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QT n. 2, 29 gennaio 2005 Monitor

Così è (se vi pare)

Un ottimo allestimento quello di Giulio Bosetti del (sempre attuale) lavoro di Pirandello: in bilico perfetto tra umorismo e filosofia.

La pièce, tratta nel 1916 dalla novella "La signora Frola e il signor Ponza suo genero", si regge "su un difficilissimo equilibrio tra la commedia della curiosità e il dramma dell’ignoto". Così riferisce lo stesso Luigi Pirandello all’attore Ruggero Ruggeri in una lettera di poco posteriore alla prima milanese. Allestirla è dunque una delle operazioni più ardue per un regista ed una compagnia, in bilico fra soluzioni opposte che si annullano a vicenda: condire il tutto con l’umorismo o imbeverlo nella filosofia?

Giulio Bosetti.

Giulio Bosetti ha preferito una giusta misura, un’equidistanza quasi perfetta fra la prima (appena più marcata) e la seconda; ed è questa la sua carta vincente, che gli ha permesso di restituire il duplice volto della follia, riso e pianto, "dolcezza e orrore in una sola musica". Lamberto Laudisi, le famiglie Frola e Ponza, il Prefetto danno un affresco variegato e complesso dell’umanità pirandelliana, senza mai abbassarsi a macchiette, come accade invece – in qualche caso – ai coniugi Sirelli o alle signore Cini e Nenni. Resta impresso, inoltre, il disastro che ha devastato il paese d’origine dei Ponza cancellando testimoni e documenti, sebbene il regista abbia scelto di non evocarlo visivamente.

Bosetti ha saputo inscenare la vita con le sue contraddizioni, i suoi enigmi insoluti; e lo ha fatto senza distinguere la realtà dalla finzione. Il sipario dell’apparenza è sempre alzato, la verità è relativa, senza eccezioni, perché cambia con lo sguardo di chi la osserva. Battuta dopo battuta, la ragione vacilla con la sua sete di sapere, di ghermire la realtà come fosse una preda facile e sicura, di cui poter descrivere l’aspetto ed il sapore con precisione assoluta; ma la preda sfugge, insensibile alle classificazioni. Ad esse preferisce la libera interpretazione di chi la guarda, l’unico specchio – a parte se stessa – in cui si riconosce; e, difatti, lo specchio è il simbolo principe dell’allestimento, su cui il resto della scenografia sembra confluire in un gioco prospettico.

Qui vediamo riflessa l’immagine di tutti gli attori che vi passano davanti, ma soprattutto la nostra, quando nessun corpo lo nasconde, per tutta la durata del primo e del secondo tempo (ma ricordiamo che il testo originario era una "parabola in tre atti", come la definì Pirandello). Fin troppo facile riconoscere il tema del doppio; il lato interessante è, piuttosto, nell’alter ego che diviene un personaggio autonomo nel momento in cui Laudisi dialoga con se stesso. Solo in superficie il suo può sembrare un soliloquio, è invece un mettersi in comunicazione con "l’immagine di sé", accettando la sua autenticità oltre che la sua esistenza.

Per il resto, le scene di Nicola Rubertelli sono semplici, quanto basta per riprodurre un appartamento benestante. Qualche mobile e suppellettile, ma ben tre uscite: due laterali e una centrale. E nel finale, la signora Ponza appare proprio da quest’ultima, quasi lievitando come fosse un fantasma; la sua epifania non è rivelatrice, rompe lo schema classico dell’agnizione lasciando integro (e ambiguo) il mistero che tutti vorrebbero comprendere, violare ricorrendo persino alla longa manus della legge.

Abbiamo apprezzato lo sforzo di Bosetti per non stupire né strafare, col rischio di distrarre il pubblico dal nucleo della vicenda tramite accessori. I costumi di Carla Ricotti sono puramente funzionali, forse addirittura eleganti proprio perché non danno nell’occhio; mentre Giancarlo Chiaramello veste la pièce con una colonna sonora adatta e, in più d’un caso, "evocativa". Se a questo aggiungiamo il buon livello di recitazione, si può capire la levatura e serietà di quest’allestimento.

A parte questi indubbi risultati, viene tuttavia spontaneo porci una domanda: perché rappresentare un’opera come "Così è (se vi pare)" al giorno d’oggi? Perché Pirandello è intramontabile, certo, e si dimostra un acuto maestro a distanza di anni, un attento lettore-illustratore dell’uomo del Novecento e di oggi. Ma c’è di più. Forse, in un’epoca che sembra cercare disperatamente delle certezze, ideologie forti rinsanguate dal terrorismo - un untore, un nemico comune da perseguitare - il dubbio (pirandelliano e non) è la vera medicina, ciò che può ancora salvarci da noi stessi e dalla forza della ragione.

Ci piacerebbe chiedere all’autore se anche lui si esprimerebbe in questo modo, ma crediamo che, da buon umorista, non si presterebbe al nostro gioco. Sorriderebbe come Laudisi e, nelle sue labbra semiaperte, vedremmo la bonaria ironia di chi ha compreso la ricetta della vita, con tutti gli ingredienti fuori posto: "Non è vero ciò che è vero, ma è vero ciò che sembra".

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