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QT n. 8, 17 aprile 2004 Documenti

Turismo: la vera qualità sta nelle emozioni

Giorgio Daidola

I grandi numeri del turismo contemporaneo impongono una riflessione sul concetto di "qualità" nell’offerta turistica. Si tratta infatti di un concetto di grande importanza, da cui dipendono scelte cruciali e strategiche per il futuro del turismo. La riflessione è inoltre imposta dalla necessità di fare chiarezza su di un termine molto utilizzato, sia nei documenti ufficiali e scientifici che nella comunicazione divulgativa, con significati diversi o contradditori, spesso senza far riferimento ad una precisa definizione. Definire cosa si intende per qualità risulta particolarmente importante per il turismo montano, notoriamente collegato ad un ambiente fragile ed irripetibile.

Qualità aziendale e qualità emozionale

Dal punto di vista dell’offerta, la "qualità" nel turismo può essere definita come ricerca di standard elevati (ad esempio nella ricettività, nella ristorazione), di facilità di accesso al servizio e alla sua fruizione (grazie ai trasporti, a Internet, ai tour operator, alle agenzie di viaggio, alle pro-loco, ecc...), di sicurezza, con pretesa minimizzazione dei rischi. Definiamo questa modo di intendere la qualità come "qualità aziendale".

Nei documenti della Comunità Europea e nelle normative a livello nazionale e locale che ne discendono si ritrova questa definizione di natura aziendalistica della qualità. Il motivo è semplice: si tratta di una scelta in sintonia con la logica economica dell’accrescimento continuo, che deve basarsi su di una definizione di qualità collegata al fenomeno produttivo (del servizio, in questo caso) e facilmente misurabile, ad esempio con la serie ISO 9000 e 4000, con la metodologia EFQM, con indicatori costruiti ad hoc per valutarne il miglioramento, con la creazione di uno staff di "controllori della qualità". Si tratta di una definizione di qualità con una forte connotazione imprenditoriale, che si rifà ad un modo di intendere il turismo in chiave "modernista". Ossia di un turismo che si identifica, ad esempio, nelle destinazioni turistiche del Mar Rosso e nelle moderne stazioni turistiche invernali.

Dal punto di vista della domanda la qualità nel turismo è, o dovrebbe essere, tutt’altra cosa. Si tratta, o dovrebbe trattarsi, di una qualità collegata alla intensità di emozioni e al valore dell’esperienza in quanto turisti. Definiamo questa qualità "emozionale".

Il concetto di "qualità emozionale" non va confuso con quello di "qualità percepita" dal turista che, salvo eccezioni, si limita ad una valutazione della qualità aziendale vista dal lato della domanda. La qualità percepita dipende infatti da un marketing che, da disciplina al servizio del consumatore, è diventato strumento per influenzare il consumatore. Anche la "customer satisfaction", che dovrebbe essere una tecnica per studiare la soddisfazione del consumatore, è diventata più che altro uno strumento per valutare l’effetto delle influenze esercitate sul consumatore.

La qualità emozionale, a differenza della qualità aziendale percepita, per sua natura è difficilmente misurabile. Lo si può fare con le stesse interviste a campione che tendono a misurare la qualità aziendale, con risultati poco convincenti e sempre opinabili o criticabili, soprattutto in conseguenza della genericità delle domande poste e dei condizionamenti a cui i consumatori sono sottoposti. Misurare l’intensità delle emozioni che si provano di fronte ad un tramonto fra i picchi dolomitici o sciando fuori pista è certamente molto più difficile rispetto al valutare la qualità dei servizi offerti da una struttura alberghiera o la manutenzione delle piste di discesa. Non ci sono però dubbi cerca l’importanza della qualità emozionale, senza la quale viene meno l’essenza di fare del turismo.

La qualità emozionale è insomma la "vera" qualità. Essa è legata ai canoni della cultura occidentale, ossia alla voglia di conoscere e di godere realtà diverse e, al tempo stesso, alla voglia di fuggire "a tempo" dalla propria realtà.

Le componenti della qualità emozionale, ossia la voglia di conoscere e la voglia di fuggire, comportano entrambe fatica, preparazione, dedizione, sacrifici, accettazione dell’imprevisto, di rischi di vario genere. Se ne deduce che sono proprie della qualità emozionale molte componenti che la qualità aziendale considera negative e cerca quindi di eliminare. Di qui la difficoltà, per non dire l’impossibilità, di "cumulare" le due qualità in un unico progetto turistico. Ad esempio, per raggiungere obiettivi di qualità aziendale negli anni ‘60 venne presentato un progetto, per fortuna rimasto tale, per la costruzione di una funivia fin sulla punta del Cervino. Si trattava di un progetto di elevata qualità aziendale che avrebbe permesso di arrivare su quella stupenda piramide di quasi 4500 metri in pochi minuti, senza fatica, preparazione, rischio. Ossia senza quelle componenti, proprie della qualità emozionale, che sono il piacere di scalare e di arrivare sulla cima del Cervino. Se poi si aggiunge che la funivia al Cervino avrebbe totalmente snaturato un paesaggio considerato fra le meraviglie del mondo e quindi eliminato totalmente il valore emozionale di panorami irripetibili, si vede come la qualità aziendale può risultare antitetica alla qualità emozionale. L’impossibilità di cumulare la qualità aziendale e la qualità emozionale dovrebbe far riflettere sulla pretesa congruità di alcuni progetti di sviluppo turistico, come ad esempio quello relativo alla costruzione di impianti di risalita in Val Jumela.

Certo non è sempre così. Vi sono casi in cui la qualità aziendale persegue obiettivi che non contrastano con quelli della qualità emozionale: si pensi ad esempio alle vacanze relax o di convalescenza, al turismo termale. Si tratta di modi di vivere la vacanza che non hanno nulla a che fare con il turismo che si pone obiettivi di qualità emozionale, e quindi, fatti salvi problemi di sostenibilità ambientale per le strutture che tali modi di vivere la vacanza impongono di realizzare, risultano assolutamente accettabili. In particolare, con riferimento al turismo termale trentino, sarebbe auspicabile che esso venisse sviluppato come importante supporto del turismo invernale, come avviene con successo in Austria: si pensi alla nota stazione di Badgastein. Ad esempio, lo sviluppo di stazioni come Panarotta 2000 potrebbe assumere un significato totalmente diverso e certamente più lungimirante di quello attuale se le terme di Vetriolo e di Levico fossero aperte in inverno.

Un discorso a parte va fatto per i sempre più numerosi parchi divertimenti a tema, che rappresentano realizzazioni di progetti in cui con la qualità aziendale si perseguono finalità ludiche che hanno anche una componente emozionale. Deve essere chiaro che si tratta di emozioni costruite che non hanno nulla a che vedere con quelle del turismo emozionale sopra descritto, semmai ne sono dei surrogati. Manca infatti un rapporto vero del turista con l’ambiente naturale e/o con le culture locali, essenziali nel turismo emozionale. Si deve però dire che anche i parchi divertimenti, come il turismo termale e le vacanze relax, rappresentano iniziative turistiche che, fatti salvi problemi di sostenibilità e di destinazione del territorio, non cozzano contro gli obiettivi del turismo che persegue la qualità emozionale.

Va infine precisato come anche il turismo di qualità emozionale comporta la necessità di servizi per i quali può essere necessario valutare la qualità aziendale. L’utilizzo di portatori o di animali da soma per un trekking in Nepal ne è un esempio. La loro affidabiltà, la capacità di carico, la loro organizzazione costituiscono "qualità aziendale". La qualità emozionale dipende invece dalle emozioni che si provano nell’esperienza di trekking.

Anche nella ricettività di tipo bed & breakfast e nell’agriturismo ci troviamo di fronte a casi di valutazione della qualità aziendale in esperienze che possono avere un’alta qualità emozionale.

Si può quindi concludere che il turista alla ricerca della qualità emozionale è di regola un turista itinerante, viaggiatore o vagabondo, che non si lascia facilmente influenzare dai media. L’essenza del suo modo di fare del turismo è data dalla qualificazione del rapporto con l’ambiente e con i depositari della cultura di questo ambiente.

Il ruolo fondamentale degli operatori turistici per questo modo di intendere il turismo dovrebbe essere quello, molto importante, di facilitare tale qualificazione. Si tratta di un ruolo ben diverso dall’organizzare una vacanza, e di questo bisognerebbe tener conto nei processi formativi a tutti i livelli che interessano tali operatori.

I principi esposti in queste poche righe di riflessione non pretendono di essere originali ed innovativi. Essi si ritrovano infatti in quasi tutti i documenti e nelle linee guida in materia di turismo. Il vero problema è che spesso essi vengono utilizzati solo a livello di intenzioni progettuali, in quanto nella pratica essi cozzano contro le onerose scelte di potenziamento continuo dei sistemi turistici di tipo aziendale-industriale, ossia di quel complesso di iniziative che permettono di sviluppare la qualità aziendale e la sua percezione. Numerose ricerche hanno evidenziato come "al crescere della professionalità (qualità aziendale) aumenta anche la distanza dall’ospite", mentre il rapporto diretto fra locali ed ospiti è uno dei requisiti fondamentali del turismo di qualità emozionale.

Alla ricerca della qualità emozionale

La logica della "qualità emozionale" deriva dai grandi viaggiatori dei secoli scorsi, come Francesco Negri che nel 1600 scrisse del suo favoloso "Viaggio settentrionale" in Scandinavia (e primo in Italia parlò di sci!), come Goethe, con il suo famoso "Viaggio in Italia" di fine ‘800. Senza dimenticare Sven Hedin con "Through Asia", ancora oggi una Bibbia per chi viaggia lungo la via della seta e De Filippi con i volumi che descrivono le grandi spedizioni del Duca degli Abruzzi. In questi viaggi il contenuto scientifico-esplorativo era dominante ma una componente di "voglia di fuga" non è da sottovalutare.

Questa seconda componente dei viaggi di qualità emozionale diventa fondamentale nel dopoguerra, con lo sviluppo dei viaggi cosiddetti "sportivi" e "alternativi". I sociologi che studiano l’organizzazione del tempo nelle società industriali li hanno definiti forme di "dissidenza concordata" con il sistema, nel senso che è lo stesso sistema basato sul modernismo e sui villaggi turistici, ad incoraggiare ed organizzare anche tale tipo di turismo fatto di "fughe a tempo determinato", in quanto funzionali al sistema stesso. Staccare ogni tanto la spina serve infatti per ricaricarsi, per ritornare più produttivi di prima, molto di più di una vacanza relax: provare per credere. Anche dal punto di vista morale non bisogna vergognarsi di "fuggire". Tutti gli animali fuggono davanti al pericolo e l’eroismo sta semmai nel coraggio e nella capacità di uscire da proprio ruolo e mettersi in discussione, con tutti i rischi e le privazioni che questa decisione comporta: si legga in proposito il saggio insuperato del biologo francese Henry Laborit intitolato appunto "L’elogio della fuga".

La generazione alla quale appartengo ha avuto l’enorme privilegio di poter effettuare queste "fughe a tempo" fruendo dei nuovi mezzi di trasporto che permettevano di raggiungere velocemente, negli anni ‘70-’80, aree del mondo ancora non compromesse dalla nostra invadente civiltà occidentale. L’incantesimo, come tutti gli incantesimi, è durato poco. Dove arrivano gli aerei e dove arrivano le strade il mondo si trasforma velocemente e diventa uniforme in brevissimo tempo, secondo lo stereotipo della periferia di una qualsiasi città industriale. La colpa (o il merito, dipende dai punti di vista) è del sistema produttivo occidentale, che perseguendo l’obiettivo dello sviluppo senza fine, elimina le differenze, come un rullo compressore, chiudendo volentieri le culture locali nei musei o nei ghetti del folklore. Il turismo, parte integrante di questo sistema produttivo, sia che si tratti di villaggi-azienda, sia di turismo alternativo di fuga, concorre, seppur in proporzioni diverse, allo scempio che è sotto i nostri occhi. Uno scempio che fa venir voglia di chiudersi nella propria casa e di non viaggiare più.

Qualità e sostenibilità

La qualità emozionale nell’esperienza turistica è quindi diventata rara. I principali motivi di tali rarità si possono riassumere nei seguenti:

1. il mondo sta perdendo le diversità e di conseguenza le destinazioni turistiche risultano sempre più prive di caratteristiche di originalità;

2. la tecnologia e lo sviluppo economico rendono più difficile scoprire ambienti incontaminati e culture diverse dalla propria, soprattutto se il tempo del viaggio è limitato;

3. l’aumento del numero di turisti alla ricerca della qualità emozionale influisce negativamente sull’esperienza personale del viaggiatore e può creare problemi di sostenibilità nei confronti dell’ambiente e delle culture locali.

A monte di questi problemi è il degrado della situazione ambientale, il vero nemico del turismo di qualità emozionale. Da questo punto di vista viviamo in un mondo sempre meno attraente, soprattutto se confrontato con quello di solo poche decine di anni fa. Il motivo del degrado, con conseguente effetto serra, scioglimento dei ghiacciai e delle calotte artiche ed antartiche, buco dell’ozono, ecc... viene normalmente ricercato nell’inquinamento conseguente ad uno sviluppo industriale selvaggio del globo, unito allo sviluppo dei consumi dei paesi ricchi.

Anche il turismo, soprattutto il turismo di qualità aziendale, concorre a tale inquinamento.

Se tutti concordano che la tecnologia e lo sviluppo dei consumi sono imputati eccellenti del degrado, il silenzio è invece d’obbligo per l’altro imputato eccellente: la sovrappopolazione. L’habitat è infatti danneggiato anche dai troppi abitanti del globo, e di conseguenza dai troppi turisti. Alcuni affermano che il problema non è quanti siamo ma unicamente quanto consumiamo e che la terra può sfamare anche 10 miliardi di uomini-formica. Ma a quale prezzo? E poi si tratta di un ragionamento che non regge, in quanto ogni individuo in più significa comunque maggiori consumi.

La verità di cui non si vuole sentire parlare è che esiste un punto di non ritorno ambientale oltre il quale l’eccesso di popolazione distrugge le proprie condizioni di vita. E quindi anche la voglia di fare i turisti. Questa soglia, con una popolazione del globo pari a 6 miliardi contro 1,6 miliardi di inizio secolo, l’abbiamo già abbondantemente superata. Negli ultimi 12 anni la popolazione del globo è aumentata di 1 miliardo, ossia del 20%. Come si fa a non prendere in considerazione le conseguenze negative sull’ambiente, primaria risorsa anche per il turismo emozionale, di tale spaventoso aumento? Di una situazione del genere come si fa ad avere il coraggio di dire che dobbiamo fare più figli e che penserà la natura a stabilire nuovi equilibri?

Eppure l’argomento che la causa prima del collasso della Terra (e quindi anche del turismo in tutte le sue forme) è la sovrappopolazione è un argomento tabù. Anche per la maggior parte dei miei colleghi economisti, che continuano a predicare la logica dello sviluppo basata sull’aumento dei consumi grazie all’aumento della popolazione.

La verità è che denunciare i danni del sovraffollamento è una politica che non paga, che non viene compresa o che si fa finta di non comprendere. Tanto meno con riferimento alla qualità ed alla sostenibilità del turismo in un mondo ormai ridotto a formicaio. Neppure gli ecologi, neppure i no-global, sembrano aver capito che l’impatto ambientale è pari al prodotto dei tre fattori qui di seguito elencati, e non solo dei primi due (si veda Paul Ehrlich, The Population Bomb, 1968): 1. reddito procapite, 2. livello di tecnologia, 3. numero di persone. Si può insomma facilmente dimostrare come il problema dell’esplosione demografica sia alla base della catastrofe ecologica: una catastrofe che, a medio termine, se non si fa nulla, farà venir meno anche la necessità di parlare di turismo, sia esso sostenibile o insostenibile.

Questa tesi, inoppugnabile a livello mondiale, può sembrare una contraddizione quando si parla di sviluppo del turismo in aree montane che soffrono del fenomeno opposto, ossia dello spopolamento. Lo sviluppo di forme di turismo morbido collegate alla tutela dell’ambiente (sistema di trasporti poco invasivo, restauri anziché nuove costruzioni) alle attività locali (agricoltura ed artigianato), alla cultura locale ed allo sviluppo degli sport outdoor (quelli che non richiedono grandi infrastrutture), costituisce l’unica ricetta valida, certo di non facile applicazione, per far venire meno tale spopolamento. Si tratta comunque di un problema locale che non deve far perdere di vista il problema globale del sovraffollamento.

Le alternative di breve termine

In una situazione dominata dalla complessità e dall’incertezza come quella attuale, la qualità emozionale del turismo si può ritrovare in alcune nicchie che, forse proprio perchè detentrici di qualità emozionale, danno evidenti segni di sviluppo.

Una prima nicchia è quella dei viaggi-fuga per periodi lunghi. Solo con più tempo e con maggiore lentezza si può tentare di vivere ancora esperienze importanti ed inquinare di meno sotto tutti i punti di vista. Occorre organizzarsi, pianificare una lunga vacanza, staccare tutto e "fuggire". Come faceva Chatwin, con il suo vagabondare lento in Patagonia o lungo i sentieri invisibili delle Vie dei Canti. Come ci insegna a fare Nadolny nel suo saggio "La scoperta della lentezza", in cui la straordinaria vita di esplorazione e di avventure di Sir John Franklin viene presa come esempio per ironizzare sul nostro moderno modo di vivere che premia la velocità. "Mollo tutto e vado via" è il titolo di un libro di grande successo, scritto da Gabriele Mazzoleni: un vero manuale per fughe di lungo periodo, con biglietti senza prenotazioni per il ritorno, con un’apertura ad un cambio di vita radicale. La barca a vela continua ad essere il modo ideale per vivere queste lunghe, esclusive, impegnative, fughe di qualità.

Una seconda nicchia è quella del turismo morbido, delle iniziative all’insegna della semplicità e dell’assoluta eco-compatibilità. Evitando con ogni mezzo l’inquinamento ed il consumo delle risorse naturali, in un’ottica di "sostenibilità forte". Ossia di vera sostenibilità, quella che non ammette la sostituzione del capitale "naturale" con quello "artificiale", tanto per intenderci. Una sostenibilità insomma che lascia inalterato il capitale naturale complessivo che siamo tenuti a consegnare alle future generazioni. L’esatto opposto della sostenibilità debole, che è poi quella falsa che, con riferimento al turismo, riempie la bocca di tutti o quasi tutti, insieme alla parola "qualità", in tanti inutili convegni.

Nell’ottica di un turismo di montagna che persegue un obiettivo di sostenibilità forte, l’estate scorsa ho accompagnato un gruppo di escursionisti sui sentieri del massiccio del Lagorai, a piedi di malga in malga, discutendo di storia di queste montagne, di flora e di fauna, fermandomi a parlare con i malghesi dei loro problemi di ogni giorno, tentando di instaurare con loro un rapporto ricco di umanità. Si è trattato di una esperienza con forti contenuti culturali, vissuta nell’ambito di "Natura in libertà", un’iniziativa di nicchia ideata da una delle più piccole e più dinamiche APT del Trentino. Durante il prossimo inverno spero di organizzare un’ esperienza analoga con gli sci, facendo del campeggio sulla neve. Non ci saranno i malghesi ma ci sarà l’incontaminato ambiente invernale, con tutto il suo fascino.

Questo è indubbiamente turismo di qualità, sotto tutti i punti di vista. Un turismo che in Trentino, a differenza di altre zone delle Alpi (si pensi al vicino Alto Adige), non ha una vera tradizione e va quindi incoraggiato, anziché vietato in nome di un’ansia di sicurezza tesa ad evitare responsabilità e di una concentrazione degli investimenti in stazioni invernali di alta qualità aziendale.

Gli investimenti per realizzare questo tipo di turismo, se confrontati con quelli per sviluppare super stazioni anche dove mancano i presupposti per farlo (vedi il Bondone), sono contenuti. Si tratta di aprire anche in inverno i rifugi, gli agriturismo, i bed and breakfast, gli alberghi, le botteghe, i musei e le altre strutture esistenti che normalmente risultano chiusi per 6-8 mesi all’anno. Si tratta di scoprire, o di riscoprire, il vero turismo invernale.