raccontando verità e menzogne e avere in dono un piumino per continuare a vivere prima sotto il ponte Roma e poi in un cantiere vicino al Consiglio provinciale. Non ce la faceva a stare in dormitorio, meglio all’addiaccio. Per un mese invernale anche una stanza in un alberghetto, i proprietari difficili da convincere per comprensibili motivi, pagati in anticipo per garanzia. "Qualcosa di speciale per Natale da dare ai ragazzi" chiese, fingendo di essere l’aiutante del frate. Organizzammo un trasporto di panettoni (che durarono mesi perché il padre li dava a fette, per prolungare l’extra) e di arance (come ecologista pensavo alle vitamine). Il giorno dopo la consegna, fu Pater Markus a bussare alla porta. Fu inutile spiegargli che non erano i donatori da ringraziare ma lui stesso per ciò che faceva. Poi Franz morì di overdose. Sembrava uscito dal tunnel, ma la disperazione lo inghiottì. L’aiuto continuò, ma non furono più i panettoni e le arance.

Ma fu in carcere che scoprii il vero senso dell’attività di Pater Markus. Quando vi andai la prima volta, in visita (i consiglieri regionali possono andare quando vogliono e chi riveste un mandato è importante che ci vada regolarmente, per segnalare il fatto che questa istituzione non è estranea alla società), nell’economato mi fecero vedere i "libri" di Pater Markus: liste di nomi di persone che non avevano niente e nessuno.

Ognuno riceveva da lui una specie di "rendita", minima ma indispensabile ad acquistare qualche prodotto, fossero pure sigarette o fazzoletti di carta, allo spaccio interno. E inoltre vi era un fitto carteggio. Scriveva lettere e rispondeva a chi si rivolgeva a lui. Nella provincia più ricca, del carcere si parla con fastidio e solo per trovare una nuova collocazione, possibilmente molto fuori dalla città ed allo scopo di recuperare alla speculazione edilizia una delle zone più redditizie. Quelle liste confermavano un’attitudine a individuare chi ha più bisogno e a farsene carico. Pater Markus sapeva che dalla mano pubblica e dalla generosità privata avrebbe potuto aspettarsi ben di più, ed ebbe modo di dirlo negli ultimi anni, in interviste e dichiarazioni. Ma nel frattempo e per tutto il tempo che ebbe a disposizione non declinò la responsabilità che si era assunta.

Alla messa e al cimitero c’era tanta gente, credente e laica. Nei giorni precedenti, ad onorare la salma, esposta in una cappella del chiostro dei francescani, erano andati in tanti, cristiani e musulmani, a dare l’ultimo saluto a quella cassa coperta di tanti e bellissimi fiori, che racchiudeva il corpo di una persona che ha dedicato una parte importante della sua vita terrena a coloro che in genere tutti dimenticano, perché secondo lui andava semplicemente fatto.

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