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QT n. 5, 12 marzo 2005 Monitor

Le “strane attrazioni” di Stephen Petronio

Proposto al Teatro Sociale il collaudato trittico "Strange Attractors" di Petronio: dalla teoria sulle forze magnetiche all'indagine sulle interrelazioni personali.

Cambio di programma al Teatro Sociale, dove il celebre coreografo americano Stephen Petronio ha scelto di non portare in scena i suoi lavori più recenti ed ha invece optato per Strange Attractors, un trittico di pezzi composti tra il 1999 e il 2000. Scelta comunque molto apprezzata dal pubblico, che ha applaudito con entusiasmo il coreografo e gli otto energici ballerini della compagnia. E in effetti il lavoro di Petronio, nonostante la semplicità della scenografia, dei costumi e la solo apparente ripetitività delle coreografie, è riuscito a catturare l’attenzione degli spettatori, abbandonatisi all’intenso fluire dei corpi sul palcoscenico.

Stephen Petronio.

Il titolo Strange Attractors è tratto dalla Teoria del Caos, a cui Petronio si è ispirato per definire l’essenza del suo modo di comporre: si tratta di una teoria scientifica che descrive l’esistenza di "un punto focale magnetico e in movimento in un campo apparentemente caotico". Tale teoria assume però, nel lavoro del coreografo, anche una valenza romantica e costituisce il punto di partenza per un’indagine approfondita sulla stranezza delle interrelazioni personali, ovvero sulle modalità spontanee e talvolta bizzarre che spingono gli individui ad avvicinarsi ed allontanarsi.

Prelude, il breve pezzo d’apertura, è in questo senso un’evidente dichiarazione di poetica, giocata sul contatto incessante tra i danzatori e ironicamente sottolineata dalla canzone dei Placebo Without You I’m Nothing. Colonna portante della composizione è la figura del coreografo stesso, attorno al quale si contorcono e poi lentamente si sviluppano i corpi degli altri interpreti, che oscillano di fronte alla platea sospinti l’uno contro l’altro da una forza magmatica.

Stephen Petronio, Strange Attractors.

In Part I e Part II, invece, i corpi dei danzatori si liberano da questa immobile frontalità e si lanciano in una danza magnetica, fatta di continue attrazioni e repulsioni. Le linee si formano e si dissolvono, i ballerini scappano e si rincorrono, si appropriano a tratti dei movimenti altrui, in un continuo alternarsi di trii, duetti, assoli e parti corali. Nella prima parte i movimenti fluidi ed allungati mettono in evidenza il virtuosismo tecnico degli interpreti, adattandosi perfettamente alla colonna sonora creata da Michael Nyman; nella seconda parte, sulla base elettronica di James Lavelle, i passi si fanno invece più aggressivi e compatti, e sulla scena si sprigionano la forza e l’energia compositiva che hanno reso celebre nel mondo lo stile di Stephen Petronio.

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