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QT n. 10, 15 maggio 2004 Cover story

E’ finita la cuccagna

Hanno vinto le elezioni promettendo tutto a tutti: ed ora si ritrovano a gestire un bilancio in diminuzione, il primo di una lunga serie. I problemi della Margherita e del centro-sinistra, la via d’uscita (viziosa) dell’indebitamento, quella (virtuosa) del cambiamento.

Venghino signori, ce n’è per tutti!!". Questo è stato il vero slogan dell’ultima campagna elettorale. Un mare di promesse a sindaci e a singoli, a comunità e a clientele; promesse rese credibili dalle generose elargizioni dell’ultima (ma non solo) legislatura. Ecco quindi promesse nuove piscine, nuove strade, nuovi impianti polifunzionali, nuovi musei; a Trento il nuovo ospedale, quando il "vecchio" è stato inaugurato nel 1970 ed è in corso di radicale e multimiliardaria ristrutturazione; a Borgo e a Tione nuovi mega-centri fieristici, anche se quello del capoluogo arranca; alla Valsugana la nuova autostrada PiRuBi, anche se si sa che non servirà ad alleviarne il traffico. E poi i contributi, ai singoli e alle clientele, meglio se organizzate: ricordiamo come nella scorsa legislatura si sia giunti a fornire ai cacciatori "a prezzo politico" (qui sottolineiamo l’aspetto economico) uccellini da torturare perché fungessero da richiamo.

Bene, tutto questo è, o meglio, dovrebbe essere finito.

In una delle primissime riunioni della nuova Giunta provinciale il presidente Lorenzo Dellai ha invitato il dirigente generale responsabile del bilancio Ivano Dalmonego e gli ha detto: "Spiega come stanno le cose". Delmonego per un’ora e mezzo ha spiegato dati, fornito tabelle, confrontato cifre. Gli assessori ascoltavano in silenzio, probabilmente via via rendendosi conto che dovevano inventarsi qualcosa per i clienti insoddisfatti. Perché alla fine la realtà emergeva chiarissima: la cuccagna è finita.

Ora che i dati del bilancio sono pubblici, possiamo ragionarci sopra. Per la prima volta, nel 2004 il bilancio della Pat sarà in contrazione: 3.943 milioni (di euro) invece dei 3.955 dell’anno precedente.

Il punto ovviamente, non sta tanto qui, quanto piuttosto in due meccanismi non positivi, uno sul fronte delle entrate, e uno su quello delle spese. Per quanto riguarda le entrate, il loro continuo aumento degli ultimi anni era dovuto ad entrate di carattere eccezionale legate alla chiusura di accordi con lo Stato; entrate straordinarie che si stanno esaurendo. Non solo: anche parte delle entrate ordinarie è a rischio di erosione, vista la linea di politica fiscale del governo. Insomma, è sicura un’ulteriore riduzione delle disponibilità: dai 100 ai 400 milioni l’anno.

2003-2004: come cambia il bilancio della PAT Si nota l'incremento della fetta "spesa corrente", all'interno di una torta che diventa più piccola. Ne consegue, se non cambia la dinamica, la progressiva drastica riduzione della fetta "spesa in conto capitale", cioè gli investimenti.
2003-2004: come cambia il bilancio della PAT Si nota l'incremento della fetta "spesa corrente", all'interno di una torta che diventa più piccola. Ne consegue, se non cambia la dinamica, la progressiva drastica riduzione della fetta "spesa in conto capitale", cioè gli investimenti.

Il secondo meccanismo riguarda la spesa; in cui, come da tabella, si nota un aumento della spesa corrente (stipendi, oneri di gestione ecc) a scapito della spesa in conto capitale, cioè gli investimenti. La somma di questi due meccanismi è potenzialmente micidiale per gli investimenti: la torta si fa più piccola, e al suo interno la fetta delle spese di gestione aumenta. La possibilità di investire, cioè di fare interventi, si va progressivamente riducendo.

Quando si apre un nuovo museo, si inaugura una piscina, si taglia il nastro di una bretella, contemporaneamente si dà il via a nuove spese di gestione, rischiando di pregiudicare futuri investimenti.

Come se ne esce? E in particolare, come ne può uscire questa maggioranza, eletta dopo la campagna elettorale di cui sopra? Egemonizzata, per di più, da una forza, come la Margherita, che del "recepimento delle istanze dei territori", ossia della coltivazione scientifica del clientelismo,ha fatto la sua ragion d’essere, e su di essa si è modellata?

La via d’uscita, a parole, è semplice. "Dovremo attivare investimenti che sviluppino l’economia; più sviluppo vuol dire più Pil, e quindi più entrate -- risponde la vice-presidente della Giunta Margherita Cogo, dei Ds - E dall’altra parte, ogni investimento deve essere supportato da un’analisi non solo dei costi immediati, ma anche di quelli di gestione. Ad esempio, per quanto mi riguarda (in quanto assessore alla Cultura, n.d.r.) la decisione se costruire il Centro della Scienza non è scontata: dovrà superare un’analisi costi-benefici che riguarderà anche le spese di gestione."

Concentriamoci sul fronte della spesa. Se questa impostazione è rigorosa ("e in Provincia si stanno attrezzando con metodi d’analisi d’avanguardia" - ci assicura il prof. Enrico Zaninotto, docente di Economia delle Aziende Industriali all’Università di Trento), si dovrà prevedere un forte ridimensionamento di tutta una serie di spese, e soprattutto di tante promesse elettorali, sulle quali molti degli assessori hanno fatto la propria fortuna politica.

"E’ vero. In passato queste promesse era facile mantenerle - ammette Cogo - Ma ora non è più possibile. Di questo c’è consapevolezza".

Sarà. Sta di fatto che storicamente in Italia, di fronte a una situazione come quella del Trentino attuale - che non è drammatica: solo una vigorosa scampanellata di fine ricreazione - la risposta è stata proseguire come prima. Indebitandosi e lasciando i problemi, di molto aggravati, ai successori.

"No, no - si affretta a rispondere Cogo - La credibilità finanziaria del Trentino ha ottenuto una lusinghiera certificazione (Aa1 da Moody’s e AA+ da Fitch: non sono il massimo ma sono buone) e questo rating non vogliamo proprio perderlo, perché ci permetterà di avere finanziamenti e far affluire investimenti da fuori provincia".

"La parola debito in Trentino, culturalmente è un tabù - aggiunge l’assessore alla Programmazione e Innovazione tecnologica Gianluca Salvatori - Non credo ci sarebbe molto spazio per una finanza allegra".

E Cogo aggiunge: "C’è un controllo molto puntiglioso, e doveroso, dei media".

Parole che sono musica per le nostre orecchie. E allora iniziamo subito con il ricordare che, a questo punto, si dovrebbe lasciar perdere il ridicolo aeroporto di Mattarello, quando a 80 km. c’è quello di Verona (di cui siamo soci) e a 50 quello di Bolzano (non a caso in grave perdita); stralciare la PiRuBi, che ogni studio indica non in grado di sostenersi; e poi il nuovo ospedale, gli impianti di risalita delle società decotte... E ancora: che senso ha indebitarsi per costruire il maxi-inceneritore, invece che spingere sulla raccolta differenziata?

Più in generale: proprio la nuova forzata oculatezza potrebbe rivelarsi virtuosa, obbligando a meglio selezionare gli investimenti.

Il problema non riguarda solo la Provincia. L’ottimizzazione delle spese investe in larga misura anche i Comuni. Dove il "ce n’è per tutti" ha portato ad un’abnorme proliferazione di strutture che ora, con i costi di gestione, appesantiscono i bilanci comunali. "Soprattutto nei centri medio-grossi, che si sono dotati di strutture quasi sempre indispensabili, ma finanziariamente gravose. Invece le relative spese andrebbero ripartite tra più Comuni. Cosa che è difficile chiedere ai Comuni che non hanno partecipato all’ideazione e progettazione della struttura - afferma Cogo - Insomma, si ritorna alla riforma istituzionale, alla necessità di progettare complessivamente i servizi sul territorio".

"Concordo. - ci dice il prof. Zaninotto - Per razionalizzare la spesa senza abbassare la qualità dei servizi, il primo intervento è la riforma territoriale".

E qui torniamo alle difficoltà come opportunità, e al nodo rappresentato dalla Margherita di Dellai, che dalle "istanze dei territori" prima sollecitate, poineglette, può venire travolta. Può uscirne all’indietro, tentando l’avventura del debito; oppure in avanti, guidando il processo di ammodernamento.

Veniamo al secondo aspetto: le entrate. O meglio a come sollecitare uno sviluppo che generi più entrate. Il discorso è ampio, e riguarda la politica economica della Provincia e i suoi investimenti. Qui subito occorre una precisazione: se per la spesa corrente il debito deve rimanere tabù, per investire, "per effettuare certe politiche si dovrà ricorrere al debito - precisa Salvatori - La certificazione è stata chiesta anche per questo".

"Sì, ma solo per investimenti che producano reddito - precisa Margherita Cogo - e in quest’ambito io vedo solo la partita energetica".

Come giudicare la produttività degli investimenti? Se nel caso dell’energia citato da Cogo il problema è relativamente semplice (si tratta di un’attività imprenditoriale, con le sue leggi di costi e ricavi), più complesso è quando si parla di infrastrutture. Quanto sono produttivi i continui investimenti provinciali in costruzioni (quando c’è un problema, la Pat lo risolve costruendo subito una sede, forse per la nota contiguità tra politici e edili, dicono i maligni)? Quanto, per esempio, sono stati produttive le migliaia di miliardi investite nella scorsa legislatura in strade e bretelle?

Il prof. Enrico Zaninotto, docente di Economia delle Aziende Industriali all’Università di Trento.

"Io sono tra quanti sostengono che si dovrebbe spendere meno in costruzioni ed opere pubbliche - rivendica il prof. Zaninotto - Senza però esagerare: una buona rete stradale è un investimento di lungo periodo; la controprova la vediamo nel Veneto, che non si è attrezzato e soffre di intasamento. Penso che ora ci si dovrebbe spostare soprattutto su infrastrutture più moderne, come le reti telematiche, che servono non solo alle imprese, ma anche a velocizzare i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, cittadino e servizi, si pensi alla telemedicina...".

Poi ci sono gli investimenti più legati alle imprese. "Il punto è favorire l’innovazione - prosegue Zaninotto - Oggi è basso il tasso di cambiamento nell’economia trentina: è una struttura poco mobile, senza nuovi settori; e le poche imprese dei nuovi settori stentano ad affermarsi".

Discorsi già sentiti, che però nella situazione attuale acquistano nuovi significati. "E tutto questo è logico: siamo in un’economia di pieno impiego, che quindi fatica a spostare le risorse impiegate (manodopera, capitali, strutture) dalle attuali attività, che già forniscono buona redditività, ad attività nuove, che possono fornire ancora più reddito, ma sono più rischiose. E invece le nuove iniziative creano la dinamicità del sistema, sono positive anche per le vecchie: e questo vale non solo per l’industria, ma anche per il turismo, come pure per il settore no-profit".

Entriamo nel solito discorso del "gusto del rischio", che in genere fa (con una terminologia buona per mercenari o giocatori d’azzardo) chi non ha niente da rischiare?

"Intendo una cosa molto semplice: è sano proteggere meno le imprese - afferma Zaninotto.

Gianluca Salvatori, assessore provinciale alla Programmazione, ricerca e innovazione.

"Il punto è abbandonare le misure di protezione di imprese in crisi strategica - declina l’argomento l’assessore Salvatori - Penso al tessile: ci mettiamo a fare concorrenza ai salari cinesi? Invece dobbiamo avviare una strategia per far nascere nuove attività".

Insomma: le nuove imprese, più dinamiche e redditizie ma più a rischio, non nascono, perché le risorse sono assorbite dalle vecchie imprese, che vengono sovvenzionate anche quando sono decotte. Togliendo la canna dell’ossigeno a queste ultime, e costruendo un contesto favorevole all’innovazione, si creano le condizioni perché le nuove imprese si possano affermare.

Questo schema sembra non tener conto di un aspetto: dietro ogni impresa ci sono uomini e donne in carne ed ossa, ogni chiusura è un dramma, comporta molteplici, gravi costi umani.

"Qui si tratta di politiche del welfare. La protezione sociale non deve più essere legata al posto di lavoro, per cui la sua perdita diventa un dramma; bensì alla cittadinanza - afferma Zaninotto.

E in effetti il bilancio della Pat dedica lunghi capitoli alle risorse per la sicurezza sociale, al loro adeguamento "ai nuovi bisogni della popolazione emersi negli ultimi decenni", tra cui "forme di reddito minimo in modo da garantire a tutta la popolazione livelli dignitosi di vita".

Insomma, la prospettiva delle tasche vuote impone cambiamenti. "Che, oggi come oggi, possono essere effettuati con ragionevolezza, senza l’acqua alla gola" - ci dicono concordemente i nostri interlocutori.

Si può fare di necessità virtù: utilizzare il cambiamento obbligato come un’opportunità per andare avanti.

Bisognerà vedere se la comunità e la sua rappresentanza politica saranno in grado di farlo.