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QT n. 3, 7 febbraio 2004 Servizi

ll livello della politica

Un’attività politica fatta di improvvisazioni, urla, apparizioni televisive e discussioni sulle poltrone. Sono proprio così i partiti italiani? Ne discutono Giorgio Tonini (DS) e Giorgio Lunelli (Margherita).

Perché i partiti parlano sempre di se stessi, delle loro liti ed alleanze, e non di quello che intendono fare al governo? E perché al loro interno si discute sempre di liste e di candidature, invece che di progetti? Oppure questo succede, ma i mass-media non se ne accorgono? Partendo da alcuni casi clamorosi, nella politica nazionale e locale, di mancanza di dibattito sui temi veri, poniamo questi argomenti a due esponenti politici – Giorgio Tonini senatore dei Ds e Giorgio Lunelli consigliere provinciale della Margherita – e a due studiosi di politologia, il prof. Giovanni Guzzetta, docente di Istituzioni di Diritto Pubblico a Sociologia (Obbligare la politica a comportamenti virtuosi), e il dott. Marco Brunazzo, dottorando all’università di Siena (E se provassimo con le primarie?).

Partiamo dai seguenti avvenimenti. A livello nazionale, Prodi presenta un ampio programma sulla collocazione dell’Italia in Europa e le conseguenti politiche da adottare, ma i partiti discutono solo sulla lista unica, e se deve includere Di Pietro o Boselli. A livello locale: l’assessore provinciale Cogo presenta un progetto complessivo di forte innovazione nella politica culturale; l’assessore Bressanini fa lo stesso per quanto riguarda l’assetto istituzionale (accorpamento dei Comuni, competenze della Provincia ecc); entrambi però lo fanno estemporaneamente, attraverso interviste alla stampa, senza che tali programmi siano stati discussi né nella coalizione, né nei partiti, che difatti in proposito non riescono a spiccicare parola. Il problema, insomma, sembra essere il ruolo dei partiti, tutto risucchiato nel gioco delle alleanze, liste, poltrone. Il governo sembra essere il fine, non il mezzo; cosa poi si debba fare quando ci si arriva, pare irrilevante.

Giorgio Tonini, senatore dei Ds.

Tonini: I partiti che hanno scritto la Costituzione e governato l’Italia per cinquant’anni non ci sono più; e nei partiti attuali la novità più rilevante è l’interazione con i media, che ci porta a distinguere tra la politica da una parte, e la sua rappresentazione sui media dall’altra. Mi spiego: lo scorso fine settimana a Firenze c’è stato un importante, partecipato e fruttuoso convegno dei Ds su Europa e globalizzazione, che partiva proprio dalle sollecitazioni di Prodi: ma di queste due giornate intensissime, non ha parlato nessuno, solo una notizia su una pagina interna dell’Unità. Lo stesso discorso vale per il lavoro parlamentare: la maggior parte di ciò che avviene non buca lo schermo, non appare, se non quando scoppia la polemica; sulla procreazione assistita abbiamo lavorato seriamente per un anno e mezzo, ma l’argomento è diventato pubblico solo quando ci si è divisi in Parlamento. Fai un intervento serio e documentato su un tema importante e non se ne accorge nessuno; se fai pipì nell’emiciclo, invece, finisci subito sulla CNN. Il lavoro serio finisce per diventare un’attività in perdita.Il sistema dei media, in definitiva, seleziona un certo modo di far politica.

Tutta colpa dei media?

Tonini: Non dico questo, io stesso sono un giornalista. Mi limito a descrivere una dinamica distorta, che ha un effetto devastante sulle forze politiche, all’interno delle quali tutto quel che non buca lo schermo, finisce con l’essere deprezzato. Nei partiti il problema diventa come risucire ad andare sul giornale. Se la sparo grossa corro qualche rischio, ma sui giornali ci vado; se invece faccio un seminario, no.

Io vedrei anche un’altra dinamica. L’ultimo convegno, approfondito e partecipato, che ricordiamo, è stato quello dei Ds su ‘Turismo e montagna’. Ha avuto un’ottima copertura da parte dei media, e consenso nell’opinione pubblica. Inseriva una decisione specifica, quella sugli impianti in Val Jumela, nell’ambito di un complessivo nuovo indirizzo del turismo. Poi si sa come è finita: i Ds hanno ceduto ed è andata avanti la politica di sempre. Quel convegno ha finito per dimostrare solo l’impotenza della sinistra; che difatti non ne ha organizzati più.

Tonini: Che nella sinistra trentina ci siano gravi carenze di riflessione è indubbio. L’esperienza di Costruire Comunità nasce proprio in seguito a questo vuoto. Ciò non toglie l’esistenza di un problema più generale: nel mercato politico le riflessioni interessano poco, perché quel che conta, presso l’opinione pubblica, è la rappresentazione della politica, che avviene in maniera teatrale. E questa distorsione è aggravata dal fatto che in Italia i partiti sono deboli, hanno radici fragili.

Giorgio Lunelli, consigliere provinciale della Margherita.

Lunelli: Sono d’accordo con Tonini (anch’io sono giornalista) sulla doppia realtà, la politica com’è e come viene rappresentata. Con una correzione: questa rappresentazione semplificata è richiesta dall’opinione pubblica, che vede la politica come qualcosa di lontano, di difficile; e quindi si chiede ai media di spettacolarizzare, di personalizzare. Nella società, e soprattutto fra i giovani, di fronte ai continui cambiamenti, c’è un senso di insicurezza e una conseguente richiesta di rassicurazioni; a questa richiesta risponde la semplificazione dei problemi, la personalizzazione, la banalizzazione se si vuole. Questo è quanto Berlusconi ha intuito fin dal ’94.

Insomma, la colpa è tutta di una società decerebrata, incapace di ragionare?

Lunelli: Di una società che ragiona in modo diverso dal passato. Del resto, ai tempi della prima Repubblica, era solo una minoranza quella che pensava in termini complessivi. Il grosso si accomodava dentro la DC o il Pci, e buonanotte. Oggi questo sistema si è disarticolato e ai partiti si chiede un ruolo diverso.

In tempo ci si schierava in nome di un’ideologia; si sperava che, finito quel tempo, ci si sarebbe schierati nella discussione sui problemi. Ma di questo non c’è traccia; salvo che in alcune questioni, che diventano bandiere identitarie, come la PiRuBi.

Lunelli: Io ho cominciato a far politica solo alcuni mesi fa; è vero che sui giornali appaiono solo le vicende degli assetti, delle poltrone; ma vi garantisco che sulla Regione, sulle nuove povertà, sulla riforma istituzionale, ho passato diverse sere a discutere con decine di persone. Quando si parla di questioni specifiche, il dibattito c’è, anche se non appare; sia per i motivi che dicevamo prima, sia perché i partiti sono cambiati, diventando una struttura molto più leggera.

Tonini: Per una maggior progettualità, occorrerebbe un rapporto costante tra studiosi, intellettuali, e rappresentanza politica.Vedi, in proposito, l’apporto dato a Bologna dal Mulino alla vittoria dell’Ulivo nel ’96; o, in sede locale, l’importanza dei contributi sull’Adige di Sergio Fabbrini. Ma l’ambiente sociale ostacola questo rapporto e premia invece i presenzialismi a "Porta a porta". Perfino Prodi, che certamente ha radici solide e non è espressione della politica-spettacolo, la sua proposta l’ha lanciata in un’intervista a Repubblica, non è che ha riunito gli stati maggiori dei partiti dell’Ulivo...

Va bene così, non c’è niente da fare?

Tonini: Sono stato e rimango un sostenitore del maggioritario e del bipolarismo, che purtroppo comporta una iper-semplificazione, che può anche significare urlo, invettiva. Ma non si può pensare di rimediare guardarndo indietro. Se dentro il bipolarismo c’è la semplificazione, come pure la tentazione della demonizzazione reciproca, dobbiamo introdurre dei contrappesi: la riflessione, il ragionamento, la consapevolezza delle complessità, delle sfumature. E questo è possibile, purché i partiti siano grandi - cioè con sufficienti risorse umane - e non abbiano problemi di visibilità. In questo senso, la funzione del partito come contrappeso, che richiami alla complessità delle situazioni e si contrapponga alle degenerazioni semplificatorie del maggioritario, è essenziale.

Lunelli: Concordo col discorso dei partiti come contrappeso; a questo aggiungo le necessità della rappresentanza. Mi spiego: il sistema che va dall’alto verso il basso, dal nazionale al locale, incontra, come sappiamo, grossi problemi. Bisogna invece fare il percorso inverso: partire dal territorio, e da lì risalire, come ha fatto la Margherita, che la sua progettualità la elabora partendo dalle assemblee locali. Il grande partito non può nascere da una fusione di realtà nazionali, ma dal mettersi insieme di movimenti territoriali, dai luoghi dove c’è il dibattito, il confronto. E’ un processo lungo, d’accordo, ma è l’unico innovativo. Intendiamoci: il tutto sempre all’interno di un logica rigorosamente bipolare.