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We have a party

E’ nato il primo partito europeo.

I verdi sono il primo partito europeo, formato in base al Regolamento (CE) n. 2004/03 del 4 novembre 2003 "relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici a livello europeo", entrato in vigore il 15 febbraio 2004. Sei giorni dopo, il 21 febbraio, 250 delegati di 31 partiti verdi dell’Europa (sia da tutti i paesi membri dell’Unione allargata, con la sola eccezione della Polonia, che da alcuni paesi "terzi" come la Serbia, la Bulgaria e la Georgia), riuniti a Roma, hanno dato il via al Partito Europeo Verde.

Daniel Cohn-Bendit.

Un passo importante (e certo non perché anche il sottoscritto c’era). Un passo importante, perché espressione di una nuova concezione della rappresentanza politica in Europa. Finalmente, una delle famiglie politiche del Parlamento Europeo ha deciso di rompere in maniera aperta e dichiarata con la logica secondo la quale i parlamentari europei dovrebbero rappresentare, in primo luogo, i loro paesi di origine. E’ vero che Dany Cohn-Bendit, co-presidente del gruppo attuale, è stato sia assessore a Francoforte per i verdi tedeschi prima che deputato europeo nella lista dei verdi francesi poi; ma queste era l’eccezione, non la regola, e poi Dany è mezzo francese e mezzo tedesco, e parla almeno quattro delle lingue europee: anche l’italiano, come ha dimostrato a Roma.

Una volta, nei partiti, Europa faceva rima con "Opa" (nonno). "Hast du einen Opa, schick’ ihn nach Europa" - si diceva. Cioè: Se hai un nonno (e vuoi liberartene), lo mandi in Europa, cioè a fare il deputato a Bruxelles e Strasburgo. E se hai alcuni rompiballe in famiglia, idem, così non li hai più fra i piedi: li butti fuori, ma con onore. Avranno uno stipendio d’oro, e non potranno disturbare granché. Ovviamente occorre un capolista presentabile - magari un ex-membro del governo, un giornalista o un artista riconosciuto - tanto per non fare brutta figura nelle elezioni, ma dopo, chi se ne frega.

Questa concezione del Parlamento europeo, la ha ancora il cavalier Berlusconi, che vuol fare il capolista per le europee, per raccogliere consensi alla lista di Forza Italia, ma certo non per fare il deputato europeo, visto che questi qua – secondo lui - non contano un fico secco, basta uno qualunque per tener caldi i banchi. "Buffone" - lo ha chiamato Dany Cohn-Bendit a Roma, ed a ragione. Perché il Parlamento europeo va preso sul serio, almeno finché l’unione "dei cittadini e delle cittadine" (e non solo l’unione degli Stati) la prendiamo sul serio.

Con la nuova Costituzione Europea, che speriamo sarà
approvata almeno quest’anno, le materie comunitarie – cioè quelle per le quali le leggi le fanno il Parlamento ed il Consiglio, nel processo della "co-decisione", dove non vale più il metodo della cooperazione governativa – si amplificano. Sempre più saranno le leggi europee a regolare la nostra vita quotidiana. Ad una parte della "sovranità", gli Stati nazionali (quelli con la "S" maiuscola), hanno già dovuto rinunciare, e questa parte aumenterà. Ed è un gran bene. Non solo perché gli Stati nazionali storicamente sono stati, sì, la culla della democrazia costituzionale come la conosciamo oggi, ma anche i soggetti di tre secoli di guerre europee, e perché l’Unione è il più grande progetto di pace europeo finora conosciuto. Ma soprattutto perché la "statalità", cioè il potere di condizionare (volendo) lo sviluppo economico e sociale, in tempi di economica globalizzata, deve essere almeno di dimensioni continentali.

La resistenza al pensiero unico neoliberale non si fa con il "piccolo è bello" - ha urlato Joschka Fischer, polemizzando con alcune critiche dei new global al suo atteggiamento "europeo". O si lotta per un potere parlamentare che, democraticamente, può fissare le regole del gioco per il mercato, in nome di uno sviluppo sostenibile, e si lotta cioè per una maggioranza del centro-sinistra in Europa, o si rinunci del tutto all’idea di governare lo sviluppo e poi il mercato sfrenato comanda davvero. Tertium non datur.

Appunto per questo, i verdi si impegnano non per raccogliere consensi per tante singole rappresentanze nazionali verdi a Strasburgo, ma per raccogliere consensi per una propria visione di "quale Europa vogliamo" ("Europe can do better" - è il titolo significativo del programma comune), contrapponendola alle altre visioni (liberale, conservatrice, socialdemocratica…). Appunto per questo, il fatto che la campagna elettorale, per la prima volta, usa simboli, slogan, tematiche e manifesti identici in tutti i paesi non è dettato dalla voglia di risparmiare grazie alle sinergie, ma dalla voglia di essere una forza politica europea anziché la somma di tanti partiti e partitini nazionali.

La sede del Parlamento Europeo a Bruxelles.

Ha sbagliato grossolanamente, dunque, il presidente dei verdi italiani, Pecoraro Scanio, quando ha dichiarato alla Repubblica del 21 febbraio che gli elettori italiani le europee potrebbero usarle come "primarie" per determinare il relativo peso delle diverse correnti dell’Ulivo in vista delle prossime nazionali. Questo, con tutto il rispetto dovuto ad un illustre collega di partito, è una cazzata. Sarebbe come dire: usiamo le elezioni politiche per determinare se Tizio o Caio debba guidare la lista per le amministrative di Potenza.

Molto significativamente, il gruppo PPE del Parlamento europeo, in questi giorni, sta cambiando il suo statuto. Ma non nel senso del Regolamento 2004/03. Stanno per garantire, soltanto, che sia i Forzisti del cavaliere che i Tories inglesi (ed altri ultra-nazionalisti e partiti anti-europei) possano continuare a far parte del gruppo popolare, che così resterà, molto probabilmente, il più consistente gruppo in seno al nuovo Parlamento, ma un gruppo senza alcuna seria prospettiva comune che non sia quella di assicurare la maggioranza alla destra. Questa strategia di Poettering (democristiano tedesco, capogruppo dei popolari) sta cacciando fuori dai Popolari alcuni illustri liberal-conservatori ed anche dei cattolici di sinistra, che hanno dichiarato di voler aderire ad una nuova "Margherita" del centro (richiamandosi a grandi europeisti come Adenauer o Schumann). Se questa lotta interna ai Popolari contribuirà a chiarire le idee (sia agli attori che agli elettori), sia benvenuta. E’ da troppo tempo che l’Europa (come progetto) l’abbiamo lasciata alla destra.

Noi, invece, ci battiamo per l’Europa dei cittadini e delle cittadine, dello sviluppo sostenibile, della pace, della giustizia sociale, che trovi un suo posto nella politica mondiale come garante del diritto internazionale e dei diritti umani, anche contro l’unilateralismo violento d’Oltreoceano. E’ in questo senso che il Partito Europeo Verde ha deciso di muoversi. E’ una grande scommessa, e non sarà vinta in tempi stretti, ma chi rinuncia alla battaglia ha già perso in partenza.

La scelta di firmare il certificato di nascità del nuovo partito proprio al Campidoglio, nel luogo della firma del Trattato che ha dato il via all’integrazione europea, ha voluto esprimere appunto questo: Europe can do better. Un’Europa migliore è pensabile. Anche fattibile. Purché ci si provi.

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